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Villa Doria-Pamphili

Villa Pamphili, con una superficie di184 ettarie un perimetro di circa9 Km, è la villa storica più grande di Roma e una delle “ville” meglio conservate: l’unica manomissione si deve all’apertura della via Olimpica (via Leone XIII) che ha diviso in due l’antica tenuta.

L’edificio più antico della villa sorto lungola via Aurelia Anticaè conosciuto come “Villa Vecchia” ed esisteva già nel 1630 quando il fratello del Papa Innocenzo X, Panfilio Pamphili, marito di donna Olimpia Maidalchini, acquistò una vigna di10 ettaripresso l’antica Basilica di San Pancrazio.

Tra il 1644 e il 1652, sotto il pontificato di Innocenzo X Pamphilj, venne costruito ad opera degli architetti Algardi e Grimaldi, il complesso della “Villa Nuova”.

La villa è divisa in tre parti: il palazzo e i giardini (pars urbana), la pineta (pars fructuaria), e la tenuta agricola (pars rustica).

Tra l’altro, si può ricordare come il Goethe e il D’Annunzio restarono molto colpiti dalla bellezza della villa.

Nel 1849 la villa fu teatro di una delle più cruente battaglie per la difesa della “Repubblica Romana”: le truppe francesi di Napoleone III il 2 giugno occuparono villa Corsini, allora alla periferia ovest di Roma e le truppe garibaldine tentarono invano di scacciarle.

Nel 1856 la villa fu unita alla confinante villa Corsini e tutto il complesso venne trasformato in una grande azienda agricola.

Iniziati i primi espropri da parte del Comune di Roma nel 1939, il nucleo originario della villa fu acquistato dalla Stato Italiano nel 1957.

Oltre168 ettarifurono acquisiti dalla municipalità romana; la parte occidentale nel 1965, la restante nel 1971 con apertura al pubblico nel 1972.

È, inoltre, la sede di rappresentanza del Governo italiano.

Rimane proprietà della famiglia Doria Pamphilj la cappella funeraria opera di Odoardo Collamarini.

Valle dei Casali

La Valle dei Casali, nella periferia sud occidentale di Roma, è una delle valli di affluenza al basso corso del Tevere, e’ percorsa dal fosso di Affogalasino e dal suo affluente della Nocetta.

Il nome del fosso che ha dato origine nelle epoche geologiche alla Valle dei Casali e’ sicuramente uno fra i toponimi piu singolari: Affogalasino.

L’etimologia del termine deriva probabilmente dall’usanza di affogare gli asini per trarne pelli per strumenti musicali.

Ma e’ probabile anche quanto riportato da B. Belli nello Stradario Romano : “.vige tradizione che, presso la Magliana,  fra i boschi e le praterie dei Fratelli Arvali (membri di un antico culto pagano romano) molti pagani convertiti al Cristianesimo, vi fossero affogati e per disprezzo ai cristiani, creduti adoratori di un Dio con la testa d’asino (l’asino ricorre spesso nel cristianesimo, simbolo di pazienza), la localita prese il nome di Affogalasino .”

Il fosso nasce a Villa Pamphili, taglia la Tenuta di Villa York, prosegue fino a passarela Via Portuense, ormai contenuto da una condotta artificiale sotto Via del Trullo, fino al Tevere.

La vegetazione che in alcuni tratti ricopre le rive costituisce la risorsa naturalistica principale della Riserva.

Nel Catasto Gregoriano, all’interno del perimetro della Valle dei Casali, sono disegnati centinaia di casali di pertinenza dei vignaioli, insieme ad alcune chiese, qualche fontanile e una decina di ville. A quel tempo il suburbio romano era diviso in piccoli appezzamenti, ceduti in enfiteusi, ognuno con il suo casale adibito alla conduzione della “vigna” (a Roma erano cosi chiamati gli orti). Il tipico casale romano era a pianta quadrata o rettangolare con un corpo piu elevato che ospitava gli alloggi ed un corpo allungato di servizio adibito a stalle o deposito.

Originariamente (1963) era un comprensorio di circa350 hacompreso trala via Aurelia, via di Bravetta, via del Casaletto ed il Tevere. In questa zona prevalentemente agricola, erano presenti numerosi edifici (ville, chiese rurali, casali) alcuni dei quali sono stati distrutti durante l’edificazione della zona di via dei Colli Portuensi. Nel Piano regolatore del 1962, infatti, la zona era destinata a edilizia intensiva.

La Riserva è caratterizzata da un altopiano che raggiunge gli 80 metri e degrada poi fino al livello del fiume con un andamento movimentato da collinette.

La vegetazione è il risultato dell’uso del suolo prevalentemente agricolo, della presenza di una fitta rete di fossi, del fiume Tevere e dell’adiacenza con aree urbanizzate della città.

La Valle si insinua infatti da sudovest nel tessuto urbano rappresentando un cuneo di verde che collega le ampie piane alluvionali costiere con il centro della città. Molte le aree adibite ad uso agricolo e a prato pascolo. Nelle zone sfuggite allo sfruttamento si è mantenuta,una condizione seminaturale con la presenza, tra le altre specie, di querce, aceri, ginestre e alaterno.

Tra gli animali più significativi, il cervone, il barbagianni, il riccio e la donnola.

Da un punto di vista storico l’interesse maggiore della zona risiede nella conservazione dell’articolato sistema di ville e casali.

Di grande interesse la Tenuta della settecentesca Villa York che realizza un felice connubio tra la villa nobiliare suburbana e l’azienda agricola quale raro esempio di “vigna romana”.

Le emergenze architettoniche più importanti della zona sono Villa York e il Complesso del Buon Pastore.

Nel 1975 la società Sheraton, nel tentativo di eguagliare il prospicente Hilton, chiese, ed ottenne, una licenza per costruire200.000 metri cubi in prossimità del Buon Pastore. Successivamente il progetto naufragò ma vennero comunque costruiti dei “residence” da usare come condomini.

Nel 1976, dopo una lunga serie di proteste, i cittadini dei quartieri limitrofi ottennero alcune modifiche al piano regolatore che vincolarono le zone di confine destinando a verde pubblico un nucleo di 250 ha.

L’istituzione nel 1997 della Riserva Naturale della Valle dei Casali, costituisce allo stesso tempo un provvedimento necessario per salvare un lembo di territorio oggetto di una aggressione insediativa particolarmente esasperata e insieme, per gli stessi motivi, un atto di coraggio e una scommessa.

Nella Valle dei casali esiste un patrimonio storico di edilizia (più o meno povera) non trascurabile mentre l’originale vocazione agricola è progressivamente confinata ad alcune piccole aree.
La scarsa accessibilità degli spazi della Valle rendono questo rilevante comprensorio marginale e poco interessante per le attività quotidiane (passeggiate,giochi…) dei residenti che sono pochi attenti ai progressivi scempi.
Lo scarso controllo esercitato dai cittadini, unitamente alle difficoltà di amministrazione e forze dell’ordine, permette inoltre una serie di attività illegali (discarica abusiva, incendi…) o marginali che aumentano il degrado di un patrimonio di cui invece si reclama il bisogno.

Infine, la mancata utilizzazione degli edifici antichi presenti nella valle li espone al pesante rischio di rapido degrado, riducendo in maniera irreversibile il valore culturale ed ambientale di questo patrimonio che ci è miracolosamente giunto sopravvivendo alla cementificazione degli anni ’60 e ’70.

I rilevamenti hanno interessato le zone intorno all’edificio del Buon Pastore su terreni di natura sia tufacea che argillosa. La costituzione geologica della zona rappresenta la prosecuzione meridionale del Colle del Gianicolo; essa è il risultato di colmate di tufi vulcanici e materiali alluvionali sopra una fossa di erosione preesistente. La morfologia ondulata del paesaggio è caratterizzata da versanti occupati da materiali prevalentemente argillosi, mentre i crinali sono caratterizzati da tufi di consistenza terrosa proveniente dalle antiche eruzioni vulcaniche dei Sabatini. Il fondo delle vallecole e dei fossi è caratterizzato da modesti spessori di materiali alluvionali

Villa York

Villa York, nota anche come Villa Baldinotti o Bichi Ruspoli, deve il suo nome al cardinale Enrico Benedetto duca di York, personaggio celebre della Roma di fine Settecento e degli inizi dell’Ottocento.
La proprietà più antica della villa attuale è da ricercarsi in ambito ecclesiastico, come per gran parte delle tenute della campagna romana, in relazione al ruolo di riorganizzazione del territorio alle porte della città svolto dalla Chiesa alle soglie dell’età moderna.
Furono le monache di S.Cosimato che trasformarono la tenuta, nota come Casal di Marcello, in una prospera azienda, dotata di un casale e di annessi manufatti di servizio.
Nel 1647 Zenobio Baldinotti acquistò Casal di Marcello, avviando la costruzione di una magnifica villa barocca, con un Casino realizzato da Pietro Paolo Drei. Il figlio Cesare ampliò successivamente la tenuta con l’acquisto del vicino Casale di Bravetta e la realizzazione di una splendida via d’acqua, che partendo dal piazzale antistante il Casino si conclude in un ninfeo, secondo un modello adottato anche in Villa Carpegna.
Nel 1697 la Villa fu acquisita e rinnovata dalla marchesa Girolama Bichi Ruspoli, che vi fece realizzare diverse pitture ad opera di Giovanni Ulisse Cariaci, edificare nuovi manufatti tra cui le uccelliere, e piantare numerosi alberi, specialmente in prossimità dell’ingresso.
Nel corso del XIX secolo Villa York raggiunse la sua massima estensione.
Di proprietà del principe Benedetto Giustiniani fino al 1804, quindi del duca di York, fino al 1808, ed infine dei Silvestri e dei Troiani, la villa sviluppò le sue caratteristiche agricole, mantenendo in parte anche le qualità di rappresentanza.
Villa York, collocata nella splendida Valle dei Casali, con vista su Villa Doria Pamphilj e cupola di S. Pietro, rappresenta un luogo ideale per la rievocazione del paesaggio romano, insieme bucolico e raffinato. A breve è previsto l’esproprio da parte del Comune di Roma del complesso attualmente di proprietà privata.

Tenuta dei Massimi

La Riserva Naturale della Tenuta dei Massimi si sviluppa a ovest delle ultime propaggini edificate di Roma nei quartieri Corviale, Borgata del Trullo e della Pisana. Il paesaggio dell’area protetta è scandito da dolci rilievi incisi dal reticolo idrografico del Fosso della Magliana.

È l’aspetto tipico della campagna romana, in cui vaste aree pianeggianti, occupate prevalentemente da coltivi e prati-pascoli, si alternano a colline e piccole valli laterali ricoperte, sui versanti più ripidi, da formazioni boschive. Il fondovalle del Fosso della Magliana, nella parte tra la via della Pisana e la foce, è insolitamente ampio rispetto alle altre valli dell’Agro. Nei secoli passati questo territorio offriva allo sguardo del visitatore boschi, pantani, fiumicelli, monumenti, casali, fontanili, torri d’avvistamento. Su questi terreni da sempre l’uomo ha praticato l’agricoltura e l’allevamento: nel Rinascimento il fiorire di ville urbane favorì l’insediamento delle “vigne”, l’orto romano dove si coltivavano frutta, verdure in quantità, cereali. Solo nei secoli successivi la malaria ha provocato lo spopolamento di parte della campagna, ma sulle zone più alte hanno continuano ad essere costruite ville suburbane quali luoghi di villeggiatura. La struttura del latifondo è rimasta inalterata fino ai nostri giorni così come è rimasto invariato l’uso agricolo.

Torretta Massimi

Nel corso del secolo VIII le coste laziali divennero obiettivo delle scorrerie dei saraceni e di altri predoni del mare i quali, in qualche occasione, riuscirono a saccheggiare Ostia, catturandovi anche dei prigionieri, e arrivarono a minacciare Roma. Per evitare il ripetersi di queste scorrerie, i proprietari dei terreni dell’Agro Romano dovettero costruire un sistema di vedette che consentisse di avvistare le imbarcazioni in avvicinamento e di trasmettere in breve tempo l’allarme mediante segnali luminosi e di fumo. In questo modo tutto l’Agro fu sorvegliato da Torrette, molte delle quali, sebbene in un grave stato di degrado, sono ancora visibili. Col passare del tempo, le torrette divennero simbolo di prestigio e potere, e le lotte tra i vari signorotti locali si svolgevano frequentemente intorno ad esse, avendo come obiettivo la loro conquista. La necessità di non risentire né degli attacchi da terra, né delle frecce incendiate che venivano scagliate nel corso degli assedi, spiega perché il primo e l’ultimo piano fossero in muratura, mentre, per mantenere la struttura leggera, tutti gli altri piani erano in legno. Talvolta, per rendere le torri praticamente inespugnabili, si poneva l’ingresso al primo piano, in modo che si potesse raggiungere solo con una scala a pioli, la quale poteva facilmente essere ritirata in caso di necessità.
Con l’avvento della polvere da sparo le torri persero quasi del tutto la loro importanza strategica, in quanto la loro struttura leggera male resisteva al nuovo tipo di attacco.

I Lancellotti una delle famiglie nobili romane legate al Papa era proprietaria tra l’altro del palazzo Lancellotti ai Coronari, la villa Lancellottia san Giovanni, di alcuni edifici a Tor Sapienza, di alcune azienda agricole nonchè del Discobolo (venduto ai tedeschi nel 1936 ed ora al museo di palazzo Massimo); la famiglia conserva tuttavia ancora alcune dimore come il castello di Lauro (Av) e la splendida tenuta di Torretta de Massimi
La proprietà apparteneva alla famiglia Massimo passata poi per eredità ai Lancellotti nell’800 assieme ad altri beni ed ad altre aziende agricole dell’agro romano, è stata adibita ad abitazione negli anni 50.
L’azienda agricola si estende su una superficie di154 ettari tra via della Pisana,via di Brava e via della Vignaccia è composta da terreni coltivati,prati ed un bellissimo bosco di sughero.

Il Buon Pastore

Il Buon Pastore è un maestoso complesso edilizio collocato all’interno della Riserva naturale della Valle dei Casali a Roma nel SuburbioVIII Gianicolense,nel territorio del Municipio Roma XVI, più esattamente in via di Bravetta 383 a pochi passi dalla seicentesca Villa York, Casal Ninfeo e dal Forte Bravetta. Progettato da Armando Brasini, l’edificio fu realizzato fra il 1929 e il 1943.

Il complesso, costato ben 25 milioni di lire dell’epoca, era nato per ospitare la casa provinciale della congregazione delle Suore di Nostra Signora della Carità del Buon Pastore di Augiere, in seguito ospedale e sanatorio militare e dal 1969 ad oggi ospita importanti istituti scolastici.

Per il progetto del Buon Pastore il Brasini prese a modello moltissimi stili architettonici precedenti nel tentativo di creare un nuovo stile unico di sicuro impatto e meraviglia. Infatti l’aspetto del fronte principale del Buon Pastore si ispira liberamente alla gigantesca nicchia del cortile del Belvedere in Vaticano (opera del Bramante), mentre la cupola della chiesa al centro del maestoso complesso replica lo stile barocco della cupola di Sant’Ivo alla Sapienza (opera del Borromini) è stata riaperta nel 2008 per una mostra sullo sterminio degli ebrei italiani dopo aver concluso lavori di ristrutturazione.

Alterazioni Strutturali

Negli anni70 l’edificio fu privato delle bellissime guglie in pietra serena, alte diversi metri, che donavano slancio ed eleganza alla parte superiore dell’edificio (al tempo si scelse di demolire ed alterare un’opera d’arte invece che procedere ad un restauro conservativo).

La bella croce di bronzo che adornava la parte superiore della cupola viene rimossa negli anni90 aseguito dei danni provocati da un fulmine.

A gran voce la cittadinanza ha richiesto nel corso degli anni il ripristino degli elementi architettonici mancanti, intervento ancora non effettuato.

Torretta Troili

Nei pressi di via dei Faggella, all’interno di una villa privata, sorge la Torretta Troili.
Il nome attuale deriva dai proprietari che, in età moderna, posero lo stemma sulla parte frontale della torre.
La torre era strategicamente disposta in posizione dominante rispetto al sottostante Fosso di Valcannuta, all’incrocio fra i due tronchi suburbani dell’Aurelia; per tutto il Medioevo la torre costituì un ottimo punto di osservazione. Nel Medioevo il luogo è ricordato con i toponimi Canneolus ( sec. VII) e Canutoli (sec. XI)- ovviamente in relazione alla presenza dei numerosi canneti della zona, che hanno originato anche i moderni toponimi di Val Cannuta – e fecero parte dei possedimenti della Chiesa romana sin dal tempo di Onorio I ( 625-638).
Nel secolo XIII il fundus appartenne alla Basilica di San Pietro: in seguito fu venduto alla famiglia Santacroce.
La torre, rimodernata e unita a un casaletto, è oggi trasformata in abitazione. Posta sul sito di una villa romana, della quale non è più visibile alcuna struttura, la torre ne reimpiegò i materiali di costruzione.
Di forma quadrata ( 5 metri per lato) e alta circa 8 metri, è abbastanza ben conservata: è costruita con mattoni di recupero, frammenti di marmo e scagli di selce ( soprattutto nella parte superiore affinché la si potesse scorgere anche da lontano).
Negli spigoli nord-est e sud-est la torre è rinforzata in basso da due contrafforti di forma rotonda in blocchi di selce. Le finestre rettangolari e l’entrata, che è nella parete Est, sono state rifatte in età moderna.

Tor Fiscale

Tor Fiscale è il nome della zona urbanistica 9c del IX Municipio del comune di Roma. Si estende sul quartiere Q.VIII Tuscolano.

Il Parco
Il  limite a sud del IX Municipio è interessato da una vasta area verde pubblica, e da un piccolo quartiere che prendono il  nome dalla Torre del Fiscale (XII-XIII sec.);

Si tratta di una  antica torre ancora ben conservata, edificata sulla linea degli acquedotti romani Claudio ( 52 d.C.) e Felice (1585 d.C.) che corrono parallelamente lungo tutto il Parco, creando una forte suggestione visiva.

Protetto dalla Soprintendenza Archeologica di Roma e dal Parco Regionale dell’Appia Antica, il territorio di Tor Fiscale, ricco di  resti storici, testimonia in diversi tratti,  il tracciato dell’antica Via Latina, con presenza di Sepolcri e resti di  Ville Romane.

Nel 2001,  un forte impegno tra Comune di Roma e IX Municipio, permette l’annessione al Parco di  nuove aree,  si tratta di circa11 ettaridi verde che includono 2 casali (destinati a museo e a centro culturale con ristoro), estesi frutteti, aree verdi; viene inoltre realizzata una pista ciclabile  e pedonale che  in futuro si raccorderà con il  progetto complessivo del circuito  previsto dal Comune di Roma per il  collegamento  ciclabile tra i parchi e le aree cittadine.

Il Parco è raggiungibile da Via Appia Nuova, da via del Quadraro, o da vicolo dell’Acquedotto Felice seguendo la pista ciclabile.

Da questa entrata  si accede  alle zone più alte del Parco, da qui si possono vedere la linea dell’Appia Antica, la tomba di Cecilia Metella,  il Parco delle Tombe Latine, il Parco della Caffarella,  e, procedendo verso sud, dove la linea dell’Acquedotto Claudio si consolida, attraverso sentieri immersi nel verde, si possono raggiungere  la Villa dei Quintili e poi quella dei Sette Bassi.

Anche se non ancora ultimato, il Parco di Tor Fiscale offre ai visitatori  scenari unici.

Qui si possono osservare attraverso le arcate  degli  Acquedotti Romani,  i vecchi e silenziosi casali agricoli e gli orti; passeggiando  tra i frutteti,  ovunque si volga lo sguardo, si può ammirare il paesaggio dominato dalla maestosa Torre del Fiscale, all’incrocio tra gli acquedotti che un tempo (539 d.C.) furono utilizzati per il Campo Barbarico di Vitige  Re dei Goti; il sito è raggiungibile percorrendo la pista ciclabile e pedonale.

La morfologia del terreno è particolare, infatti seppur ormai invisibili, scorrono nel sottosuolo numerosi corsi d’acqua, facilmente identificabili seguendo la linea dei canneti; ci sono sbalzi di quota rilevanti con presenza di numerose gallerie visitabili (circa18 km),  oggi utilizzate per la coltura dei funghi.

La flora è quella tipica mediterranea, particolari sono i  cespugli di assenzio e quelli dei capperi, che riescono a crescere abbondanti sulle mura degli acquedotti;

Colorano l’intero paesaggio i canneti, le macchie gialle di ginestrino, il verde del pino marittimo, l’argento degli olivi, il bianco e rosa dei frutteti.

Nella parte bassa del Parco, ingresso di via di Torre Branca,  si trovano importanti resti dell’Acquedotto Claudio, c’è un’ area giochi con zone d’ombra e panchine; di lato si trova un frutteto aperto al pubblico,  che viene utilizzato per laboratori di educazione ambientale.

Uscendo dal Parco  in Via di Torre Branca,  si raggiunge Via di Torre del Fiscale che attraversa l’area dei Casali dell’antica Vaccheria edificata anch’essa su resti romani.

Il Casale Rampa e il suo piccolo borgo, rappresentano il cuore del quartiere, che oggi si  estende fino a Via Appia Nuova.

La straordinaria vicinanza ai siti  più importanti del Parco Regionale dell’Appia Antica, pone Tor Fiscale al centro di innumerevoli percorsi turistici;

Da diversi anni l’Amministrazione Comunale ne sta curando la promozione  attraverso  interventi di riqualificazione, manutenzione e tutela.

Durante l’anno, seguendo il ciclo delle stagioni, vi si svolgono  manifestazioni culturali, visite guidate,  laboratori ambientali, Sport e Centri Estivi per ragazzi.

La Torre
L’alta Tor Fiscale si trova a poco più di 1000 m. sulla sinistra del km 8 dell’Appia Nuova nel punto in cui l’acquedotto Marcio e l’acquedotto Claudio vengono ad incrociarsi, si erge la Torre del Fiscale, alta circa 30 metri.
Risale al XIII sec., ha una struttura quadrata , costruita con blocchetti di tufo e qualche fila di mattoni, piccole finestre rettangolari con cornici di marmo.
L’interno presenta tracce delle volte che coprivano i piani principali.
La torre era circondata da un antemurale, in blocchetti di tufo e mattoni, ora non più visibile; se ne potevano scorgere alcuni tratti, nel lato settentrionale, alla fine degli anni quaranta.
L’origine della torre è collegato alla creazione del Campo Barbarico quando nel 539 d.C. i Goti di Vitige strinsero d’assedio la Roma di Belisario accampandosi in quest’area trapezoidale chiudendo le arcate degli acquedotti.
Il primo ricordo della torre cade nell’anno 1277, quando Riccardo Annibaldi cedette a Giovanni del Giudice la Tenuta chiamata Arcus Tiburtinus, con torre e renclaustro.
Nel medioevo il luogo era chiamato “Arco di Travertino” e segnava anche il punto in cui l’acquedotto Claudio scavalcava la via Latina.
Tor Fiscale, nei secoli che seguirono, si chiamò in vari modi, prendendo per lo più il nome dai proprietari che via via vi si succedevano.
Nell’anno 1363 è chiamata “Turris Iohannis” a testimonianza del suo possesso da parte della Basilica di S. Giovanni in Laterano.
Con il nome Turris Brancie è ricordata in un documento del 1385 mentre nel 1397 si parla del Casale olim Brancie et nunc heredum Pauli Bastardelle. Nel 1422, sebbene appartenesse ancora alla famiglia Bastardella, la torre è indicata nel 1422 come Turris Brancie alias dictus Arcus Tiburtinus.
Il nome Tor Fiscale che compare nel secolo XVII, è dovuto ad un certo Monsignor Filippo Foppi “fiscale” (tesoriere) pontificio, che verso il 1650 aveva delle vigne nei pressi. 

Storia

Il primo nucleo abitativo, di agricoltori, si stanzia nella Vaccheria Tor Fiscale (Casale Rampa) nei primi del ‘900.  La Vaccheria venne costruita sulle rovine di manufatti risalenti a epoca romana che sorgevano sui lati della antica Via Latina (via Campo Barbarico).

Le cave per l’estrazione della pozzolana nei  primi decenni del ‘900, con un massiccio sfruttamento dovuto alla nuova edilizia,  modificheranno il territorio.

Negli anni ’30 nuovi “ortolani” arrivano  e ampliano i terreni  coltivabili, lungo la via Celere (via di Torre Branca) e fino agli acquedotti romani; sfruttando i numerosi corsi d’acqua, realizzano una fitta rete di canali di irrigazione.

Nella fascia vicina alla via Appia Nuova si sviluppa un polo “industriale”: una fabbrica di tendoni, un allevamento di castori, grandi falegnamerie, una importante tintoria, marmisti e tanti  altri artigiani.

Nascono strutture di ricezione, come la Trattoria “la Collinetta”, e verso il IV miglio della Via Appia Nuova, l’azienda agraria e trattoria “L’Uva di Roma”, conosciute dai frequentatori dell’Ippodromo delle Capannelle  e dai “fagottari” nelle gite fuori porta.

Nell’area della Vaccheria, oltre alle abitazioni dei contadini nei Casali, c’erano le stalle e i vasconi dove si lavavano ortaggi e  fiori, c’erano molti fienili, uno di questi, più tardi e fino al  1953, svolgerà la doppia funzione di scuola e chiesa.

Nel 1954 si  termina la costruzione di una vera Chiesa, S. Stefano Protomartire.                     

Oggi, chi viene a  Tor Fiscale, trova un quartiere che si è salvato dalla edificazione selvaggia, sebbene anche qui ci sia bisogno di riordinare ciò che è stato costruito in assenza di un Piano Particolareggiato urbanistico finalmente approvato nel 2001. 

Tuttavia, Tor Fiscale  ancora conserva un nucleo storico-archeologico-ambientale di notevole pregio che lascia stupiti i visitatori che osservano la straordinaria vicinanza alla città e al contempo una atmosfera distaccata, un ritmo tranquillo,  più vicino alla qualità della vita.

Più che un quartiere è un paesino all’interno della città; verde, suoni notturni lontani dal traffico e scorci di paesaggi antichi, condizionano positivamente l’immaginario.  

 

altri XI

Grottone

L’area del Piano Particolareggiato zona “O” n.70 “Grottone” ricade nel territorio del XI Municipio, nel quadrante sud della città a ridosso della infrastruttura viaria di Via di Grotta Perfetta di carattere locale che mette in comunicazione con la Via Ardeatina di carattere interzonale.

Dati
La borgata ha una superficie complessiva, pari a 1,95 ettari, per una densità territoriale pari a 185,4 ab/ha.

Quartiere delle Conce

Sito nel triangolo di terreno a destra di chi esce dalla Porta S. Paolo fra le mura della città, la ferrovia di Civitavecchia e la via Ostiense.

Era adibito alle botteghe dei conciatori delle pelli degli animali uccisi nel mattatoio di Testaccio sito al di là delle mura.

Parco dell’ansa del Tevere-Lungotevere Dante

L’ansa del Tevere, vicino ponte Marconi e delimitata da Lungotevere Dante, presto subirà dei cambiamenti. L’attuale progetto prevede infatti la costruzione di una piscina olimpionica ed una strada ad alta percorrenza! Ma come in molti casi sul territorio nazionale e a Roma in particolare, non si tiene in alcuna considerazione le esigenze di chi vive e fa vivere questa parte di quartiere. Si potrebbe sostenere che tali mutamenti serviranno a bonificare e migliorare uno spazio oggi degradato. Può sembrare vero, ma è innegabile che qui si trova una delle rare zone tranquille ed ecologicamente recuperabili del quartiere; ed è sicuramente vero che si farà con cemento ed asfalto, tagliando fuori tutto quello che già esiste. Si intende riqualificare l’ansa di Lungotevere Dante, ma in modo alternativo e funzionale. A tale proposito è stata data vita ad un comitato di cittadini ed abitanti della zona. La scelta è indipendente e non è legata ad alcun partito o candidatura politica, ma è il primo passo compiuto liberamente dai cittadini che si sono organizzati per esprimere il proprio parere sul processo di trasformazione che investirà il quartiere nel quale vivono. Il comitato è sorto per creare uno spazio collaborativo di confronto e dialogo e, soprattutto fornire uno strumento per “dar voce e gambe” alle scelte fatte.

Appia Antica

Appia Antica Nord

Appia Antica Nord è il nome della zona urbanistica 11x del XI Municipio del comune di Roma. Si estende sui quartieri Q.IX Appio e Q.XXVI Appio Pignatelli e sulla zona Z.XXI Torricola.

Popolazione: 2.628[1] abitanti.

Appia Antica Sud

Appia Antica Sud è il nome della zona urbanistica 11y del XI Municipio del comune di Roma. Si estende sulla zona Z.XXIII Castel di Leva.

Popolazione: 437[1] abitanti.

Parco naturale regionale Appia antica

Il Parco naturale regionale dell’Appia antica è un’area protetta di 3400 ettari istituita nel 1988 dalla Regione Lazio all’interno dei territori comunali di Roma, Ciampino e Marino, a cavallo tra l’Agro Romano e i Colli Albani lungo la direttrice della via Appia Antica. Al suo interno sono ricompresi, tra l’altro, la Caffarella e il Parco degli Acquedotti.

Caffarella

La Caffarella è una valle alluvionale creata dal fiume Almone.  È interamente nel comune di Roma ed è parzialmente patrimonio del Parco Regionale dell’Appia Antica.
È ricca d’acqua, che affiora da falde e sorgenti.
Il nome origina dall’unificazione delle tenute ivi preesistenti attuata nel ‘500 dalla famiglia romana Caffarelli.

L’ALMONE E LE SORGENTI DELLA CAFFARELLA

 Il bacino idrografico dell’Almone era un tempo separato da quello dell’Acqua Mariana. Oggi invece le loro acque si mescolano prima di giungere alla valle della Caffarella.

La valle della Caffarella, formatasi geologicamente in seguito all’eruzione del “Vulcano Laziale” lì dove ora sono i Colli Albani, è ricchissima di acque provenienti oltre che dall’Almone anche dalle numerose sorgenti disseminate lungo l’ampio territorio della valle. Tra queste le più famose sono quelle dell’Acqua Santa e quelle del cosiddetto ninfeo Egeria.

Originariamente pare che le acque dell’Almone avessero origine dalla sorgente Ferentina presso Marino e che poi dai Colli Albani si gettassero nel Tevere, all’inizio della via Ostiense. In quest’ultimo punto, in epoca romana, come narra Ovidio (Fasti v. 335) avveniva, il 27 marzo di ogni anno, una solenne cerimonia religiosa che consisteva nel lavacro della statua della dea Cibele e dei suoi arredi sacri. Il rito, chiamato “lavatio matris deum” avveniva nel bel mezzo di una festa orgiastica, in cui i partecipanti si abbandonavano a danze sfrenate, mentre un anziano sacerdote in veste purpurea compiva i lavacri.

L’origine del rito si fa risalire al tempo della seconda guerra punica, nel III secolo d.C. Difatti in quel periodo, da una profezia contenuta nei libri sibillini si evinceva che se un nemico straniero (Annibale) avesse portato la guerra in Italia, sarebbe stato cacciato e vinto solo se la Magna Mater (Cibele madre di tutti i dei) fosse stata trasportata da Pessinunte a Roma. Partì così subito una delegazione per Pessinunte, in Asia Minore, nel regno di Antalo, re di Pergamo, alleato dei Romani. Per inciso allora si faceva risalire l’origine di Pergamo a Troia, come quella di Roma.

In questa città esisteva il più prestigioso tempio dedicato a Cibele : da questo fu prelevata una grossa pietra sacra (forse un meteorite) e trasportata a Roma per collocarla in un apposito tempio costruito sul Palatino. Sennonché la nave che trasportava la pietra si incagliò proprio alla confluenza dell’Almone con il Tevere, per cui i sacerdoti di Cibele procedettero a solenni riti di purificazione, dopo di che, secondo la leggenda, fu possibile riprendere la navigazione. Grati alla dea, le autorità religiose decisero di far ripetere ogni anno la cerimonia lustrale, che si svolse annualmente addirittura fino al 389 d.C., anno in cui fu abolita per incompatibilità con la religione cristiana.

Lungo il corso dei secoli l’Almone ha subito una miriade di deviazioni e canalizzazioni, motivate soprattutto dalla necessità di irrigare i campi attigui, che da sempre sono coltivati, nella fertile valle della Caffarella. Oggi il suo percorso è riconoscibile fino all’aeroporto di Ciampino a monte e a valle fino a dove incrocia l’Appia Antica. Da qui purtroppo il fosso viene intubato nel collettore di Roma Sud.

Per quanto riguarda il suo nome, Almone, gli è stato dato, secondo l’Eneide dall’omonimo eroe troiano, figlio di Tirro, custode degli armenti dell’esercito troiano, morto nella guerra tra troiani e latini che precedette la fondazione di Roma.

Tuttavia altri nomi gli sono stati dati nell’evolversi dei tempi, tra cui quello di “acquataccio”, sul cui significato esistono due versioni contrastanti : secondo la prima, il termine deriverebbe da “Acqua d’Accia” cioè da “Acqua d’Appia” ; per la seconda versione, meno accreditata, gli deriverebbe dall’aspetto acquitrinoso della valle della Caffarella, in epoca medioevale e rinascimentale. Del resto al fiume, in epoca moderna, sono stati dati altri nomi come “marrana della Caffarella” e “fosso dello Statuario”

Per quanto riguarda le sorgenti, quella dell’Acqua Santa, un’acqua dalle decantate virtù terapeutiche sin dall’antichità, si trova in via dell’Almone, nome dato alla via che dal 1920, congiunge l’Appia Nuova con l’Appia Pignatelli.

La sorgente Egeria si trova invece inserita nell’omonimo ninfeo, ai piedi della collina dove c’è Sant’Urbano. In quel luogo formava un celebre “lacus salutaris”, così chiamato per la terapeuticità delle sue acque.

La Marrana

Nel Parco dell’Appia Antica, oltre al fiume Almone esiste un altro corso d’acqua, che ha rivestito una notevole importanza nei secoli passati, a partire dal periodo medievale.

Le sue acque difatti furono utilizzate oltre che in agricoltura anche per fornire l’energia necessaria ai numerosi mulini e opifici vari che sorgevano lungo il suo percorso. Oggi purtroppo appare come una vera e propria fogna a cielo aperto a causa degli scarichi che riceve nel territorio di alcuni comuni che attraversa come Grottaferrata, Marino e Ciampino.

La sua storia è antica e risale al Medioevo. L’antica Roma, come è noto, era servita da un sistema di acquedotti (11) che ne facevano la città meglio servita del mondo antico (13 metri cubi al secondo contro i 15 di oggi e i 12 del 1970) e in alcuni casi anche di alcune città moderne. A partire dall’assedio dei Goti di Vitige (539 d.C.), che tagliarono gli acquedotti per impedire l’approvvigionamento idrico della città, queste importanti strutture iniziarono il loro periodo di decadenza.

Così nei secoli successivi solo l’acquedotto Vergine continuò a funzionare e gli abitanti di Roma furono costretti ad usare i pozzi e le acque del Tevere. Per avere una nuova fonte di acqua potabile ci sarebbero voluti oltre mille anni con la costruzione dell’acquedotto Felice (1587). Comunque nel 1122 papa Callisto II, vista la penuria di acqua, decise di costruire un canale artificiale per riportare l’acqua nelle campagne e servire i mulini, che numerosi sorgevano anche all’interno delle mura Aureliane, per l’appunto la Marrana dell’acqua Mariana. Il suo nome si pensa che derivi dal fatto che all’origine attraversa dei territori denominati anticamente “ager maranus”; da questo il termine “marrana” che poi è stato esteso a tutti i fossi dei dintorni di Roma. Il percorso iniziale utilizzava un fosso preesistente detto dell’acqua Crabra e prendeva le sue acque da Squarciarelli e dalla fonte La Preziosa, tra Marino e Grottaferrata, cioè dalle stesse acque che rifornivano gli antichi acquedotti romani Tepula  e Julia. Il canale quindi seguiva gli antichi acquedotti e scendeva verso Roma. Vicino a villa dei Centroni, a Morena, tramite una diga quest’acqua veniva incanalata in un condotto sotterraneo appartenente all’antico acquedotto Claudio. Uscito allo scoperto il fosso attraversava la tenuta di Roma Vecchia, dove formava, almeno fino agli anni ’30 del nostro secolo, un laghetto dove vi erano anche i pesci. Quindi proseguiva verso Roma, attraversava la via Tuscolana a Porta Furba, passava per via del Mandrione e costeggiando a distanza la Tuscolana giungeva a porta di San Giovanni, formando un laghetto. Quindi costeggiava le mura, passando lì dove ora è via Sannio. Entrava in Roma a porta Metronia, quindi percorrendo l’odierna Passeggiata Archeologica e passando attraverso il Circo Massimo, si gettava nel Tevere accanto alla Cloaca Massima.

Oggi il suo tracciato, in seguito all’urbanizzazione, è completamente cambiato. Così all’altezza di Roma Vecchia è stato deviato e ora confluisce nell’Almone.

Da notare come dal medioevo fino agli anni ’60 sia esistito un organismo di gestione delle acque, all’inizio appartenente alla Basilica di S. Giovanni e poi nell’800 trasformatosi in consorzio di gestione autonomo. Ciò testimonia l’importanza economica del fosso.

Ottavo Colle-Roma 70-Tenuta di S. Alessio

Ottavo Colle

Il quartiere è delimitato da via di Vigna Murata, via Laurentina, via del Tintoretto, via Ballarin, via Ardeatina.

A partire dagli anni Sessanta il Municipio si espande verso lungo la direttrice di via di Grottaperfetta: con il passare degli anni numerosi edifici vengono costruiti coprendo quasi per intero l’Ottavo Colle e le zone vicine.

Si costruisce tutto il quartiere di Ottavo Colle – Tintoretto, proseguendo l’edificazione alle spalle di via F. De Vico e via Padre Lais congiungendo il vecchio nucleo del Serafico con la “zona dei licei” (Peano, Primo Levi e De Pinedo). Oltre alla presenza delle scuole (ai licei sopraindicati vanno aggiunti importanti istituti privati), Ottavo Colle-Tintoretto si contraddistingue  come zona residenziale e quale moderna sede di uffici, banche e sedi di società del terziario avanzato.

Alle spalle delle nuove edificazioni rimangono ancora lembi di campagna, preziosi spazi verdi per tutto il territorio.

Roma 70-Rinnovamento

Roma 70 è il nome di un’area urbana dell’XI Municipio di Roma. Si estende sul quartiere Q.XX Ardeatino.
È situata a sud della capitale, all’interno del Grande Raccordo Anulare, nella zona urbanistica 11g Grottaperfetta.

La zona, nota anche con il nome de I granai, è sorta come agglomerato residenziale (piano di zona 39 Grottaperfetta) in un’area anticamente occupata dai granai di Nerva. In quest’area, infatti, la tradizione racconta che l’imperatore Marco Cocceio Nerva fece concentrare i depositi di grano dell’Urbe.
E’ uno dei tanti piccoli quartieri di Roma. Sono piccoli paesi con una loro fisionomia ed altri ne stanno nascendo, con l’avanzare del cemento.
Quartiere caratterizzato da edifici affastellati e da strade tortuose, si raccoglie oggi attorno al nucleo vitale costituito dal grande centro commerciale “I Granai”.
I quartieri si sviluppano lungo via di Grottaperfetta fino al “Dazio”, tra il parco di Tormarancia e il quartiere Ottavo Colle – Tintoretto.

L’espansione iniziata negli anni Sessanta lungo presso l’Ottavo Colle, prosegue dal decennio successivo in quest’area: nascono così i quartieri di Rinnovamento e Roma 70.
Area residenziale per ceto medio impiegatizio (in alcune parti di Roma 70 e per buona parte di Rinnovamento si può parlare di tagli abitativi signorili), ha da poco recuperato un importante cuore verde con grandi potenzialità di attrazione culturale: il Forte Ardeatino ed il parco circostante, quest’ultimo riqualificato e restituito ai cittadini nel 2006.

La Tenuta di S.Alessio 

Tra i quartieri Ottavo Colle, Prato Smeraldo, Fonte Meravigliosa e Roma 70, a confine tra il XII e l’XI Municipio del Comune di Roma, si estende la Tenuta di S.Alessio, una superficie di 67 ettari prevalentemente verde, sede di un prestigioso Istituto scolastico: l’Istituto Tecnico Agrario “Giuseppe Garibaldi”. 

Si tratta di un pezzo di Campagna Romana, rimasto pressoché intatto per oltre 100 anni a discapito della pressante urbanizzazione.
Per i cittadini che le girano intorno quotidianamente, oggi guardare dentro la Tenuta di S.Alessio è come affacciarsi ad una finestra sul passato. Chi si affaccia a questa finestra può rivivere, qui come nel vicino Parco dell’Appia Antica, quella ruralità della Campagna Romana che è ormai relegata quasi ovunque oltre i margini della città. 
La Tenuta di S.Alessio è da anni perfettamente inserita nel contesto urbanistico dei limitrofi quartieri, frequentata dai cittadini che la utilizzano come sentiero pedonale verde per i loro spostamenti, per passeggiate con gli amici a quattro zampe, per corse rinvigorenti, o semplicemente per ritrovare un po’ di tranquillità. 

Quest’area presenta caratteristiche ambientali di grande pregio con presenza di specie protette (istrice, civetta, barbagianni, nibbio bruno, gheppio), vegetazione arborea di interesse storico (relitti delle piantagioni della bonifica di fine ‘800), paesaggi agricoli e rurali di valenza storica, emergenze archeologiche importanti. Essa rappresenta una componente importantissima della rete ecologica della città, fondamentale per garantire la connettività funzionale tra l’area di Tor Marancia a nord, quella del Fosso della Cecchignola a sud, e la tenuta di Tor Carbone a est. Si tratta di corridoi di collegamento che vanno salvaguardati per favorire la continuità territoriale ed ecologica tra aree urbane ad elevata frammentazione ambientale.

L’istituto Agrario
L’Istituto G.Garibaldi opera da circa un secolo nella Tenuta di S.Alessio. E’ una scuola di grande interesse e utilità sociale, frequentata da centinaia di studenti provenienti da tutta l’area romana. Gli ettari in uso alla scuola erano, al momento dell’affidamento, oltre 100. Nel corso del tempo furono via via scorporate delle parti di territorio, sia per usi pubblici (istruzione e ricerca) che privati (abitazioni residenziali). Nel corso di un secolo, le varie cessioni hanno tolto alla Tenuta circa 40 ettari, e questo stillicidio non si è ancora fermato, e rischia di minare seriamente la possibilità di sopravvivenza di questa splendida area

Nel 1907 la Regia Scuola Pratica di Agricoltura, costituita nel 1872, viene trasferita nella località in cui opera ancora oggi e cioè nella Tenuta di S.Alessio, racchiusa tra le attuali Via di Vigna Murata, Via Ardeatina, Via Erminio Spalla e gli istituti scolastici superiori che si affacciano su Via di Grotte d’Arcaccio.
Tre anni dopo il trasferimento, nel 1910, il Tenimento viene affidato in modo permanente alla scuola agraria. Il Ministero dell’Agricoltura, Industria e Commercio affida in enfiteusi perpetua i fondi demaniali detti “Regio Campo Sperimentale e lotti 13 e 14 delle tenute di S.Alessio e Vigna Murata nell’Agro Romano”… con l’obbligo di stabilirvi la Regia Scuola Pratica di Agricoltura”, alla Provincia di Roma che dal quel momento gestirà la scuola ed i poderi. 
Il territorio ceduto in enfiteusi per la Regia Scuola Pratica di Agricoltura occupa una superficie totale di 102.44.70 ettari, posta a cavallo dell’attuale Via di Vigna Murata. Di questi, 82.93.70 ettari sono compresi nella Tenuta di S. Alessio (Regio Campo Sperimentale), e 19.51 sono costituiti dai Lotti 13 e 14 della Tenuta di Vigna Murata (rispettivamente 10.20 ettari il primo e 9.31 il secondo) , separata dall’altro Tenimento dal Fosso di S. Alessio e dalla strada interpoderale (sul tracciato della quale è stata successivamente realizzata la Via di Vigna Murata). 
L’11 febbraio 1911, con il n. 21015, il contratto viene registrato alla Corte dei Conti, e da questo momento il Demanio dello Stato, con il ruolo di proprietario, e la Provincia di Roma, in qualità di beneficiario, saranno i soggetti che regoleranno la vita dell’Istituto in ordine al patrimonio territoriale e alle strutture che in esso sono presenti.
Viene inoltre sancito l’obbligo per quest’ultima del miglioramento e dell’uso dei terreni esclusivamente ai fini dell’istruzione agraria, pena la devoluzione del fondo. Questo è un aspetto centrale del contratto, ed è un principio al quale si è fatto riferimento, dopo circa un secolo, quando (nell’estate del 2005) l’amministrazione provinciale ha manifestato l’intenzione di alienare questi beni.

Nonostante il suddetto vincolo, dopo pochi anni di gestione i terreni destinati all’Istituto Agrario cominciano ad assottigliarsi e si trasformano da aree agricole di pregio, in aree edificate residenziali o a servizi.
Non molto tempo dopo, infatti, il terreno rientrante nei due lotti di Vigna Murata viene ceduto all’Opera Nazionale per gli orfani dei contadini morti in guerra, quindi gli ettari a disposizione della scuola diminuiscono e diventano circa 80.
Questo evento accade in un periodo che va dal 1914 al 1924, anno in cui viene realizzato uno studio finalizzato alla riforma della Scuola stessa e dal quale risulta che l’Istituto utilizza soltanto i terreni a nord di Via di Vigna Murata. Nel 1924, infatti, viene compiuta un’indagine il cui fine è quello di redigere e preparare i nuovi programmi e il nuovo ordinamento di quella che ha ancora come nome Regia Scuola Pratica di Agricoltura, ma che proprio nel corso dello stesso anno, passerà ad essere la Regia Scuola Agraria Media di Roma.
L’idea era quella di promuovere e realizzare un’azienda tale da essere un polo di riferimento, almeno per tutte le aziende agricole della zona costiera. Va inoltre ricordato che in questo periodo, e sarà così almeno fino alla metà degli anni Sessanta, la scuola è situata fuori dalla città, e i collegamenti pubblici sono inesistenti. Per favorire lo sviluppo e per ovviare alle difficoltà di raggiungimento, vengono fatte proposte per migliorare e valorizzare le strutture già presenti e per costruirne di nuove. Fra queste vi è la scuola convitto: approvata con delibera del 22 maggio del 1923 dalla Regia Commissione e realizzata nel 1928.
Nell’ottobre 1933, in base alla legge n. 889 del 15 giugno 1931, la Scuola perviene all’attuale ordinamento di Istituto Tecnico Agrario Statale.

L’estensione della superficie su quale opera non pare subire modifiche almeno fino all’aprile del 1967 ; infatti, facendo riferimento ad una carta al 10.000 del Comune di Roma di questo stesso anno, il terreno appartenente all’Agrario appare composto ancora da circa 80 ettari.

Tor Marancia

Tor Marancia è il nome della zona urbanistica 11e dell’XI Municipio del comune di Roma. Si estende sul quartiere Q.XX Ardeatino.

Il nome di Tor Marancia deriva dal latino Praedium Amaranthianus, cioè fondo di Amaranthus, un liberto della famiglia dei Numisii Proculi del II secolo d.C..
La torre originale, oggi scomparsa, si trovava a breve distanza dall’Ardeatina.

Quella presente attualmente, che si trova sulla strada omonima è, in realtà, la Torre delle Vigne (o di San Tommaso).

Su via delle Sette Chiese si trova il Casale di Tor Marancia, nella proprietà degli Horti Flaviani.

Storia

I primi insediamenti risalgono agli anni 30′ dell’ottocento.

Alla fine degli anni venti, su terreni prevalentemente paludosi e nelle vicinanze della zona Garbatella (Roma Sud), i cittadini espulsi dal centro di Roma (a seguito dei primi sventramenti) e gli immigrati provenienti dal Sud-Italia costruirono il primo insediamento di Tormarancia (conosciuto anche come Tor Marancio), una sorta di ghetto composto da casette in muratura o in legname; in parte fu anche l’I.C.P. a realizzare delle case (catalogate come “case minime”) composte da una sola stanza, dove vivevano famiglie fino a 10 persone.
Ciò che accomunava le casette rapidissime spontanee e quelle I.C.P. erano i pavimenti in terra battuta, i servizi igienici in comune, e piccoli giardini-orti.
Shanghai (questo il nomignolo della borgata a causa dei periodici allagamenti e dei frequenti fatti di sangue causati dalla miseria) venne demolita a partire dal 1948, a seguito della legge De Gasperi sul risanamento delle borgate, per costruire le attuali case popolari, quindi i recenti quartieri della Montagnola e Grotta Perfetta.
Oggi la tenuta di Tor Marancia e di proprietà privata, quindi non a disposizione dei cittadini, tranne alle visite che vengono organizzate periodicamente dalle associazioni locali.

Tenuta di Tor Marancia

Il percorso proposto parte da Via dei Numisi, imboccando la vecchia Via Ardeatina, dove sulla sinistra si possono notare i resti della villa dei Numisii. Procedendo il percorso si arriva alla salitella che propone un panorama suggestivo che arriva fino all’Appia Antica. Proseguendo verso la Via Ardeatina si arriva all’area dei ‘bagni’ dove sono ancora visibili alcuni cunicoli idraulici scavati nel tufo. La visita prosegue tra i caseggiati di epoca ottocentesca, e una tomba risalente alla fine del I secolo d.C. scavata nel tufo.
Il sentiero continua in un bosco di pioppi dove si nota una rete idraulica di età romana, proseguendo, il percorso finisce di nuovo su Via dei Numisi

Per quanto riguarda il quadro storico, le prime tracce di insediamenti umani risalgono al periodo preistorico e sono state individuate nell’area prospiciente via di Grotta Perfetta.

 

PERIODO ROMANO

Numerose testimonianze, peraltro scarsamente indagate, documentano che questo territorio suburbano era destinato allo sfruttamento agricolo fin dall’epoca augustea mediante il sistema della villa rustica: vere e proprie aziende di proprietà di importanti personaggi dell’aristocrazia romana, efficientemente organizzate per la produzione agricola intensiva, in cui lavoravano gli schiavi del dominus. Al proprietario era riservata la parte residenziale dell’insediamento in cui non mancavano mai i bagni e le terme private, con importanti impianti di raccolta e conduzione delle acque. Alla classe aristocratica sicuramente apparteneva la famiglia dei Numisii, proprietaria di una di queste ville, nel cuore della Tenuta.

Esisteva quindi una estesa viabilità che aveva come assi principali le antiche vie Ardeatina e Laurentina con tutta una serie di strade minori a collegamento delle ville rustiche, tra cui l’attuale via di Grotta Perfetta. Di tali antichi percorsi rimane traccia diretta solo in alcuni punti (le “tagliate” stradali) e indiretta per la presenza di numerose necropoli che, come è noto, si trovavano ai margini delle importanti vie di collegamento al di fuori della città. L’uso sepolcrale dell’area ebbe inizio in età repubblicana (tombe a camera); invece tipiche del I sec a. C. sono le sepolture ad inumazione in fosse o incinerazione in olle. La necropoli venne utilizzata fino all’età di Traiano (II sec.d.C.). Questo intenso uso del territorio si mantenne tale anche con l’avvento del Cristianesimo, basti citare il complesso delle Catacombe di Domitilla, ai margini settentrionali della Tenuta e la catacomba scoperta nei pressi della Chiesa dell’Annunziatella, non ancora del tutto indagata. Testimonianze si trovano anche a metà fra le due catacombe che, se studiate, potrebbero restituire altre interessanti sorprese.

 

URBANISTICA MODERNA E CONTEMPORANEA

Nel sec. XIX la vasta area della Tenuta era divisa in appezzamenti coltivati a vite, cereali e prati adibiti a pascolo. L’abitato, costituito da casali, mantenne sempre un carattere sparso. I proprietari erano Enti religiosi e famiglie nobili che manifestarono vivo interesse per le collezioni di opere dell’antichità. Dal brogliardo coevo alla mappa del Catasto Gregoriano redatta nel 1818 si descrive la tenuta essere a pascolo e seminativo e di proprietà della duchessa Marianna di Chablais (pur affidata in enfiteusi perpetua al conte Giuseppe Conti). La nobildonna di Casa Savoia (figlia e sorella rispettivamente dei re di Sardegna Vittorio Amedeo e Carlo Felice) era un’appassionata di antichità e fu incoraggiata all’acquisto della Tenuta dall’archeologo Luigi Biondi. Furono avviati degli scavi che si protrassero dal 1816 al 1823. Furono recuperati mosaici, affreschi, numerose epigrafi soprattutto funerarie. Alla morte della duchessa il materiale più pregiato confluì per testamento nelle raccolte vaticane, una ventina di cippi ed epigrafi restarono presso la casa della nobildonna (Palazzo Guglielmi di piazza Paganica 50 a Roma) dove sono murati in un cortile. Altri andarono dispersi. Lo scavo, finalizzato alla ricerca di opere di valore, fu piuttosto grossolano; ciononostante l’architetto Giuseppe Marini rilevò una pianta della sontuosa villa.
La rete viaria seguiva l’orografia del terreno e ricalcava percorsi più antichi. Costante era il flusso di pellegrini verso la Chiesa dell’Annunziatella e al Santuario del Divino Amore. Dopo il 1870 venne ripresa e protratta fino al periodo fascista la bonifica dell’Agro Romano e Pontino, ma ciò non compromise l’aspetto del nostro territorio: infatti esistevano zone paludose solo lungo i fossi; anzi l’opera di bonifica dette nuovo impulso all’attività agricola. Maggiori alterazioni invece furono causate dallo sfruttamento, ripreso nell’800, delle cave di pozzolana che hanno in parte distrutto i resti degli insediamenti antichi e medievali fino a modificare l’originaria morfologia. Le carte I.G.M. (Istituto Geografico Militare) dei primi decenni del‘900 mostrano ancora intatto il grande bacino imbrifero, articolato in tre fossi, che costituiva uno dei principali affluenti di sinistra del Tevere a sud di Roma. Ma l’urbanizzazione dell’area era già cominciata!

Subito a Nord della Tenuta è visibile il nucleo storico della Garbatella, già realizzato. Sono i palazzi della Garbatella i primi a sorgere all’inizio del secolo; al periodo fascista risalgono i primi lavori per la costruzione della via Cristoforo Colombo che doveva collegare il quartiere dell’ E.U.R. all’ area sud -occidentale del suburbio. La zona dell’attuale quartiere di Tor Marancia era originariamente occupata da un terreno paludoso su cui fin dal 1930 i poveri si costruirono una sorta di ghetto fatto di baracche. Queste vennero abbattute nel 1948 per costruire le attuali case popolari. L’espansione è poi proseguita lungola via Cristoforo Colombocon il quartiere della Montagnola e lungo via di Grotta Perfetta con i comprensori congestionati e senza qualità di Roma 70 e Rinnovamento, a cavallo tra gli anni ’70 e gli anni ’80, e del Sogno, a fine anni ’80. Ormai (1999) sono completati gli imponenti edifici tra via di Grotta Perfetta e via Benedetto Croce

Dunque nel giro di pochi decenni l’area ha radicalmente cambiato il suo aspetto, da abitato sparso, ad una serie di grandi insediamenti realizzati lungo le principali vie, le quali però hanno conservato l’aspetto e la portata originaria. D’altronde non potrebbe essere altrimenti, visto che per la maggior parte si tratta di vie di comunicazione storiche che non possono essere alterate. Allo stesso tempo sono stati cancellati gli sbocchi al Tevere dei tre fossi, ed uno di essi è sparito completamente.

Castel Porziano

Castel Porziano è il nome della ventinovesima zona del comune di Roma nell’Agro Romano, indicata con Z.XXIX.

Si trova nell’area sud del comune, separata dal complesso cittadino. Rientra nei territori amministrati dai municipi XII e XIII di Roma.

Tenuta Presidenziale

La Tenuta Presidenziale di Castelporziano, dista circa 25 Km dal centro di Roma e si estende su una superficie di 59 Km2 (5892 ettari)  comprendendo alcune storiche tenute di caccia quali “Trafusa, Trafusina, Riserve Nuove e Capocotta”, comprendendo circa 3,1 Km di spiaggia ancora incontaminata.

Castelporziano è in parte delimitata dalla via Cristoforo Colombo, che collega la capitale ad Ostia, dalla strada statale Pontina, che raggiunge la città di Latina ed in parte dalla strada statale litoranea che da Ostia conduce ad Anzio.

Territorio

Non è solo una Tenuta ma un mondo a sé stante: un posto bellissimo, naturale, di grande quiete a soli 16 chilometri da Roma, verso il mare, che si estende per 6.000 ettari: il suo perimetro è di quasi 50 chilometri. La sorveglianza è strettissima – anche se non si vede – per preservare questa che ormai è un’oasi verde, di così rara bellezza; dal 1979 nel territorio della Tenuta è stato imposto il silenzio venatorio; per questo non si caccia più.

La Tenuta è abitata solo nel Borgo dove risiedono stabilmente 44 famiglie tra Polizia, Carabinieri e Guardie Forestali e addetti alla manutenzione del territorio; il “Borgo”, quindi, è l’unico insediamento abitativo della Tenuta.

Storia

L’aspetto della Tenuta, come lo vediamo oggi, ricalca sostanzialmente l’assetto dato dalla Famiglia Grazioli che investì le sue ricchezze nella costruzione di strade e nella ricostruzione dell’intero castello facendo diventare il tutto un luogo signorile, un luogo ameno, dove poter ospitare il Pontefice, le personalità di Roma , d’Italia e dell’estero.

La storia della Tenuta, però, è molto più antica; il suo territorio risulta abitato dall’uomo fin dalla preistoria come dimostrano i ritrovamenti rinvenuti nel corso degli scavi per la costruzione della Via Cristoforo Colombo.

Numerosi reperti di ville di alto prestigio dell’età imperiale romana, poi, testimoniano che il luogo – corrispondente all’antico Fundus Procilianus (Agro Laurentino) – era stato scelto dall’antica aristocrazia romana per la vicinanza al mare giacché il territorio abbraccia la fascia litoranea che va da Ostia ad Anzio.

Le antiche ville romane erano collegate a Roma attraverso un capace sistema viario costituito dalla Via Ostiense, dalla Via Severiana e dalla Via Laurentina.

Nella stessa tenuta di Castelporziano ci sono ancora i resti di un acquedotto e della villa, con relative terme private fornite di calidarium, tepidarium, frigidarium e palestra, dell’imperatore Commodo (180 d. C.) che aveva scelto questa residenza in occasione della pestilenza a Roma ma che ne rimase rapito per la bellezza del paesaggio che, ora come allora, mostra un universo verde in modo così assoluto e totale da sentirsi sottratti alle leggi del tempo; se non ci fossero quei lunghi viali asfaltati si potrebbe credere di essere arrivati qua in un lontanissimo ieri perché tutto è identico a quell’età remota.

Nel piccolo museo delle Terme allestito all’interno della tenuta sono conservati parte dei reperti archeologici portati alla luce durante gli scavi: vi sono dei pezzi molto importanti e altri molto antichi di età preromana, come i frammenti di una volta dipinta e ricomposta in modo da poter testimoniare la moda del tempo.

Altro ritrovamento importante rinvenuto nella Tenuta è la statua di un discobolo;. oggi nel museo è presente soltanto una copia perché l’originale si trova al Museo delle Terme di Roma; la statua è a grandezza naturale, priva della testa, di una parte della gamba e di un braccio ma, è spettacolare.

Dopo la caduta dell’Impero romano e dopo le invasioni barbariche questa zona entrò a far parte dei beni della Chiesa, fu affidata, di volta in volta, ad alcuni feudatari di nomina del Vaticano e fu adibita sempre a tenuta di caccia perché la grande caratteristica era una flora meravigliosa tipica della macchia mediterranea e la grande quantità di animali.

Era un luogo molto amato dai nobili nel ‘700 e nell’’800 per le grandi battute di caccia.

Nel 1568 una famiglia di origine fiorentina i “del Nero” acquistano la Tenuta sostanzialmente per ricavarne del reddito. I “del Nero” ebbero grosse conflittualità con il popolo per l’inosservanza dei diritti acquisiti dalla popolazione con gli editti papali.

I contrasti si fecero ancora più accentuati e la popolazione diminuì sia a causa della malaria sia decidendo di andare altrove per le poche risorse a disposizione: il reddito derivava soltanto dall’allevamento degli animali allo stato brado, dall’utilizzo dei prodotti del bosco come il legname grosso e il legname da ardere.

La proprietà dei “del Nero” va avanti per circa tre secoli finché l’ultima rappresentante, Ottavia Guadagni, una vedova senza figli, aliena la proprietà (1824) ad una facoltosa famiglia romana i Grazioli che per l’acquisizione di meriti importanti da parte del vaticano – meriti economici – aveva bisogno di darsi un lustro, uno stemma; come già detto quest’ultima Famiglia promuove opere di varia natura per la rinascita del territorio.

Gli eventi precipitano e nel 1870 con la presa di Porta Pia i proprietari si trovano in difficoltà e vendono allo Stato italiano – tramite il Ministro delle Finanze pro tempore Quintino Sella – la Tenuta di Castelporziano; ciò per consentire al Re d’Italia Vittorio Emanuele II di coltivare la sua grande passione: la caccia che lo portava spesso ad allontanarsi da Roma per la lontana Tenuta in Toscana di S. Rossore; il territorio, quindi, entra, a far parte dei beni demaniali della Corona come riserva di caccia.

Dal 1948 è divenuta appannaggio del Presidente della Repubblica, che la utilizza sia come luogo di residenza e rappresentanza, sia come zona d’attività zootecniche, agricole e silviculturali nel rispetto dell’ambiente naturale. Totalmente recintata, è sottratta al pubblico e può essere visitata solo per speciale concessione.

Fauna e Flora

Nella zona a nord della Tenuta – lungo la valle di Malafede in un recinto di quasi 650 ettari– sono allevati i cavalli e i bovini maremmani che qui vivono quasi allo stato brado; tozzo ma forte, il primo è un mezzosangue vincitore di diversi premi dedicati alla razza; il toro, maestoso e possente con lunghe corna a forma di mezzaluna e le vacche maremmane con le tipiche corna a lira.

L’area, con i suoi circa 6.000 ettari d’ampiezza, si estende dalla spiaggia dunosa ora in gran parte aperta ai bagnanti (pur essendo uno dei pochi tratti di costa laziale in cui è quasi integra, anche se è un ambiente fragile che facilmente può essere distrutto da un eccessivo calpestio) fino ad una profondità di 9 Km. nell’entroterra.

Il 70% circa del territorio della tenuta è costituito da boschi con prevalenza di querce come la farnia, il leccio, il cerro e la sughera che comincia a fornire il sughero all’età di 25 anni con prelievi ogni sette anni – in media una sughera vive 200 anni; numerose sono anche altre piante di alto fusto: il pino domestico – più conosciuto come pino marittimo – il frassino, l’olmo, l’acero, l’ippocastano, il bagolaro, il melo e il pero selvatico, l’eucalipto introdotto per bonificare le zone paludose, nonchè tratti a  praterie, zone depresse allagate (le cosiddette “piscine”) e macchia mediterranea.

Nella zona di Capocotta la vegetazione cambia: si vedono tuje, noccioli, aranci, filliree e di notevole interesse sono le pinete, di cui la più vecchia risale al secolo scorso e una pianta di fillirea di circa 1200 anni abbraccia un rudere antico come volesse proteggerlo dallo scorrere dei secoli.

Il sottobosco è composto dalle piante tipiche della macchia mediterranea; il mirto, il lentisco, il corbezzolo, il cisto, l’erica, la ginestra, l’alloro, l’oleastro, la fillirea, il rosmarino, il rovo, il ginepro, il prugnolo, il biancospino, l’asfodelo, lo stramonio.

All’ombra di boschi si trovano un gran numero di animali che hanno resa famosa la tenuta, quali il cinghiale, il daino, il capriolo e il cervo reintrodotto nella tenuta negli anni ’50 dopo che era scomparso a seguito di avvenimenti bellici.

Ci sono anche i piccoli mammiferi quali la volpe, l’istrice, il tasso, la martora, le lepri, i conigli selvatici e tra i volatili stanziali: i fagiani, le ghiandaie e il barbagianni, i corvi, il nibbio bruno, l’airone rosso e il cinerino, le garzette, il gufo reale, alzavole e germani reali.

Le dune

Le dune, che fila dopo fila si spingono fino al mare sono ricoperte da piante erbacee come il cardo selvatico e cespugli di erbe striscianti che vivono sulla sabbia e resistono all’azione del vento salmastro.

E’ uno spettacolo che cambia con il fluire delle stagioni e che muta luce ed emozione durante la giornata; protagonista è la macchia mediterranea che si presenta su tre livelli: altofusti, arbusti e piante erbacee alternandosi con dune degradanti verso il mare.

Qui all’imbrunire è possibile udire il rumore sordo del cinghiale in corsa, gli scatti metallici degli aculei dell’istrice ed il verso dei rapaci notturni come il barbagianni.

Resti Antichi

All’interno della tenuta sono presenti numerosi resti di ville romane del tardo periodo repubblicano, per lo più utilizzate per l’attività rurale. Tra questi spiccano i ruderi della villa di Plinio il Giovane, in prossimità di quanto rimane dell’antica Via Severiana.

Villa di Plinio
All’interno della pineta di Castel Fusano, ad appena 200 metri dal confine con la tenuta di Castel Porziano e lungo quanto rimane dell’antica Via Severiana, sono stati rinvenuti i resti di una villa romana risalente all’ultimo periodo repubblicano. Gli scavi che hanno portato alla luce quella che da tutti è conosciuta come “villa di Plinio” furono condotti nel 1935, per localizzare, appunto, la bellissima residenza sul mare di proprietà di Plinio il Giovane, avvalendosi delle indicazioni per raggiungerla fornite dallo stesso in una lettera all’amico Gallo. In verità i suddetti resti non apparterrebbero alla villa di Plinio, che è invece situata a circa 1 Km. di distanza, all’interno della tenuta presidenziale (nei pressi della cosiddetta Villa Magna, in località Grotte di Piastre). I ruderi rinvenuti nell’area del Parco di Castel Fusano sarebbero attribuibili alla villa estiva dell’oratore Ortensio, vissuto tra il 114 ed il 50 a.C.
Il muro di cinta di tale villa (che è possibile visitare su appuntamento) è visibile in una vasta radura a fianco ai resti di una basilica paleocristiana, alla quale si accede allontanandosi dalla Via Severiana lungo il sentiero all’altezza del paletto numero 16. Purtroppo della struttura originaria, oggetto di scavi clandestini e spoliazioni fin dal 1700, è rimasto ben poco. Osservando i vari tipi di muratura utilizzati è stato però possibile dedurre che la struttura è stata edificata in varie fasi. Un primo impianto, costituito da blocchetti di tufo, risale all’età Giulio-Claudia. E’ poi presente un ampliamento in mattoni databile al II sec. d.C. Di particolare interesse sono una zona adibita a terme con mosaico rappresentante Nettuno circondato da fauna marina mentre guida un ippocampo, ed un altro mosaico a tessere bianche su sfondo nero, situato subito dopo l’arco d’ingresso alla villa.

Via Severiana
Ultima delle grandi strade imperiali romane, fu fatta costruire dall’imperatore Settimio Severo in un periodo molto florido per Roma, tra il 198 ed il 209 d.C., al fine di collegare Ostia e la città di Porto (la Fiumicino dell’epoca) con Anzio e Terracina. Il suo percorso costiero probabilmente seguiva il tracciato di una pista sterrata già esistente. Concepita per scopi commerciali ed in particolare per il trasporto della calce dei monti Lepini, la Severiana entrava ad Ostia da sud, passando di fronte alla sinagoga risalente al I sec. d.C. (ancora visibile lungo la strada che da Ostia Antica porta al Ponte della Scafa). Proseguiva poi, attraverso l’Isola Sacra ed il “pons Matidiae” (le cui tracce sono venute alla luce negli anni ’70, nel corso degli scavi effettuati dall’Istituto di Archeologia Cristiana dell’Università di Roma), sino a Porto (Portus Ostiensis Augusti).
Un percorso molto suggestivo, tuttora riconoscibile grazie a cospicue tracce di lastricato di basoli in pietra lavica, che, anche se solo a tratti, è visibile per oltre 5 Km. attraverso una delle principali ricchezze naturalistiche della zona (l’area di Castel Fusano, Castel Porziano e Capocotta). Proprio grazie a questa strada il traffico verso sud aumentò notevolmente e la Severiana divenne col tempo una delle vie più utilizzate di tutto l’impero. Anche per questo numerosi furono i personaggi illustri che vollero costruire le loro dimore in prossimità di essa. Imperatori, come Commodo e persino Augusto e grandi letterati, come Plinio il Giovane e l’oratore Ortensio. Resti di tali splendide ville sono ancora visibili all’interno della pineta di Castel Fusano e della tenuta di Castel Porziano.

Castel Fusano

Castel Fusano è il nome della trentesima zona del comune di Roma nell’Agro Romano, indicata con Z.XXX.
Il toponimo indica anche la zona urbanistica 13h del XIII Municipio.
Si trova nell’area sud del comune, separata dal complesso cittadino.
Insieme alla zona di Casal Palocco è la sola, delle attuali 53 del comune di Roma, i cui confini non sono delimitati da alcuno fra il GRA, il Tevere, il Mar Tirreno o un altro comune. Tutte le altre zone confinano con almeno uno di essi.

La Pineta
Situato presso il lido ove secondo la leggenda i fati condussero Enea, il parco urbano Pineta di Castel Fusano (istituito dalla Regione Lazio dal giugno 1980) si estende per oltre 1.000 ettari e costituisce la più vasta area di verde pubblico del Comune di Roma. Tale territorio ebbe nei secoli proprietari illustri, quali gli Orsini, i Corona ed i Fabi, per passare ai Sacchetti nel 1620 ed infine ai Chigi. Nel 1932 fu aquisito dal Governatorato di Roma ed aperto al pubblico l’anno successivo. Presenta zone con vegetazione più o meno fitta, a seconda che domini la macchia sempreverde autoctona (in prevalenza lecci) o il pino domestico (pinus pinea). Quest’ultimo, introdotto dall’uomo alla fine del 1600, ha dato origine ad un paesaggio monumentale che sebbene fondamentalmente artificiale ha un enorme valore storico. Un vasto lembo di macchia litoranea si estende poi parallelamente alle dune, con prevalenza di leccio, corbezzolo, lentisco, fillirea, erica arborea, mirto, alaterno, ginepro fenicio, rosmarino ed osiride.
In un simile ambiente è presente una fauna molto varia, specie per quanto riguarda gli uccelli, anche in virtù della vetusta età dei pini. Picchi, upupa, capinere, occhiotti, volatili tipici della macchia mediterranea, cinghiali, donnole, volpi, faine, ricci, istrici e tassi e non è raro incontrare esemplari di testuggine. Numerosissime sono anche le specie di insetti, a volte assai rare, che trovano rifugio nel legno putrescente di alberi morti o caduti. Nel luglio del 2000, un disastroso incendio ha interessato proprio i300 ettari della pineta monumentale secolare, costituita da pini radi di grandi dimensioni e da un folto sottobosco di piante della macchia sempreverde mediterranea. I danni sono stati ingentissimi, più di 280 sono stati gli ettari andati distrutti, e pur provvedendo ad interventi di recupero ci vorranno secoli prima di riuscire a ricostituire il paesaggio originario (in considerazione anche del fatto che il problema incendi si ripropone inevitabilmente tutte le estati).