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Grottone

L’area del Piano Particolareggiato zona “O” n.70 “Grottone” ricade nel territorio del XI Municipio, nel quadrante sud della città a ridosso della infrastruttura viaria di Via di Grotta Perfetta di carattere locale che mette in comunicazione con la Via Ardeatina di carattere interzonale.

Dati
La borgata ha una superficie complessiva, pari a 1,95 ettari, per una densità territoriale pari a 185,4 ab/ha.

Quartiere delle Conce

Sito nel triangolo di terreno a destra di chi esce dalla Porta S. Paolo fra le mura della città, la ferrovia di Civitavecchia e la via Ostiense.

Era adibito alle botteghe dei conciatori delle pelli degli animali uccisi nel mattatoio di Testaccio sito al di là delle mura.

Parco dell’ansa del Tevere-Lungotevere Dante

L’ansa del Tevere, vicino ponte Marconi e delimitata da Lungotevere Dante, presto subirà dei cambiamenti. L’attuale progetto prevede infatti la costruzione di una piscina olimpionica ed una strada ad alta percorrenza! Ma come in molti casi sul territorio nazionale e a Roma in particolare, non si tiene in alcuna considerazione le esigenze di chi vive e fa vivere questa parte di quartiere. Si potrebbe sostenere che tali mutamenti serviranno a bonificare e migliorare uno spazio oggi degradato. Può sembrare vero, ma è innegabile che qui si trova una delle rare zone tranquille ed ecologicamente recuperabili del quartiere; ed è sicuramente vero che si farà con cemento ed asfalto, tagliando fuori tutto quello che già esiste. Si intende riqualificare l’ansa di Lungotevere Dante, ma in modo alternativo e funzionale. A tale proposito è stata data vita ad un comitato di cittadini ed abitanti della zona. La scelta è indipendente e non è legata ad alcun partito o candidatura politica, ma è il primo passo compiuto liberamente dai cittadini che si sono organizzati per esprimere il proprio parere sul processo di trasformazione che investirà il quartiere nel quale vivono. Il comitato è sorto per creare uno spazio collaborativo di confronto e dialogo e, soprattutto fornire uno strumento per “dar voce e gambe” alle scelte fatte.

Appia Antica

Appia Antica Nord

Appia Antica Nord è il nome della zona urbanistica 11x del XI Municipio del comune di Roma. Si estende sui quartieri Q.IX Appio e Q.XXVI Appio Pignatelli e sulla zona Z.XXI Torricola.

Popolazione: 2.628[1] abitanti.

Appia Antica Sud

Appia Antica Sud è il nome della zona urbanistica 11y del XI Municipio del comune di Roma. Si estende sulla zona Z.XXIII Castel di Leva.

Popolazione: 437[1] abitanti.

Parco naturale regionale Appia antica

Il Parco naturale regionale dell’Appia antica è un’area protetta di 3400 ettari istituita nel 1988 dalla Regione Lazio all’interno dei territori comunali di Roma, Ciampino e Marino, a cavallo tra l’Agro Romano e i Colli Albani lungo la direttrice della via Appia Antica. Al suo interno sono ricompresi, tra l’altro, la Caffarella e il Parco degli Acquedotti.

Caffarella

La Caffarella è una valle alluvionale creata dal fiume Almone.  È interamente nel comune di Roma ed è parzialmente patrimonio del Parco Regionale dell’Appia Antica.
È ricca d’acqua, che affiora da falde e sorgenti.
Il nome origina dall’unificazione delle tenute ivi preesistenti attuata nel ‘500 dalla famiglia romana Caffarelli.

L’ALMONE E LE SORGENTI DELLA CAFFARELLA

 Il bacino idrografico dell’Almone era un tempo separato da quello dell’Acqua Mariana. Oggi invece le loro acque si mescolano prima di giungere alla valle della Caffarella.

La valle della Caffarella, formatasi geologicamente in seguito all’eruzione del “Vulcano Laziale” lì dove ora sono i Colli Albani, è ricchissima di acque provenienti oltre che dall’Almone anche dalle numerose sorgenti disseminate lungo l’ampio territorio della valle. Tra queste le più famose sono quelle dell’Acqua Santa e quelle del cosiddetto ninfeo Egeria.

Originariamente pare che le acque dell’Almone avessero origine dalla sorgente Ferentina presso Marino e che poi dai Colli Albani si gettassero nel Tevere, all’inizio della via Ostiense. In quest’ultimo punto, in epoca romana, come narra Ovidio (Fasti v. 335) avveniva, il 27 marzo di ogni anno, una solenne cerimonia religiosa che consisteva nel lavacro della statua della dea Cibele e dei suoi arredi sacri. Il rito, chiamato “lavatio matris deum” avveniva nel bel mezzo di una festa orgiastica, in cui i partecipanti si abbandonavano a danze sfrenate, mentre un anziano sacerdote in veste purpurea compiva i lavacri.

L’origine del rito si fa risalire al tempo della seconda guerra punica, nel III secolo d.C. Difatti in quel periodo, da una profezia contenuta nei libri sibillini si evinceva che se un nemico straniero (Annibale) avesse portato la guerra in Italia, sarebbe stato cacciato e vinto solo se la Magna Mater (Cibele madre di tutti i dei) fosse stata trasportata da Pessinunte a Roma. Partì così subito una delegazione per Pessinunte, in Asia Minore, nel regno di Antalo, re di Pergamo, alleato dei Romani. Per inciso allora si faceva risalire l’origine di Pergamo a Troia, come quella di Roma.

In questa città esisteva il più prestigioso tempio dedicato a Cibele : da questo fu prelevata una grossa pietra sacra (forse un meteorite) e trasportata a Roma per collocarla in un apposito tempio costruito sul Palatino. Sennonché la nave che trasportava la pietra si incagliò proprio alla confluenza dell’Almone con il Tevere, per cui i sacerdoti di Cibele procedettero a solenni riti di purificazione, dopo di che, secondo la leggenda, fu possibile riprendere la navigazione. Grati alla dea, le autorità religiose decisero di far ripetere ogni anno la cerimonia lustrale, che si svolse annualmente addirittura fino al 389 d.C., anno in cui fu abolita per incompatibilità con la religione cristiana.

Lungo il corso dei secoli l’Almone ha subito una miriade di deviazioni e canalizzazioni, motivate soprattutto dalla necessità di irrigare i campi attigui, che da sempre sono coltivati, nella fertile valle della Caffarella. Oggi il suo percorso è riconoscibile fino all’aeroporto di Ciampino a monte e a valle fino a dove incrocia l’Appia Antica. Da qui purtroppo il fosso viene intubato nel collettore di Roma Sud.

Per quanto riguarda il suo nome, Almone, gli è stato dato, secondo l’Eneide dall’omonimo eroe troiano, figlio di Tirro, custode degli armenti dell’esercito troiano, morto nella guerra tra troiani e latini che precedette la fondazione di Roma.

Tuttavia altri nomi gli sono stati dati nell’evolversi dei tempi, tra cui quello di “acquataccio”, sul cui significato esistono due versioni contrastanti : secondo la prima, il termine deriverebbe da “Acqua d’Accia” cioè da “Acqua d’Appia” ; per la seconda versione, meno accreditata, gli deriverebbe dall’aspetto acquitrinoso della valle della Caffarella, in epoca medioevale e rinascimentale. Del resto al fiume, in epoca moderna, sono stati dati altri nomi come “marrana della Caffarella” e “fosso dello Statuario”

Per quanto riguarda le sorgenti, quella dell’Acqua Santa, un’acqua dalle decantate virtù terapeutiche sin dall’antichità, si trova in via dell’Almone, nome dato alla via che dal 1920, congiunge l’Appia Nuova con l’Appia Pignatelli.

La sorgente Egeria si trova invece inserita nell’omonimo ninfeo, ai piedi della collina dove c’è Sant’Urbano. In quel luogo formava un celebre “lacus salutaris”, così chiamato per la terapeuticità delle sue acque.

La Marrana

Nel Parco dell’Appia Antica, oltre al fiume Almone esiste un altro corso d’acqua, che ha rivestito una notevole importanza nei secoli passati, a partire dal periodo medievale.

Le sue acque difatti furono utilizzate oltre che in agricoltura anche per fornire l’energia necessaria ai numerosi mulini e opifici vari che sorgevano lungo il suo percorso. Oggi purtroppo appare come una vera e propria fogna a cielo aperto a causa degli scarichi che riceve nel territorio di alcuni comuni che attraversa come Grottaferrata, Marino e Ciampino.

La sua storia è antica e risale al Medioevo. L’antica Roma, come è noto, era servita da un sistema di acquedotti (11) che ne facevano la città meglio servita del mondo antico (13 metri cubi al secondo contro i 15 di oggi e i 12 del 1970) e in alcuni casi anche di alcune città moderne. A partire dall’assedio dei Goti di Vitige (539 d.C.), che tagliarono gli acquedotti per impedire l’approvvigionamento idrico della città, queste importanti strutture iniziarono il loro periodo di decadenza.

Così nei secoli successivi solo l’acquedotto Vergine continuò a funzionare e gli abitanti di Roma furono costretti ad usare i pozzi e le acque del Tevere. Per avere una nuova fonte di acqua potabile ci sarebbero voluti oltre mille anni con la costruzione dell’acquedotto Felice (1587). Comunque nel 1122 papa Callisto II, vista la penuria di acqua, decise di costruire un canale artificiale per riportare l’acqua nelle campagne e servire i mulini, che numerosi sorgevano anche all’interno delle mura Aureliane, per l’appunto la Marrana dell’acqua Mariana. Il suo nome si pensa che derivi dal fatto che all’origine attraversa dei territori denominati anticamente “ager maranus”; da questo il termine “marrana” che poi è stato esteso a tutti i fossi dei dintorni di Roma. Il percorso iniziale utilizzava un fosso preesistente detto dell’acqua Crabra e prendeva le sue acque da Squarciarelli e dalla fonte La Preziosa, tra Marino e Grottaferrata, cioè dalle stesse acque che rifornivano gli antichi acquedotti romani Tepula  e Julia. Il canale quindi seguiva gli antichi acquedotti e scendeva verso Roma. Vicino a villa dei Centroni, a Morena, tramite una diga quest’acqua veniva incanalata in un condotto sotterraneo appartenente all’antico acquedotto Claudio. Uscito allo scoperto il fosso attraversava la tenuta di Roma Vecchia, dove formava, almeno fino agli anni ’30 del nostro secolo, un laghetto dove vi erano anche i pesci. Quindi proseguiva verso Roma, attraversava la via Tuscolana a Porta Furba, passava per via del Mandrione e costeggiando a distanza la Tuscolana giungeva a porta di San Giovanni, formando un laghetto. Quindi costeggiava le mura, passando lì dove ora è via Sannio. Entrava in Roma a porta Metronia, quindi percorrendo l’odierna Passeggiata Archeologica e passando attraverso il Circo Massimo, si gettava nel Tevere accanto alla Cloaca Massima.

Oggi il suo tracciato, in seguito all’urbanizzazione, è completamente cambiato. Così all’altezza di Roma Vecchia è stato deviato e ora confluisce nell’Almone.

Da notare come dal medioevo fino agli anni ’60 sia esistito un organismo di gestione delle acque, all’inizio appartenente alla Basilica di S. Giovanni e poi nell’800 trasformatosi in consorzio di gestione autonomo. Ciò testimonia l’importanza economica del fosso.

Torricola

Torricola è il nome della ventunesima zona del comune di Roma nell’Agro Romano, indicata con Z.XXI.

Si trova nell’area sud della città, a ridosso ed internamente al Grande Raccordo Anulare.

Casal Rotondo

Al VI miglio dell’Appia Antica si trova un grande mausoleo chiamato Casal Rotondo a causa di un piccolo casale, ora trasformato in villa, che vi fu costruito sulla sommità. 
Il sepolcro, di età augustea, è formato da un corpo cilindrico, originariamente rivestito di travertino, impostato su un basamento quadrangolare di 35 metri per lato. Un’iscrizione frammentaria con il nome di Cotta fece credere all’archeologo Luigi Canina che si trattasse del monumento funebre eretto per Messalla Corvino, console nel 31 a.C., dal figlio Messalino Cotta, avvocato e letterato dell’epoca di Augusto, mentre sembra riferirsi ad un altro sepolcro, anch’esso in forma di edicola circolare, con tetto conico a squame coronato da un pinnacolo, attribuibile, in base ad un frammento d’iscrizione, ad un membro della famiglia degli Aureli Cotta. 
Questa iscrizione, insieme ad altri frammenti architettonici, furono murati nella parete laterizia a fianco del mausoleo (nella foto a sinistra) tra il 1830 e il 40 dallo stesso Canina: le nicchie in basso risultano prive di alcuni pezzi che sono stati rubati dai soliti imbecilli.
Sulla spianata superiore del monumento fu costruita nel XIII secolo, con piccoli rettangoli di peperino, una torre nel tempo trasformata in piccolo casale con stalle, fienili ed un uliveto.
Illustri e nobili famiglie romane, nell’arco dei secoli, hanno abitato la casa divenuta poi una villa. 
Ricordiamo i Savelli, i Giustiniani, i Merolli, i Pichi, i Santacroce, i Gabrielli e i Torlonia.

Tor Carbone

Tor Carbone era alla fine degli anni ’80, nel quadrante compreso tra via di Grottaperfetta e via Ardeatina, la lottizzazione “sorella” di quella prevista nella Tenuta di Tor Marancia. Anche in questo caso l’area rimasta libera dall’edificazione era indicata nel Piano Regolatore Generale (P.R.G.) del 1962 come zona di espansione edilizia.
Identico il carattere di speculazione fondiaria che accomuna le vicende dei due comprensori ed evidente l’intento di sfruttare la vicinanza dell’Appia Antica per garantirsi elevati livelli di redditività dell’investimento sostenuto. I due interventi edilizi previsti, che insistevano nello stesso bacino idrografico del Fosso di Grotta Perfetta, vennero trattati separatamente dall’Amministrazione Comunale.
Sono note a molti le vicende che hanno portato alla salvaguardia della Tenuta di Tor Marancia, grazie all’apposizione del vincolo di tutela e non edificabilità della zona da parte della Soprintendenza Archeologica di Roma (21.1.2001). Tale vincolo ha prodotto la successiva delibera regionale di inserimento di Tor Marancia nei confini del Parco Regionale dell’Appia Antica (Testo Unico n° 12-28-49-97-144 e 211 del 18/04/02).
Purtroppo l’area di Tor Carbone ha avuto una sorte diversa. Sebbene le licenze edilizie fossero state rilasciate prima dell’inizio del loro mandato (cioè in un periodo di commissariamento dell’Amministrazione capitolina) l’allora Sindaco di Roma, Francesco Rutelli e l’Assessore all’Urbanistica, Domenico Cecchini, divennero ben presto sostenitori dell’intervento tanto che il sollecito rilascio delle autorizzazioni per le opere di urbanizzazione impedì qualsiasi iniziativa legale delle Associazioni e dei Comitati per impedire l’apertura dei cantieri.
In quel frangente maturarono le condizioni che hanno portato anche a quella eccezionale mobilitazione popolare, tanto importante per l’annullamento della edificazione a Tor Marancia.
Va precisato che il comprensorio di Tor Carbone (così come quello di Tor Marancia) era stato destinato all’edificazione nell’ambito di un accordo politico (che avrebbe portato, in seguito, alla Variante al PRG denominata “Piano delle Certezze”) che individuava a livello cittadino le aree edificabili e quelle destinate alla istituzione di aree protette.
Dunque a Tor Carbone, area morfologicamente forse ancor più interessante di Tor Marancia, grazie ad una maggiore copertura vegetale, i costruttori riuscirono ad edificare ed il paesaggio attuale assume un aspetto del tutto diverso.
Via della Fotografia rappresenta l’asse centrale del comprensorio Tor Carbone (400 mila m3); qui le ultime abitazioni ancora in costruzione vengono offerte a circa 6mila euro a metro quadrato di superficie abitabile. Non si tratta, quindi, di edilizia economica e popolare ma di abitazioni pubblicizzate e vendute come “signorili”, a prezzi record.
Unica porzione rimasta non edificata è un piccolo poggio, ormai circondato dal nuovo quartiere, dove sorge un casale del ‘700: nella stalla attigua il Sovrintendente Adriano La Regina individuò i resti di un Tempio romano.

La Torre
Percorrendo la Via Appia Antica, pressappoco al km 5, si arriva all’incrocio con Via di Tor Carbone, giriamo a destra, per poi imboccare via Papirio Carbone e ci troviamo di fronte a Tor Carbone.
Da uno slargo sterrato, si può ammirare la torre distante poche decine di metri; un ulteriore avvicinamento è reso difficile dalla vegetazione incolta.
Purtroppo da questo punto è impossibile rendersi conto della magnifica posizione che la torre occupa, un’altura dominante l’ampia pianura percorsa dalla via Ardeatina; soltanto provenendo dall’Ardeatina, ci si può rendere conto dell’effettivo dislivello.
La torre risale presumibilmente al XIII secolo e dovrebbe essere costruita sui resti di un’antica villa rustica, di cui sono stati rinvenuti pochi resti nel 1919.
Si pensa che la costruzione risalga alla famiglia dei Rustici: infatti, alla fine del XIV secolo, una tal Brigata dei Rustici, moglie di Lelio della Valle, portò come dote numerosi beni, tra cui non si esclude che vi fosse anche la torre.
Si è certi che nel secolo XV il suo possessore era Nicolò della Valle, figlio di Lelio e Brigida Rustici. Quindi il passaggio di proprietà dovette essere diretto, in quanto nel 1403 Giovanni Bucci Iacquitelli è indicato come proprietario del Casale di Tor Carbone.
In seguito la torre spettò ai Cenci che la cedettero al Capitolo di S. Giovanni in Laterano; da allora prese il nome di “Torre di S. Giovanni”; come tale è indicata nel 1547.

Piuttosto complessa è la questione del nome. Tomassetti suppose un collegamento con uno dei vari Papirio Carbone dell’antica Roma, che avrebbe avuto qui una proprietà suburbana; il cognomen avrebbe dato il nome alla tenuta.
Una riprova sarebbe in una delle lastre marmoree oggi affisse presso la Porta dei Morti (la prima a sinistra) della Basilica Vaticana: l’epigrafe riguarda una donazione – fatta da un papa Gregorio (probabilmente Gregorio II: 717-731) – di una serie di oliveti da cui ricavare olio per l’illuminazione. Tra gli uliveti donati è citato l’olibetum in fundo Canaino et Carbonaria all’interno della Massa Trabatiana, in patrimonio Appiae.
Secondo Tomassetti, questo fondo Canaino e Carbonaria corrisponderebbe proprio alla tenuta di Tor Carbone. Ora però, dei dodici fondi della Massa Trabatiana, Tomassetti riuscì a trovare un aggancio in zona solo per altri due (il fundus Cattianus e il fundus Borreianus); ma va specificato che nella medesima massa è citato un fundus Iulianus, che lo stesso Tomassetti mette in relazione con il paese di Giulianello, nel territorio di Cori! Oltretutto la gran parte delle Massae citate nell’epigrafe sono state identificate tra Lanuvio e Velletri.
Dunque, è tutt’altro che certo che il fondo Canaino et Carbonaria (come del resto tutta la Massa Trabatiana) sia da individuare in questo tratto dell’Appia.
Se allora il collegamento tra Tor Carbone e il toponimo Carbonaria è di fatto molto labile e se è assolutamente inconsistente l’ipotesi secondo cui il nome della tenuta trae origine dall’antichità, è da supporre che il toponimo sia tutto medioevale.
In mancanza di fonti documentarie certe, è necessario prendere in considerazione l’ipotesi più semplice, ovvero che la torre sia da mettere in relazione con la nobile famiglia dei Carboni, che aveva vasti interessi nella Campagna Romana e che in città era acquartierata nel rione Monti; lungo l’attuale via IV Novembre, ancora sopravvive Torre Colonna, che fu costruita sul finire del sec. XII da Gildo Carboni.
Oltretutto se un atto del 1403 – citato da Giovanni Maria De Rossi – si riferisse proprio alla torre presso l’Appia, avremmo un punto fermo a favore della sua attribuzione ai Carboni: infatti nel documento è trattato il passaggio di proprietà della torre a favore di Iohannes Bucci Iacquitelli che dovrebbe essere il figlio di quel Buzio di Ianquitello Carboni che nel 1351 è proprietario della Tor Carbone sulla Labicana (e infatti, in alcuni documenti del 1393, proprio Ianni di Buzio di Ianquitello è detto Giovanni Carbone).

Nelle immediate vicinanze di Roma esistono altre due tenute denominate Tor Carbone e attestate già in età medioevale: una sull’antica via Labicana (l’attuale via Casilina) e una sulla via Portuense nei pressi del Castello della Magliana. Poiché entrambe le tenute furono per certo di proprietà dei Carboni, l’ipotesi di accreditare anche la tenuta sull’Appia a questa famiglia può essere ritenuta quanto meno pertinente.

La torre è abbastanza ben conservata, anche se la parte superiore non esiste più, è alta circa 8 metri, con sette metri di lato, ed è quadrata. Anche se è costruita con blocchetti irregolari di selce, in molti punti presenta alcuni frammenti di tufo, marmo e peperino.
Massiccia (lo spessore del muro in basso è di circa m. 1.50) e quadrata (circa 7 metri per lato).
L’ingresso era sul lato nord; nell’interno si notano la volta che ricopriva il piano terra e tre nicchiette, inoltre si scorgono alcune feritoie alquanto strette e vari buchi per le impalcature lignee.
Tutte le aperture risultano molto manomesse e in cattive condizioni. L’ingresso è sul lato nord-ovest ed è sovrastato da una finestra (ma potrebbe trattarsi anche di un porta poi ridotta a finestra) oggi quasi completamente tamponata con scaglie di selce e altro materiale erratico. Altre due finestre si aprono al primo piano sulle pareti nord-est e sud-est; a tutte le aperture sono stati tolti gli stipiti. Si scorgono inoltre su tutte le pareti alcune feritoie alte e strette e tre ordini di buchi per le impalcature lignee.
All’interno, tre nicchie ad arco rotondo si aprono a circa un metro da terra; una robusta volta sostiene il primo piano, mentre è scomparsa la volta superiore benché se ne veda l’imposta nel lato sud-est.

Ardeatino

Ardeatino è il nome del ventesimo quartiere di Roma, indicato con Q.XX.

L’Ardeatino è un quartiere molto eterogeneo ad alta densità abitativa.
Quartiere costituito da complessi residenziali e da illustri vestigia del passato, come le Fosse Ardeatine e la zona della Via Appia antica, che ne delimita il confine orientale. Il quartiere Ardeatino si estende a ridosso di Via Cristoforo Colombo. In questa zona nuove costruzioni sorgono al fianco di borgate un tempo appartenenti alla periferia, come Tor Marancia e Laurentina.

Storia

Nei primi giorni di settembre del 1943, dopo l’armistizio, il quartiere, come molte altre zone del sud di Roma fino ai Castelli, fu teatro di diversi combattimenti tra la popolazione resistente e i nazifascisti. Nel dopoguerra fu eretto, nella piazza della zona detta Montagnola, un monumento ai caduti circondato da un parco pubblico, a ricordo dei tragici eventi del 1943. Il 24 marzo 1944, presso le Fosse Ardeatine, avvenne uno dei più efferati atti di rappresaglia dell’esercito di occupazione tedesco.

Struttura
Il quartiere Ardeatino mutò la propria fisionomia intorno al 1934, quando si assistette ad un profondo cambiamento della zona con la costruzione di villini e di piccole vie. Fino a quel momento gli spazi che caratterizzavano il quartiere offrivano un panorama libero e arioso di campi e terreni legati al paesaggio della campagna romana.
Il quartiere nasce così intorno a diversi nuclei storici: lungo il confine è possibile ammirare le catacombe di S. Callisto, quelle di S. Sebastiano e quelle di S. Domitilla.

Lungo la via Appia Antica, inoltre, le affascinanti memorie della Roma archeologica consentono di cogliere il senso del tempo che passa e che traspira dai ruderi degli antichi sepolcri, mantenendo intatta una delle più sacre memorie della cristianità.

E’un quartiere nobile per le memorie funerarie: quelle dei patrizi romani pagani e quelle dei martiri cristiani, da Petronilla a Domitilla, fino ai Ss. Pietro e Paolo, che custodisce anche la più recente memoria dell’eccidio delle Fosse Ardeatine.

L’Ardeatino, infine, è anche quartiere di chiese moderne e di sculture contemporanee, è quartiere militare per la presenza del forte Appio e della campagna romana dove ancora scorre il fosso di Grotta Perfetta.

Navigatori

Navigatori è il nome della zona urbanistica 11d del XI Municipio del comune di Roma. Si estende sul quartiere Q.XX Ardeatino.

Tre fontane

Tre fontane è il nome della zona urbanistica 11f del XI Municipio del comune di Roma. Si estende sul quartiere Q.XX Ardeatino.

Valco San Paolo-Marconi

Marconi
Il quartiere è delimitato dal fiume Tevere, il quartiere Garbatella, la Cristoforo Colombo.

Fino all’inizio del Novecento questa area è rimasta nella condizione tipica che ha caratterizzato i territori dell’Agro a ridosso della città: un paesaggio di pascoli, orti e vigneti, con poche attività artigianali o legate alla trasformazione dei prodotti del settore primario.

Al centro di questo quadro semirurale si ergeva la Basilica di San Paolo e, dall’altra parte della via Ostiense, il Casale Garibaldi.

Lo sviluppo edilizio della zona è legato all’espansione industriale dell’Ostiense: sorgono così gli edifici lungo la via omonima ed il “borgo – giardino” sulla Collina Volpi (soprattutto villini).

Al secondo dopoguerra risalgono gli insediamenti intensivi che contraddistinguono il quartiere. Si inizia con la zona di Valco San Paolo, in cui a partire dal 1949 sorge il quartiere INA – Casa, e si prosegue nei decenni successivi: da un lato a colmare i vuoti della parte opposta di viale Marconi, dall’altro lungo l’area attorno a via Giustiniano Imperatore. Oggi quest’ultima porzione è al centro di un ampio progetto di riqualificazione, a causa dei gravi problemi idrogeologici che la interessano.

Il resto della zona è stato investito nell’ultimo decennio dalle trasformazioni dettate, prevalentemente, dall’insediamento della Terza Università di Roma, la quale ha riconvertito gran parte dell’area della Vasca Navale e dell’Ostiense, ed ha costruito nuovi insediamenti presso viale Leonardo da Vinci e via G. Chiabrera.

Valco San Paolo
Valco San Paolo è il nome della zona urbanistica 11b del XI Municipio del comune di Roma. Si estende sul quartiere Q.X Ostiense, occupando un’ansa del fiume Tevere.

Il Cinodromo
Il Cinodromo di Roma, aperto nell’autunno del 1928 al quartiere Flaminio, presso il campo sportivo La Rondinella (noto perché l’8 dicembre di quell’anno ospitò il primo derby della storia: Roma-Lazio), era stato trasferito nel 1958 nell’attuale sede di via della Vasca Navale nei pressi di Ponte Marconi.
All’impianto, nel corso degli anni, erano stati apportati miglioramenti tecnici e ricettivi, con l’intento di promuoverne le attività e di allargare il bacino d’utenza del pubblico cittadino ma il 24 maggio 2002 la Snai, che ne era proprietaria, dopo 74 anni di attività annuncia la messa in liquidazione della società che lo gestisce, con la sua conseguente chiusura, licenziamento di 40 dipendenti e messa a dimora di 400 levrieri.
Causa del tramonto del Cinodromo una concomitanza di fattori negativi: un campo di nomadi abusivo che negli anni ha circondato l’impianto (chi voleva frequentare il Cinodromo doveva mettere in conto anche qualche furto nella propria automobile o addirittura il furto completo dell’auto), e che certo non ha facilitato l’ampliamento della struttura, o ancora la via di accesso al Cinodromo da sempre dissestata, oltre a un settore utilizzato da mezzi dell’AMA.
Dal 2002 i locali dell’ex cinodromo vengono occupati da LOA Acrobax, un centro sociale autogestito, il più temuto e potente centro sociale antagonista di Roma: precari, studenti universitari, disoccupati: “acrobati” perché sospesi sul filo della precarietà. 
Dal 2002, data dell’occupazione, sono iniziate nel centro varie attività ludiche (concerti, dancehall, partite di rugby con tanto di squadra ufficiale, gli All Reds che milita nel campionato di serie C) e culturali (tra le tante il cinema drive-in ed una mediateca situata in un vecchio tunnel convertito a sala computer).
Il centro, o meglio Laboratorio, è anche impegnato in lotte sociali e politiche, con un occhio di riguardo per il precariato metropolitano (a cui è dedicato il festival Incontrotempo), il diritto alla casa, il peer-to-peer, il carcere, le lotte contro la repressione e il neofascismo e alle morti sul lavoro collaborando al comitato “stop morti sul lavoro” dedicato al militante di Acrobax Antonio Salerno Piccinino morto sul lavoro il 17 gennaio 2006.
Dal 2007 collabora con il comitato degli abitanti “Ansa del Tevere” per la riqualificazione dell’area di lungotevere Dante con la costruzione di un parco polifunzionale con pista ciclabile lungo il fiume capitolino.
Da marzo 2008 è in funzione una sala prove/studio di registrazione “Renoiz” dedicata a Renato Biagetti ucciso a Focene il 29 agosto 2006.

Ottavo Colle-Roma 70-Tenuta di S. Alessio

Ottavo Colle

Il quartiere è delimitato da via di Vigna Murata, via Laurentina, via del Tintoretto, via Ballarin, via Ardeatina.

A partire dagli anni Sessanta il Municipio si espande verso lungo la direttrice di via di Grottaperfetta: con il passare degli anni numerosi edifici vengono costruiti coprendo quasi per intero l’Ottavo Colle e le zone vicine.

Si costruisce tutto il quartiere di Ottavo Colle – Tintoretto, proseguendo l’edificazione alle spalle di via F. De Vico e via Padre Lais congiungendo il vecchio nucleo del Serafico con la “zona dei licei” (Peano, Primo Levi e De Pinedo). Oltre alla presenza delle scuole (ai licei sopraindicati vanno aggiunti importanti istituti privati), Ottavo Colle-Tintoretto si contraddistingue  come zona residenziale e quale moderna sede di uffici, banche e sedi di società del terziario avanzato.

Alle spalle delle nuove edificazioni rimangono ancora lembi di campagna, preziosi spazi verdi per tutto il territorio.

Roma 70-Rinnovamento

Roma 70 è il nome di un’area urbana dell’XI Municipio di Roma. Si estende sul quartiere Q.XX Ardeatino.
È situata a sud della capitale, all’interno del Grande Raccordo Anulare, nella zona urbanistica 11g Grottaperfetta.

La zona, nota anche con il nome de I granai, è sorta come agglomerato residenziale (piano di zona 39 Grottaperfetta) in un’area anticamente occupata dai granai di Nerva. In quest’area, infatti, la tradizione racconta che l’imperatore Marco Cocceio Nerva fece concentrare i depositi di grano dell’Urbe.
E’ uno dei tanti piccoli quartieri di Roma. Sono piccoli paesi con una loro fisionomia ed altri ne stanno nascendo, con l’avanzare del cemento.
Quartiere caratterizzato da edifici affastellati e da strade tortuose, si raccoglie oggi attorno al nucleo vitale costituito dal grande centro commerciale “I Granai”.
I quartieri si sviluppano lungo via di Grottaperfetta fino al “Dazio”, tra il parco di Tormarancia e il quartiere Ottavo Colle – Tintoretto.

L’espansione iniziata negli anni Sessanta lungo presso l’Ottavo Colle, prosegue dal decennio successivo in quest’area: nascono così i quartieri di Rinnovamento e Roma 70.
Area residenziale per ceto medio impiegatizio (in alcune parti di Roma 70 e per buona parte di Rinnovamento si può parlare di tagli abitativi signorili), ha da poco recuperato un importante cuore verde con grandi potenzialità di attrazione culturale: il Forte Ardeatino ed il parco circostante, quest’ultimo riqualificato e restituito ai cittadini nel 2006.

La Tenuta di S.Alessio 

Tra i quartieri Ottavo Colle, Prato Smeraldo, Fonte Meravigliosa e Roma 70, a confine tra il XII e l’XI Municipio del Comune di Roma, si estende la Tenuta di S.Alessio, una superficie di 67 ettari prevalentemente verde, sede di un prestigioso Istituto scolastico: l’Istituto Tecnico Agrario “Giuseppe Garibaldi”. 

Si tratta di un pezzo di Campagna Romana, rimasto pressoché intatto per oltre 100 anni a discapito della pressante urbanizzazione.
Per i cittadini che le girano intorno quotidianamente, oggi guardare dentro la Tenuta di S.Alessio è come affacciarsi ad una finestra sul passato. Chi si affaccia a questa finestra può rivivere, qui come nel vicino Parco dell’Appia Antica, quella ruralità della Campagna Romana che è ormai relegata quasi ovunque oltre i margini della città. 
La Tenuta di S.Alessio è da anni perfettamente inserita nel contesto urbanistico dei limitrofi quartieri, frequentata dai cittadini che la utilizzano come sentiero pedonale verde per i loro spostamenti, per passeggiate con gli amici a quattro zampe, per corse rinvigorenti, o semplicemente per ritrovare un po’ di tranquillità. 

Quest’area presenta caratteristiche ambientali di grande pregio con presenza di specie protette (istrice, civetta, barbagianni, nibbio bruno, gheppio), vegetazione arborea di interesse storico (relitti delle piantagioni della bonifica di fine ‘800), paesaggi agricoli e rurali di valenza storica, emergenze archeologiche importanti. Essa rappresenta una componente importantissima della rete ecologica della città, fondamentale per garantire la connettività funzionale tra l’area di Tor Marancia a nord, quella del Fosso della Cecchignola a sud, e la tenuta di Tor Carbone a est. Si tratta di corridoi di collegamento che vanno salvaguardati per favorire la continuità territoriale ed ecologica tra aree urbane ad elevata frammentazione ambientale.

L’istituto Agrario
L’Istituto G.Garibaldi opera da circa un secolo nella Tenuta di S.Alessio. E’ una scuola di grande interesse e utilità sociale, frequentata da centinaia di studenti provenienti da tutta l’area romana. Gli ettari in uso alla scuola erano, al momento dell’affidamento, oltre 100. Nel corso del tempo furono via via scorporate delle parti di territorio, sia per usi pubblici (istruzione e ricerca) che privati (abitazioni residenziali). Nel corso di un secolo, le varie cessioni hanno tolto alla Tenuta circa 40 ettari, e questo stillicidio non si è ancora fermato, e rischia di minare seriamente la possibilità di sopravvivenza di questa splendida area

Nel 1907 la Regia Scuola Pratica di Agricoltura, costituita nel 1872, viene trasferita nella località in cui opera ancora oggi e cioè nella Tenuta di S.Alessio, racchiusa tra le attuali Via di Vigna Murata, Via Ardeatina, Via Erminio Spalla e gli istituti scolastici superiori che si affacciano su Via di Grotte d’Arcaccio.
Tre anni dopo il trasferimento, nel 1910, il Tenimento viene affidato in modo permanente alla scuola agraria. Il Ministero dell’Agricoltura, Industria e Commercio affida in enfiteusi perpetua i fondi demaniali detti “Regio Campo Sperimentale e lotti 13 e 14 delle tenute di S.Alessio e Vigna Murata nell’Agro Romano”… con l’obbligo di stabilirvi la Regia Scuola Pratica di Agricoltura”, alla Provincia di Roma che dal quel momento gestirà la scuola ed i poderi. 
Il territorio ceduto in enfiteusi per la Regia Scuola Pratica di Agricoltura occupa una superficie totale di 102.44.70 ettari, posta a cavallo dell’attuale Via di Vigna Murata. Di questi, 82.93.70 ettari sono compresi nella Tenuta di S. Alessio (Regio Campo Sperimentale), e 19.51 sono costituiti dai Lotti 13 e 14 della Tenuta di Vigna Murata (rispettivamente 10.20 ettari il primo e 9.31 il secondo) , separata dall’altro Tenimento dal Fosso di S. Alessio e dalla strada interpoderale (sul tracciato della quale è stata successivamente realizzata la Via di Vigna Murata). 
L’11 febbraio 1911, con il n. 21015, il contratto viene registrato alla Corte dei Conti, e da questo momento il Demanio dello Stato, con il ruolo di proprietario, e la Provincia di Roma, in qualità di beneficiario, saranno i soggetti che regoleranno la vita dell’Istituto in ordine al patrimonio territoriale e alle strutture che in esso sono presenti.
Viene inoltre sancito l’obbligo per quest’ultima del miglioramento e dell’uso dei terreni esclusivamente ai fini dell’istruzione agraria, pena la devoluzione del fondo. Questo è un aspetto centrale del contratto, ed è un principio al quale si è fatto riferimento, dopo circa un secolo, quando (nell’estate del 2005) l’amministrazione provinciale ha manifestato l’intenzione di alienare questi beni.

Nonostante il suddetto vincolo, dopo pochi anni di gestione i terreni destinati all’Istituto Agrario cominciano ad assottigliarsi e si trasformano da aree agricole di pregio, in aree edificate residenziali o a servizi.
Non molto tempo dopo, infatti, il terreno rientrante nei due lotti di Vigna Murata viene ceduto all’Opera Nazionale per gli orfani dei contadini morti in guerra, quindi gli ettari a disposizione della scuola diminuiscono e diventano circa 80.
Questo evento accade in un periodo che va dal 1914 al 1924, anno in cui viene realizzato uno studio finalizzato alla riforma della Scuola stessa e dal quale risulta che l’Istituto utilizza soltanto i terreni a nord di Via di Vigna Murata. Nel 1924, infatti, viene compiuta un’indagine il cui fine è quello di redigere e preparare i nuovi programmi e il nuovo ordinamento di quella che ha ancora come nome Regia Scuola Pratica di Agricoltura, ma che proprio nel corso dello stesso anno, passerà ad essere la Regia Scuola Agraria Media di Roma.
L’idea era quella di promuovere e realizzare un’azienda tale da essere un polo di riferimento, almeno per tutte le aziende agricole della zona costiera. Va inoltre ricordato che in questo periodo, e sarà così almeno fino alla metà degli anni Sessanta, la scuola è situata fuori dalla città, e i collegamenti pubblici sono inesistenti. Per favorire lo sviluppo e per ovviare alle difficoltà di raggiungimento, vengono fatte proposte per migliorare e valorizzare le strutture già presenti e per costruirne di nuove. Fra queste vi è la scuola convitto: approvata con delibera del 22 maggio del 1923 dalla Regia Commissione e realizzata nel 1928.
Nell’ottobre 1933, in base alla legge n. 889 del 15 giugno 1931, la Scuola perviene all’attuale ordinamento di Istituto Tecnico Agrario Statale.

L’estensione della superficie su quale opera non pare subire modifiche almeno fino all’aprile del 1967 ; infatti, facendo riferimento ad una carta al 10.000 del Comune di Roma di questo stesso anno, il terreno appartenente all’Agrario appare composto ancora da circa 80 ettari.

Grottaperfetta

Grottaperfetta è il nome della zona urbanistica 11g del XI Municipio del comune di Roma. Si estende sul quartiere Q.XX Ardeatino.
Prende il nome dall’omonima via di Grotta Perfetta, che collega via Cristoforo Colombo con via Ardeatina.
Si ipotizza che il toponimo derivi dall’antico nome della zona Horti Praefecti o Praefectis. L’antico toponimo sembrerebbe indicare che in loco esisteva, ai tempi dei romani, qualche terreno di proprietà di un prefetto, ma non vi sono prove al riguardo.
E’ composto da vari complessi:

Complesso “via Berto”
Complesso “Longanesi – Dessì”
Complesso “Generali” (via Casalinuovo, via B. Croce, via Grottaperfetta, ecc.)
Complesso ” Poggio Ameno”
Complesso “Montagnola”
Complesso ” Tor Carbone”
Complesso “VIII Colle – Tintoretto”
Complesso “Rinnovamento – Il Sogno”
Complesso “Roma 70”
Complesso residenziale “I 60” (in fase di costruzione su via Grottaperfetta)

Luoghi d’arte
Nella zona è presente la chiesa della Santissima Annunziata, la cui parte antica porta una epigrafe di Onorio III datata 12 agosto 1220.Per un breve periodo la chiesa fu aggiunta da San Filippo Neri, insieme alla chiesa di San Paolo alle Tre Fontane, all’itinerario delle Sette Chiese (che quindi divennero nove).
In occasione della costruzione della nuova chiesa, progettata da Ignazio Breccia Fratadocchi, durante gli scavi vennero alla luce resti di antichi manufatti.

Montagnola

Montagnola è il nome di un zona del XI Municipio di Roma. Si estende sul quartiere Ardeatino.

Un tempo chiamata Borgata Laurentina prende il suo nome dall’altura che si forma nei pressi dell’intersezione tra la via Laurentina e la via Cristoforo Colombo, abitata agli inizi del XX secolo da immigrati marchigiani e da sfollati del terremoto della Marsica del 1915.

Con questo nome si individua, già dagli inizi del ‘900, la borgata compresa tra la via Ostiense a nord, l’abbazia delle Tre fontane a sud, la via Laurentina ad ovest e via di Grotta Perfetta ad est.
Era composta per lo più da stradine affluenti alla più grande via Laurentina e chiamate con un numero progressivo (strada IV, strada V, ecc.) a partire dalla via Ostiense.

Ai giorni nostri il nome è ormai legato principalmente al piazzale dei Caduti della Montagnola, chiamata cosi in ricordo dei 53 caduti italiani del settembre 1943 durante gli scontri tra l’esercito tedesco, i militari italiani ed i civili della resistenza locale.
Il loro sacrificio è ricordato dalle croci sulla facciata della chiesa del Gesù Buon Pastore e dal monumento posizionato in principio al centro della piazza ma spostato lateralmente nei recenti lavori del 2005 nei quali la piazza ha subito un ammodernamento totale dell’arredo urbano e la costruzione di un parcheggio sotterraneo.

La Montagnola e le zone limitrofi sono un territorio di recente urbanizzazione che però mantiene testimonianze di varie epoche compresa l’antica Roma dal quale proviene il nome di via Grotta Perfetta, derivante dal latino “Horti Praefecti” e poi “Orta Prefecte” riferito a dei giardini di un prefetto della seconda metà del II secolo d.C. Queste aree situate fuori le mura venivano considerate zone agricole ma ospitavano anche alcune ville rustiche romane, diversi santuari pagani, cave, tombe private ed i Granai di Nerva imperatore nel I sec. d.C.

La zona che in gran parte conserva le testimonianze di allora è la tenuta Tor Marancia ormai parte integrante del Parco Regionale dell’Appia Antica. La tenuta probabilmente prende il nome da “Amaranthus”, liberto della famiglia dei Numisi. Sul territorio della tenuta sono presenti: una tomba ipogea, le antiche cave di tufo, una catacomba nei pressi dell’Annunziatella, le catacombe di Domitilla a nord ed i resti della villa dei Numisi nel cuore della tenuta.

Nel medioevo la zona agricola ormai abbandonata fu risollevata dalla Chiesa mantenendo intatta la sua vocazione agricola ma non solo, costruendo anche chiese di campagna e svariate torri di avvistamento, ne resta una inglobata nel casale Grotta Perfetta.

Nei secoli successivi l’area vede l’espansione di un sistema di latifondi ed un aumento di pascoli in luogo alle coltivazioni fino alla bonifica che dal ‘800 riporta man mano all’attività agricola tipica dell’Agro Romano con i suoi insediamenti incentrati nei casali rustici.

Tra il 1877 ed il 1891 viene costruito un sistema difensivo chiamato “campo trincerato” formato da 15 forti e 4 batterie posti intorno alla città a circa 4/5km dalle Mura Aureliane.

Di questi forti ne troviamo due nelle vicinanze, il forte Ostiense ed il forte Ardeatino.

Dal ‘900 con l’espansione di Roma tutto intorno crescono le aree Tor Marancia, Eur, San Paolo, Garbatella e lungo le arterie principali (Colombo, Laurentina, Grotta Perfetta) nascono piccole borgate spontanee che pian piano si fondono fino ad arrivare alla congestione totale dei giorni nostri.

Tor Marancia

Tor Marancia è il nome della zona urbanistica 11e dell’XI Municipio del comune di Roma. Si estende sul quartiere Q.XX Ardeatino.

Il nome di Tor Marancia deriva dal latino Praedium Amaranthianus, cioè fondo di Amaranthus, un liberto della famiglia dei Numisii Proculi del II secolo d.C..
La torre originale, oggi scomparsa, si trovava a breve distanza dall’Ardeatina.

Quella presente attualmente, che si trova sulla strada omonima è, in realtà, la Torre delle Vigne (o di San Tommaso).

Su via delle Sette Chiese si trova il Casale di Tor Marancia, nella proprietà degli Horti Flaviani.

Storia

I primi insediamenti risalgono agli anni 30′ dell’ottocento.

Alla fine degli anni venti, su terreni prevalentemente paludosi e nelle vicinanze della zona Garbatella (Roma Sud), i cittadini espulsi dal centro di Roma (a seguito dei primi sventramenti) e gli immigrati provenienti dal Sud-Italia costruirono il primo insediamento di Tormarancia (conosciuto anche come Tor Marancio), una sorta di ghetto composto da casette in muratura o in legname; in parte fu anche l’I.C.P. a realizzare delle case (catalogate come “case minime”) composte da una sola stanza, dove vivevano famiglie fino a 10 persone.
Ciò che accomunava le casette rapidissime spontanee e quelle I.C.P. erano i pavimenti in terra battuta, i servizi igienici in comune, e piccoli giardini-orti.
Shanghai (questo il nomignolo della borgata a causa dei periodici allagamenti e dei frequenti fatti di sangue causati dalla miseria) venne demolita a partire dal 1948, a seguito della legge De Gasperi sul risanamento delle borgate, per costruire le attuali case popolari, quindi i recenti quartieri della Montagnola e Grotta Perfetta.
Oggi la tenuta di Tor Marancia e di proprietà privata, quindi non a disposizione dei cittadini, tranne alle visite che vengono organizzate periodicamente dalle associazioni locali.

Tenuta di Tor Marancia

Il percorso proposto parte da Via dei Numisi, imboccando la vecchia Via Ardeatina, dove sulla sinistra si possono notare i resti della villa dei Numisii. Procedendo il percorso si arriva alla salitella che propone un panorama suggestivo che arriva fino all’Appia Antica. Proseguendo verso la Via Ardeatina si arriva all’area dei ‘bagni’ dove sono ancora visibili alcuni cunicoli idraulici scavati nel tufo. La visita prosegue tra i caseggiati di epoca ottocentesca, e una tomba risalente alla fine del I secolo d.C. scavata nel tufo.
Il sentiero continua in un bosco di pioppi dove si nota una rete idraulica di età romana, proseguendo, il percorso finisce di nuovo su Via dei Numisi

Per quanto riguarda il quadro storico, le prime tracce di insediamenti umani risalgono al periodo preistorico e sono state individuate nell’area prospiciente via di Grotta Perfetta.

 

PERIODO ROMANO

Numerose testimonianze, peraltro scarsamente indagate, documentano che questo territorio suburbano era destinato allo sfruttamento agricolo fin dall’epoca augustea mediante il sistema della villa rustica: vere e proprie aziende di proprietà di importanti personaggi dell’aristocrazia romana, efficientemente organizzate per la produzione agricola intensiva, in cui lavoravano gli schiavi del dominus. Al proprietario era riservata la parte residenziale dell’insediamento in cui non mancavano mai i bagni e le terme private, con importanti impianti di raccolta e conduzione delle acque. Alla classe aristocratica sicuramente apparteneva la famiglia dei Numisii, proprietaria di una di queste ville, nel cuore della Tenuta.

Esisteva quindi una estesa viabilità che aveva come assi principali le antiche vie Ardeatina e Laurentina con tutta una serie di strade minori a collegamento delle ville rustiche, tra cui l’attuale via di Grotta Perfetta. Di tali antichi percorsi rimane traccia diretta solo in alcuni punti (le “tagliate” stradali) e indiretta per la presenza di numerose necropoli che, come è noto, si trovavano ai margini delle importanti vie di collegamento al di fuori della città. L’uso sepolcrale dell’area ebbe inizio in età repubblicana (tombe a camera); invece tipiche del I sec a. C. sono le sepolture ad inumazione in fosse o incinerazione in olle. La necropoli venne utilizzata fino all’età di Traiano (II sec.d.C.). Questo intenso uso del territorio si mantenne tale anche con l’avvento del Cristianesimo, basti citare il complesso delle Catacombe di Domitilla, ai margini settentrionali della Tenuta e la catacomba scoperta nei pressi della Chiesa dell’Annunziatella, non ancora del tutto indagata. Testimonianze si trovano anche a metà fra le due catacombe che, se studiate, potrebbero restituire altre interessanti sorprese.

 

URBANISTICA MODERNA E CONTEMPORANEA

Nel sec. XIX la vasta area della Tenuta era divisa in appezzamenti coltivati a vite, cereali e prati adibiti a pascolo. L’abitato, costituito da casali, mantenne sempre un carattere sparso. I proprietari erano Enti religiosi e famiglie nobili che manifestarono vivo interesse per le collezioni di opere dell’antichità. Dal brogliardo coevo alla mappa del Catasto Gregoriano redatta nel 1818 si descrive la tenuta essere a pascolo e seminativo e di proprietà della duchessa Marianna di Chablais (pur affidata in enfiteusi perpetua al conte Giuseppe Conti). La nobildonna di Casa Savoia (figlia e sorella rispettivamente dei re di Sardegna Vittorio Amedeo e Carlo Felice) era un’appassionata di antichità e fu incoraggiata all’acquisto della Tenuta dall’archeologo Luigi Biondi. Furono avviati degli scavi che si protrassero dal 1816 al 1823. Furono recuperati mosaici, affreschi, numerose epigrafi soprattutto funerarie. Alla morte della duchessa il materiale più pregiato confluì per testamento nelle raccolte vaticane, una ventina di cippi ed epigrafi restarono presso la casa della nobildonna (Palazzo Guglielmi di piazza Paganica 50 a Roma) dove sono murati in un cortile. Altri andarono dispersi. Lo scavo, finalizzato alla ricerca di opere di valore, fu piuttosto grossolano; ciononostante l’architetto Giuseppe Marini rilevò una pianta della sontuosa villa.
La rete viaria seguiva l’orografia del terreno e ricalcava percorsi più antichi. Costante era il flusso di pellegrini verso la Chiesa dell’Annunziatella e al Santuario del Divino Amore. Dopo il 1870 venne ripresa e protratta fino al periodo fascista la bonifica dell’Agro Romano e Pontino, ma ciò non compromise l’aspetto del nostro territorio: infatti esistevano zone paludose solo lungo i fossi; anzi l’opera di bonifica dette nuovo impulso all’attività agricola. Maggiori alterazioni invece furono causate dallo sfruttamento, ripreso nell’800, delle cave di pozzolana che hanno in parte distrutto i resti degli insediamenti antichi e medievali fino a modificare l’originaria morfologia. Le carte I.G.M. (Istituto Geografico Militare) dei primi decenni del‘900 mostrano ancora intatto il grande bacino imbrifero, articolato in tre fossi, che costituiva uno dei principali affluenti di sinistra del Tevere a sud di Roma. Ma l’urbanizzazione dell’area era già cominciata!

Subito a Nord della Tenuta è visibile il nucleo storico della Garbatella, già realizzato. Sono i palazzi della Garbatella i primi a sorgere all’inizio del secolo; al periodo fascista risalgono i primi lavori per la costruzione della via Cristoforo Colombo che doveva collegare il quartiere dell’ E.U.R. all’ area sud -occidentale del suburbio. La zona dell’attuale quartiere di Tor Marancia era originariamente occupata da un terreno paludoso su cui fin dal 1930 i poveri si costruirono una sorta di ghetto fatto di baracche. Queste vennero abbattute nel 1948 per costruire le attuali case popolari. L’espansione è poi proseguita lungola via Cristoforo Colombocon il quartiere della Montagnola e lungo via di Grotta Perfetta con i comprensori congestionati e senza qualità di Roma 70 e Rinnovamento, a cavallo tra gli anni ’70 e gli anni ’80, e del Sogno, a fine anni ’80. Ormai (1999) sono completati gli imponenti edifici tra via di Grotta Perfetta e via Benedetto Croce

Dunque nel giro di pochi decenni l’area ha radicalmente cambiato il suo aspetto, da abitato sparso, ad una serie di grandi insediamenti realizzati lungo le principali vie, le quali però hanno conservato l’aspetto e la portata originaria. D’altronde non potrebbe essere altrimenti, visto che per la maggior parte si tratta di vie di comunicazione storiche che non possono essere alterate. Allo stesso tempo sono stati cancellati gli sbocchi al Tevere dei tre fossi, ed uno di essi è sparito completamente.