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Santa Maria di Galeria

Santa Maria di Galeria è il nome della quarantanovesima zona di Roma nell’Agro Romano, indicata con Z.XLIX.

Il toponimo indica anche una frazione di Roma Capitale e la zona urbanistica 19h del Municipio Roma XIX.

Si trova nell’area nord-ovest di Roma, a ridosso del confine con i comuni di Fiumicino e Anguillara Sabazia.

Storia

Nei pressi del vecchio borgo di Santa Maria di Galeria, vicino al fiume Arrone, si trovano le rovine della antica città di Galeria Vecchia.
Questa si formò in epoca etrusca, trovando il suo massimo sviluppo nel periodo che va dal medioevo fino al XVII secolo, quando la popolazione cominciò a trasferirsi nel vicino casale Celsano (Celisanum) e nel borgo di Cesano, fino a svuotarla completamente verso il XIX secolo.
A ridosso del casale Celsano vi è la chiesa di Santa Maria in Celsano [2] che, tramite un accordo definito con Bolla del 30 novembre 1860 del Cardinale Mario Mattei con la Compagnia di Gesù, venne eretta a parrocchia e ridenominata in Santa Maria di Galeria.

L’8 ottobre 1951 fu siglato un accordo [3] tra lo Stato italiano e la Santa Sede per l’assegnazione di una vasta area (424 ettari) nel territorio di Santa Maria di Galeria, per la costruzione di un nuovo Centro Trasmittente per la Radio Vaticana. I lavori cominciarono nel 1954 e il centro fu inaugurato il 27 ottobre 1957 da Papa Pio XII.

L’area di Santa Maria di Galeria, ampia quasi dieci volte il territorio dello Stato della Città del Vaticano, gode del privilegio dell’extraterritorialità a favore della Santa Sede. Ciò significa, come per le altre zone “immuni” a Roma o nelle vicinanze (Castelgandolfo, Castel Romano), che in dette aree, che pur rimangono territorio italiano, a seguito di speciali accordi tra le parti, la sovranità è riservata ad altro stato. Proprio la stessa situazione che esiste, in tutto il mondo, per le ambasciate di Paesi stranieri nelle capitali delle varie Nazioni.

Il caso elettrosmog

Dal luglio 2000 è stata istituita una Commissione bilaterale tra l’Italia e la Santa Sede per la soluzione dei problemi legati all’intensità delle emissioni elettromagnetiche della stazione radio.

Il 4 giugno del 2007 la Corte d’appello di Roma ha assolto i due imputati, padre Pasquale Borgomeo, dimessosi da direttore generale di Radio Vaticana l’11 novembre 2005 e il cardinale Roberto Tucci, all’epoca presidente della Radio, dall’accusa di “getto pericoloso di cose”.

In seguito al ricorso presentato dalla Procura di Roma, da alcune associazioni ambientaliste e dalle famiglie di Santa Maria di Galeria interessate dalle emissioni, il 13 maggio 2008 la Cassazione ha annullato la sentenza di assoluzione dei due imputati.

Il 14 novembre 2010 si è concluso l’incidente probatorio richiesto nel 2006 dalla Procura della Repubblica di Roma nell’ambito del procedimento penale nei confronti dei responsabili della Radio Vaticana. I risultati indicano una associazione «coerente, importante e significativa» di rischio di morte per leucemia o di rischio di ammalarsi di leucemia, linfoma e mieloma per lunga esposizione residenziale ai ripetitori dell’emittente della Santa Sede fino a12 chilometridi distanza da questa. L’accertamento è stato condotto da Andrea Micheli, dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano. Responsabile dell’inchiesta è il pm Stefano Pesci.

Galeria

Nei pressi del vecchio borgo di Santa Maria di Galeria, vicino al fiume Arrone, si trovano le rovine della antica città di Galeria.
Questa si formò in epoca etrusca, trovando il suo massimo sviluppo nel periodo che va dal medioevo fino al XVII secolo, quando la popolazione cominciò a trasferirsi nel vicino casale Celsano (Celisanum) e nel borgo di Cesano, fino a svuotarla completamente verso il XIX secolo.
A ridosso del casale Celsano vi è la chiesa di Santa Maria in Celsano che, tramite un accordo definito con Bolla del 30 novembre 1860 del Cardinale Mario Mattei con la Compagnia di Gesù, venne eretta a parrocchia e ridenominata in Santa Maria di Galeria.

Per la totale assenza di costruzioni moderne il borgo di Santa Maria di Celsano è stato scelto talvolta come set cinematografico. Galeria Vecchia nelle vicinanze è una città fantasma anch’essa visitata in passato dai registi, e oggi riconosciuta come Monumento Naturale dalla Rete Natura 2000, seppure si trovi in stato di degrado per problemi di attribuzione dei lavori di ripristino.

Aurelio

Aurelio è il nome del tredicesimo quartiere di Roma, indicato con Q.XIII.

Aurelio è il nome del nono suburbio di Roma, indicato con S.IX, ed è omonimo del quartiere Q.XIII.

Si trova nell’area ovest della città, a ridosso delle Mura Vaticane e delle Mura Aureliane.

Storia

L’Aurelio è fra i primi 15 quartieri nati nel 1911, ufficialmente istituiti nel 1921 e prende il nome dalla via Aurelia.

Siti archeologici e monumenti

Borgo delle Fornaci

Il nome deriva dalla presenza di numerose “fornaci” per laterizi da costruzione qui impiantate in considerazione del particolare terreno argilloso. Esse furono intensamente sfruttate già nel periodo della Roma Imperiale. Anche Teodorico e Belisario se ne servirono per i restauri alle Mura Aureliane-Onoriane.

Con i papi rinascimentali, dopo Avignone, riprese in pieno il loro utilizzo raggiungendo il massimo sviluppo con l’apertura del cantiere per la costruzione della Basilica di S. Pietro.

Le “fornaci” hanno continuato a funzionare fino all’inizio degli anni ’60 per poi cessare definitivamente la loro attività in seguito alla massiccia e dilagante urbanizzazione del territorio adiacente.

Alla metà del secolo XVI il territorio occupato dalle fornaci prese il nome da questa attività assumendo il toponimo di “Vallis Fornacum” (Valle delle Fornaci).

Tra il 1570 e il 1580 nacque il vero borgo con la costruzione disposta in modo ordinato. Le fornaci, separate tra di loro da muri di cinta, si allineavano lungo la strada diretta a “Porta de’ Cavalli Leggeri” e, risalendo il declivio retrostante, occupavano tutto lo spazio disponibile per arrestarsi davanti alle cave di creta.

Sentieri campestri assicuravano i collegamenti all’interno del borgo.

Nei primi decenni del XVIII secolo l’asse stradale di via delle fornaci, l’antica “Via Posterula“,era delimitato da un alto muro di cinta, nel quale si aprivano gli accessi alle varie proprietà, simile a quello che ancora oggi delimita il tratto più antico e meglio conservato.

La sopravvivenza del borgo è accertata fino ai primi del ‘900 quando, con la trasformazione in quartiere urbano, perderà purtroppo i suoi connotati di sobborgo industriale. Attualmente, in fondo a via della Cava Aurelia, troviamo l’ultima fornace della zona (la fornace Aurelia), abbandonata, ma ancora in discrete condizioni.

Il collegamento tra borgo e la Fabbrica di San Pietro avveniva attraverso due porte delle mura vaticane: Porta Cavalleggeri e Porta Fabbrica.

Chiesa di Santa Maria delle Grazie alle Fornaci

Il monumento più imponente del territorio intorno a Porta Cavalleggeri è la chiesa di S. Maria delle Grazie alle Fornaci.

Collocata al centro del quartiere la sua costruzione iniziò nel 1694 grazie all’abbondanza delle offerte e l’appoggio del Cardinale Carpegna.

Presenta una facciata realizzata nel 1727 sotto il pontificato di Benedetto XIII, forse su disegno di Filippo Raguzzini, scandita da lesene, articolate in due ordini sovrapposti, separati tra loro da un cornicione aggettante e conclusa da un coronamento mistilineo. E’ possibile notare il riferimento stilistico con la facciata dell’oratorio dei Filippini del Borromini senza tuttavia arrivare alla tensione strutturale tangibile nell’edificio borrominiano. Il rilievo sul portale di ingresso, realizzato in stucco, materiale molto usato nel ‘700, rappresentava la “liberazione degli schiavi”. Il cartiglio che racchiude la scena è avvolto nel manto e sormontato dalla corona della Vergine sotto la cui protezione è posta la chiesa.

Lo schema planimetrico adottato è a croce greca con quattro cappelle inserite nell’incrocio dei bracci. Questa scelta nasce e dalla volontà di rifarsi alla tradizione architettonica romana, in particolar modo del cinquecento, e dalla particolare collocazione dell’edificio, costruito sopra un rilievo del terreno, e dalla notevole dimensione dello stesso.

L’assetto della pianta centrale è però in contraddizione sia con la facciata esterna, la quale, con il suo alto prospetto, nasconde la volumetria complessiva della chiesa, sia con l’interno per la mancata costruzione della cupola, mai realizzata a causa di difficoltà economiche e architettoniche. Infatti, la notevole profondità dell’abside e la disposizione delle cappelle, collegate tra loro, suggeriscono già l’idea di una divisione in navate dello spazio. La presenza, infine, della sagrestia e del campanile, eretto nel XX secolo, accentuano la sensazione di longitudinalità dell’assetto planimetrico.

Nell’interno della chiesa, sull’altare maggiore, è custodita l’immagine della Vergine commissionata al pittore di Liegi Gilles Hallet (Egidio Alet 1620/1694). La tela rappresenta la Madonna con il bambino benedicente che stringe nella mano sinistra il globo. La convenzionalità del soggetto, dipinto a scopo devozionale, è compensata dallo studio cromatico e dalla riuscita rappresentazione del bambino.

Accanto alla facciata della chiesa sorge il convento costruito tra il 1721 e il 1725 per ospitare il Collegio Apostolico per le Missioni. Il portale, di chiara ispirazione borrominiana, è collegato al livello stradale da una scalinata a doppia rampa simile a quella costruita ai piedi della chiesa.

Chiesa della Madonna del Riposo

Le prime notizie della chiesa si hanno dal diario di Antonio Pietro del Schiavo, cronista romano del primo ‘400, dove viene citata la cappella di S. Maria del Riposo. E’ probabile, comunque, che assai prima della nascita della cappella, ci sia stata un’edicola con l’immagine della Madonna posta forse in quel luogo in memoria di un antico cimitero sacro, divenuta poi un’immagine miracolosa per le molte grazie esaudite ai viandanti ed ai pellegrini che qui sostavano per rinfrancarsi e dire una preghiera prima di proseguire il proprio cammino.

Fu allora che si volle costruire la cappella dedicata alla Madonna del Riposo. Nella seconda metà del 500 i Papi Pio IV e Pio V provvidero al restauro e all’ampliamento della costruzione originaria (avancorpo, secondo locale, per la sagrestia e, forse, le due stanze sovrastanti la sagrestia). Papa Pio V fece adattare a proprio uso un casale che sorgeva alle spalle della chiesa, fatto demolire, in seguito ad una intensiva urbanizzazione, nel 1953, del quale ci rimane soltanto lo splendido potale bugnato di travertino visibile sul lato sinistro.

All’interno della piccola chiesa troviamo, sopra l’altare, l’affresco della Madonna col Bambino, probabilmente di epoca rinascimentale, mentre le pitture di contorno, compresi il trono e gli angeli che fanno da sfondo, sono sicuramente di epoca successiva. Gli angeli ai piedi delle nicchie possono essere opera di allievi di bottega manieristica.

La volta a cupola sopra l’altare presenta un affresco di stile sei-settecentesco raffigurante l’incoronazione della vergine.

Non è possibile invece datare il paliotto dell’altare realizzato con marmi pregiati con agli angoli i gigli Farnese.

Villa Carpegna

Costruita forse su di una preesistente palazzina cinquecentesca, sorge su una antica area cimiteriale romana, desumibile dai numerosi reperti che si potevano ancora ammirare all’inizio del XX secolo: sarcofagi vari, un’urna cineraria, una lunga iscrizione dedicata ad un eques romano, capitelli, colonne e bassorilievi.

I Carpegna entrarono in possesso della villa alla fine del ‘600 quando, sotto il pontificato di Clemente X, il Cardinale Gasparre Carpegna fu nominato Vicario del Papa.

La villa fu destinata dal Cardinale a contenere le sue numerose collezione artistiche e, in special modo, quella numismatica ceduta poi, alla sua morte, ai musei vaticani.

La Famiglia Carpegna fu proprietaria della villa fino alla fine del XIX secolo. Fu poi acquistata da un certo Achille Piatti che la vendette successivamente alla baronessa Caterina Scheynes la quale, a sua volta, la lasciò in eredità alla nipote baronessa Emma Sofia Stocher.

La baronessa Stocher nel 1941 vendette la proprietà alla società immobiliare dei Beni Stabili, all’istituto dei Fratelli Ospitalieri (1955), al Pontificio Collegio Spagnolo (1956) e alla Sacra Congregazione di Propaganda Fide (1961).

A loro volta i Beni Stabili hanno venduto la loro proprietà alla Domus Mariae che ha lottizzato 8 dei 15 ettari acquistati. La Domus Mariae lascerà l’edificio disabitato e il parco in completo abbandono.

Dall’1 Aprile 1981 il complesso è divenuto parco pubblico. L’attuale proprietario è il Comune di Roma.

Dalla piazza omonima si accede alla villa attraverso un portale, fatto erigere dal Cardinale Carpegna, decorato a bugnato di travertino avente sulla sommità lo stemma dei Carpegna e ai lati due finestroni decorati anch’essi di travertino e chiusi da una grata in ferro battuto. La parte interna è decorata con spuma di travertino, ghiaia, tufelli e stucco.

Percorrendo poi uno stretto viale, fiancheggiato da pini secolari e siepi di alloro, si arriva ad uno spiazzo semicircolare fronteggiante il lato est della Villa.

L’edificio ci appare privo di unitarietà risentendo sicuramente delle trasformazioni successive ad esso apportate.

Il Cardinale Carpegna ampliò la parte abitativa già esistente, composta da un corpo centrale ed un torretta – elemento caratteristico delle Ville Laziali – costruendo due nuove ali sormontate entrambe da torrette ed emulando in questo modo i modelli delle ville Medici e Borghese.

La parte certamente più interessante è costituita dal salone principale dell’edificio decorato con affreschi in stile pompeiano raffiguranti soggetti allegorici, colonne decorate a finto marmo, con basi, capitelli e frammenti di architravi, arricchiti con festoni sorretti da putti. Le colonne, poste sulle pareti laterali in prossimità degli accessi al piano superiore, sono collegate tra loro da balaustre dipinte e disposte, secondo uno schema modulare, ad intervalli regolari. Sulle due rimanenti facciate, ai lati delle porte-finestre, troviamo le stesse colonne, ma più numerose, a creare una prospettiva di cui le stesse porte-finestre costituiscono i punti di fuga. Il salone in questo modo viene movimentato dalle decorazioni che troviamo anche sugli stipiti delle porte-finestre, anch’esse dipinte in finto marmo.

Negli intercolunni del salone della Villa compaiono paesaggi con figurine di soldati, animali, file di carri, di minuscole dimensioni dipinti a tempera.

Partendo dalla parte posteriore dell’edificio, lungo il viale principale, si trova la prima fontana. Di qui parte una cordonata a doppia rampa di mattoni a spina e brecce battute che scende verso la seconda fontana per poi risalire fino al ninfeo. Il ninfeo reca sulla volta lo stemma dei Carpegna in paste vitree bianche e azzurre: le pareti interne sono decorate con mosaici policromi di sassi e lapilli. Il terrazzamento nel retro della Villa sfrutta la naturale pendenza del terreno per creare effetti di movimento e di colore prendendo come modello l’analoga disposizione a giardino del Casino di Pio V.

Recentemente la villa è stata restaurata ed il casino di caccia è stato destinato a spazio museale

 

 

 

Boccea

Prende il nome dall’antico fondo di Busso o Buxo o Bucea, da cui Boccea, al 10° miglio della via Cornelia.

Il Castello di Boccea

Oltrepassato il km.9, la via Boccea ricalca quasi interamente il percorso dell’antica via Cornelia sino ad arrivare al km. 14.500 , dove, sulla destra, si trovano i resti dell’antico castello costruito tra i secoli IX ed XII. Molto probabilmente il castello ospitò i coloni di Selva Candida che vi si rifugiarono in quanto ben fortificato e quindi sicuro.

Porcareccia Vecchia

Percorrendo la via Cornelia-Boccea, all’altezza del Km. 5,500, si arriva a Porcareccia Vecchia. La tenuta, un tempo molto vasta, arrivava a comprendere anche Montespaccato, Pantan Monastero ed altre località limitrofe. Il suo territorio è irrigato da parecchi fossi, il principale dei quali è chiamato Magliana.

Attualmente Porcareccia Vecchia comprende il casale ed il castello: il centro abitato è un grazioso agglomerato che riproduce quasi fedelmente l’aspetto del borgo cinquecentesco.

Il tutto fu quasi sicuramente costruito sopra i ruderi di qualche antica villa rustica, perché risalgono ad epoca romana molte iscrizioni, delle quali alcune databili ad età repubblicana, colonne di granito, un bassorilievo con due grifi posti l’uno di fronte all’altro, un’ara con ghirlanda ed una serie di frammenti di marmo lavorati e inseriti nelle facciate del castello e della chiesa. Dai sotterranei del castello si diparte una fitta rete di cunicoli con sfiatatoi all’altezza del terreno, da mettere in relazione al percorso sotterraneo dell’acquedotto traianeo che percorreva questa parte di campagna.

Il nome Porcareccia deriva dai numerosi allevamenti di maiali che l’Ordine ospedaliero S. Spirito, proprietario della tenuta, teneva per sfamare principalmente i più poveri, secondo lo statuto della congregazione.

Casalotti

Dopo il bivio per Palmarola si arriva in località Casalotti dove la via Cornelia, abbandonato il suo corso quasi parallelo alla via Boccea, si riunisce ad essa sovrapponendosi a tratti sul suo tracciato verso il casale di Boccea. Qui, fra il Km 5 e 6 della via Cornelia-Boccea, per caso fu riportato alla luce, all’inizio del secolo, un magazzino, dotato ancora di grandi “dolii” affioranti dal terreno che doveva appartenere ad una villa rustica dei dintorni. Il particolare dei dolii (le cui misure sono: altezza mt.1,60, circonferenza massima mt.4,50, diametro della bocca mt. 0,53), aventi corpo interamente affondato nel terreno, si può riscontrare anche in magazzini simili di Ostia e Pompei. A circa600 metri di distanza sono stati trovati resti di un pavimento a mosaico bianco e nero rappresentante Nereidi e mostri marini, insieme a molluschi e pesci. Non lontano è stata rinvenuta una tomba a camera di pianta singolare e molti frammenti marmorei e suppellettili.

Casalotti è il nome della quarantottesima zona di Roma nell’Agro Romano, indicata con Z.XLVIII.

Il toponimo indica anche una frazione di Roma Capitale.

La zona prende il nome dalla via principale, via di Casalotti, nome dovuto probabilmente ai numerosi casali che erano presenti nel territorio.

Circondato da colline verdeggianti, il centro della frazione di Casalotti (piazza Ormea e chiesa di S. Rita da Cascia) è situato ad un’altitudine di circa110 ms.l.m.

Storia

Nel maggio del 1944, Casalotti venne distrutta dai bombardamenti alleati insieme alla vicina Grottarossa, durante l’avanzata degli stessi Alleati per cacciare gli insediamenti tedeschi[2].

Il vero e proprio boom edilizio risale agli anni settanta, quando numerosissime imprese edili iniziarono a costruire la parte più antica, ovvero la piazza e la zona compresa da via Trofarello. Tuttora è ancora in fase di espansione.

Il 29 settembre 2009 è stato presentato, dalla presidente della AS Roma Rosella Sensi, il progetto di costruzione di un nuovo stadio per il calcio nella parte sud della zona, a ridosso della via Aurelia.

Edifici storici

La Villa Romana di via di Casalotti è stata rinvenuta casualmente nel 1930 durante dei lavori agricoli. I successivi scavi della Sovrintendenza hanno messo in luce un deposito di dolia e un ambiente termale. Gli scavi sono stati ripresi poi nel periodo 1983-85 e nel 2000. La costruzione della villa risale al II secolo d.C. e risulta utilizzata fino al IV secolo d.C.Oggi è gestita dal Gruppo Archeologico Romano Onlus.

La Fontana delle Carrozze in via di Boccea, località “La zoppa”.

Monte Spaccato

Dopo l’Acquafredda,la via Cornelia arriva in località Montespaccato. Il nome deriva dalle “spaccature” dei monti provocate appunto dalla via Cornelia Antica che si intersecava sul primo monte con via dell’Acquafredda e sul secondo con l’attuale via Cornelia. In questa area sono state trovate molte testimonianze sia Etrusche che Romane consistenti, per lo più, in tombe e ville.

Montespaccato, già Borgata Fogaccia, è una frazione di Roma Capitale (zona “O” 13), situata nel territorio del Municipio Roma XVIII.

Si estende sul suburbio S.IX Aurelio, a ridosso del Grande Raccordo Anulare, tra la via di Boccea e la via Aurelia.

Storia

La borgata ebbe le prime tracce di insediamento moderno negli anni trenta, sui terreni lottizzati dal Conte Fogaccia e sugli appezzamenti del Vaticano.

Si espande sulla via Cornelia (nuova), che nulla ha a che vedere con l’antica via Cornelia, una delle strade più antiche di Roma il quale destino resta ancora per la maggior parte sconosciuto, di essa si sa solo che fu una strada alternativa alla via Aurelia (il percorso è quasi parallelo ed in parte sovrapposto) che partiva dall’attuale zona dell’Ospedale S. Spirito fino a raggiungere la campagna romana fino all’antica città Caere (attuale Cerveteri).

Montespaccato ospita una grande quantità di popolazione di origini del sud Italia.

Nella piazza Cornelia è presente, oltre ad un edificio dei primi del ‘900 e alla parrocchia di Santa Maria Janua Coeli, la torre serbatoio che raccoglieva l’acqua proveniente dall’Acquedotto del Peschiera.

A Montespaccato c’è uno dei più grandi centri sportivi d’Italia, ci sono uffici di importanti aziende e multinazionali, e un grande centro commerciale.

Gli abitanti del quartiere sono soliti a suddividere, amichevolmente, la zona in tre parti: Monte (l’anello di via Enrico Bondi e via Antonio Pane), Valle (la valle che percorrela via Cornelia) e Caserma (la zona intorno a Largo Re Ina dove ora c’è la caserma dei Carabinieri, una volta casa del Fascio).

Casale Fogaccia

Sempre in via dell’Acquafredda troviamo il casale Fogaccia, fatto costruire dal conte Piero Fogaccia su progetto di Marcello Piacentini nel periodo compreso tra il 1922 ed il 1929. In questo edificio è possibile trovare delle soluzioni architettoniche di varia provenienza: elementi tipici delle ville insieme a quelli dei casali dell’Agro romano, riferimenti alle fortezze con bastioni, finestre e portali di chiara ispirazione cinquecentesca e moderna, pareti a copertura liscia e rustica con l’uso di materiali come la pietra incerta ed il tufo.

L’arch. Marcello Piacentini volle sperimentare, per la prima volta in questa villa, la collocazione della sala destinata a soggiorno a metà tra il piano terreno rialzato ed il primo piano. La soluzione veniva praticata perché con una sola rampa di scale era possibile collegare i due livelli: una concezione costruttiva completamente innovativa per le case private.Gli interni furono realizzati con materiali pregiati ma conformi allo stile del casale rustico.Sopra il portone principale è posto lo stemma dei conti Fogaccia, che ritroviamo realizzato in ceramica, anche nel pavimento d’ingresso.

Villa Doria-Pamphili

Villa Pamphili, con una superficie di184 ettarie un perimetro di circa9 Km, è la villa storica più grande di Roma e una delle “ville” meglio conservate: l’unica manomissione si deve all’apertura della via Olimpica (via Leone XIII) che ha diviso in due l’antica tenuta.

L’edificio più antico della villa sorto lungola via Aurelia Anticaè conosciuto come “Villa Vecchia” ed esisteva già nel 1630 quando il fratello del Papa Innocenzo X, Panfilio Pamphili, marito di donna Olimpia Maidalchini, acquistò una vigna di10 ettaripresso l’antica Basilica di San Pancrazio.

Tra il 1644 e il 1652, sotto il pontificato di Innocenzo X Pamphilj, venne costruito ad opera degli architetti Algardi e Grimaldi, il complesso della “Villa Nuova”.

La villa è divisa in tre parti: il palazzo e i giardini (pars urbana), la pineta (pars fructuaria), e la tenuta agricola (pars rustica).

Tra l’altro, si può ricordare come il Goethe e il D’Annunzio restarono molto colpiti dalla bellezza della villa.

Nel 1849 la villa fu teatro di una delle più cruente battaglie per la difesa della “Repubblica Romana”: le truppe francesi di Napoleone III il 2 giugno occuparono villa Corsini, allora alla periferia ovest di Roma e le truppe garibaldine tentarono invano di scacciarle.

Nel 1856 la villa fu unita alla confinante villa Corsini e tutto il complesso venne trasformato in una grande azienda agricola.

Iniziati i primi espropri da parte del Comune di Roma nel 1939, il nucleo originario della villa fu acquistato dalla Stato Italiano nel 1957.

Oltre168 ettarifurono acquisiti dalla municipalità romana; la parte occidentale nel 1965, la restante nel 1971 con apertura al pubblico nel 1972.

È, inoltre, la sede di rappresentanza del Governo italiano.

Rimane proprietà della famiglia Doria Pamphilj la cappella funeraria opera di Odoardo Collamarini.

Villa Flora

L’attuale nome della villa deriva dalla denominazione “Hotel Flora”, assegnato al complesso dalla Casa generalizia dell’Ordine dei Servi di Maria. Espropriata nel 1975 dalla Regione Lazio per la “realizzazione di un parco pubblico attrezzato nel Quartiere Gianicolense” fu acquisito dal Comune di Roma nel 1978.
La villa, nota nei documenti ottocenteschi e novecenteschi come Villa Signorini, è costituita da un casino nobile, di forme eclettiche ispirate a modelli neomedioevali e neorinascimentali, con torre provvista di bifore e merli. Sono inoltre visibili i resti di due serre, in ghisa e vetro, anch’esse di forme neomedioevali.
Piacevole è il parco, costituito da un lungo viale fiancheggiato da cipressi, che sale dalla via Portuense alla sommità dell’altura, dove sono gli edifici; le pendici sulla sinistra presentano numerosi esemplari di pini, palme e cedri.

Potrebbe essere il fiore all’occhiello dell’amministrazione, un eccellente spazio a misura d’uomo.
Purtroppo è un’antica villa gentilizia degradata, abbandonata e recintata, un pugno in un occhio per la splendida cornice di verde che circonda l’edificio storico.
Manca un piano serio di utilizzo della villa e la manutenzione dal 1978 non è stata mai effettuata, numerosi extracomunitari bivaccano negli edifici storici ormai diroccati.
La notte l’area rimane aperta priva di illuminazione e la villa diventa terra di nessuno e utilizzata come dormitorio e per attività illegali.
L’antica villa gentilizia ottocentesca e gli edifici circostanti, notevoli esempi di modelli storici neorinascimentali e neomedievali, versano in pessimo stato di conservazione e tutti in stato di abbandono.

Castel di Guido

Castel di Guido è il nome della quarantacinquesima zona di Roma nell’Agro Romano, indicata con Z.XLV.

Il toponimo indica anche una frazione di Roma Capitale.

Si trova nell’area ovest di Roma, in piccola parte a ridosso ed esternamente al Grande Raccordo Anulare.

Storia

La zona, con il nome di Lorium, era ampiamente popolata già nei primi anni del secondo secolo a.C., come recentemente scoperto grazie ad alcuni ritrovamenti nella necropoli vicino Massimina.

Nell’anno 846 Guido I di Spoleto, chiamato da Papa Sergio II, sconfigge i saraceni a Lorium, e la zona prende il nome di Terra di Guido il Saraceno. Secondo un documento datato 1073, un certo Robertus, dona il castrum quod cognominatur de Guido al cenobio di San Gregorio.

Qui si trova una delle oasi della LIPU, estesa per 250 ettari e, in località Malagrotta, la più grande discarica d’Europa, con un’estensione di poco inferiore.

Lorium

Lorium era una località situata sulla via Aurelia, nei pressi dell’odierna Castel di Guido (nel XVI municipio di Roma). La località era citata nella Tabula Peutingeriana come prima stazione di posta sulla via, al suo XII miglio da Roma.

Vi si trovava una villa costruita dall’imperatore Antonino Pio, che vi morì nel 161 e nelle quale risiedettero anche Adriano e Marco Aurelio.

Nella località si sono rinvenute tracce di un borgo di epoca romana che attraversò una fase ricca di costruzioni nel corso della seconda metà del I secolo a.C. Resti di costruzioni ai lati della strada e di tombe furono rimessi in luce in scavi condotti nel 1823-1824.

Lorium fu sede di una antica diocesi, con il titolo di Santa Rufina, unificata sotto papa Callisto II con la diocesi di Porto nell’attuale sede suburbicaria di Porto-Santa Rufina.

Sulle vicine colline esistono numerose tracce di ville romane suburbane residenziali. Gli scavi della Soprintendenza archeologica di Roma presso la villa dell’Olivella nel 2006, condotti dopo iniziali scavi clandestini di tombaroli scoperti dalla Guardia di finanza nel 2005, hanno riportato in luce un impianto termale con pavimenti a mosaico, pertinente ad una grande villa residenziale del II-III secolo. Altri due nuclei residenziali erano già stati individuati nei pressi sul monte delle Colonnacce (“villa delle Colonnacce”, già depredata dai tombaroli negli anni settanta), e sul monte Aurelio.