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Vallerano

Vallerano è il nome della venticinquesima zona del comune di Roma nell’Agro Romano, indicata con Z.XXV.
Si trova nell’area sud della città, a ridosso ed esternamente al Grande Raccordo Anulare.

Confinante con Trigoria era la tenuta di Vallerano che prende il nome da un fiumiciattolo che attraversa il suo territorio proveniente da Albano, (denominato Fosso di Vallerano).

Storia

Anticamente questo vasto latifondo apparteneva alla famiglia romana del Valerii da cui il nome “valerianum”.
La tenuta originariamente comprendeva i terreni di Vallerano, Tor Pagnotta, Santa Maria, Torricelle di Vallerano a Torricella, poi suddivisa in altrettanti proprietari.

Sempre confinante con Trigoria era la tenuta di Perna. Il nome Perna, era un nome femminile abitualmente usato nel medioevo; solo nel XVI sec. si ha notizia di questo casale.

Proprietari fra gli altri furono i Colonna e i Torreggiani.

Tenuta di Vallerano

La recente urbanizzazione del sito è stata preceduta da un’approfondita ricerca archeologica, che ha evidenziato la presenza di una organizzazione del territorio a partire dal periodo arcaico fino ad epoca imperiale. Tracce di una occupazione del territorio in età preistorica, riferibili ad uno stanziamento abitativo di epoca Neolitica (fine del IV millennio a.C.), sono state scavate su un pianoro a circa 300 metri a sud est del Casale di Valleranello.

Le indagini sistematiche hanno messo in luce i resti, su almeno dieci aree distanti in media 150 metri una dall’altra, di un articolato sistema di canalizzazioni per uso agricolo, databili probabilmente al periodo medio repubblicano (dal IV-III secolo a.C. fino al II-I secolo a.C.). Tali strutture, individuate sotto lo strato superficiale di humus, interessano l’area di un pianoro solcato in antico da un canale naturale confluente a nord verso il fosso di Vallerano.

Oltre a questo complesso sistema di drenaggi agricoli, il comprensorio è caratterizzato da un esteso e articolato reticolo viario, forse risalente già al periodo arcaico.

Due di questi percorsi (strada 1 e 2), individuati ciascuno per una lunghezza complessiva di 500 metri, sono collegati e dividono il pianoro in tre settori; è ipotizzabile che la strada 2, dopo la biforcazione in un secondo tracciato (strada 1), proseguiva verso nord ovest in direzione della tenuta di Casal Brunori.

All’incrocio di questi due assi stradali sono state rinvenute, scavate sulla parete di un fossato di erosione delle acque, quattro tombe a camera che hanno restituito corredi databili al IV-III secolo a.C.; una quinta tomba a camera, coeva alle precedenti, è stata trovata lungo la strada 2 a circa 350 metri a sud est di questo incrocio.

Alcune recenti indagini, tuttora in corso, lungo quest’ultimo tracciato stradale, hanno permesso di mettere in luce i resti di un’altra biforcazione con un nuovo percorso viario proveniente da est; all’incrocio dei due assi stradali è puntuale, anche in questo nuovo settore di scavo, la presenza di una tomba a camera. A nord ovest di quest’area sono stati rinvenuti, infine, alcuni pozzi, fosse e resti di una cisterna scavata nel banco di tufo.

E’ probabile che la strada 1, una volta attraversato il fosso di compluvio naturale del pianoro, avesse una diramazione a nord ovest verso un tracciato stradale d’accesso, individuato sul lato ovest di un insediamento databile tra la tarda età repubblicana e quella imperiale (fine II secolo a.C. – inizio I secolo d.C.).

Lo scavo di questo complesso ha messo in luce una vasta area rettangolare in cui sono state individuate vasche di lavorazione rivestite in cocciopesto, canalette di scolo, fosse, cisterne, pozzi e cunicoli sotterranei collegati fra loro; quest’area, infine, era racchiusa su tre lati da un canale a cielo aperto scavato nel banco di tufo, collegato ad una pozzo con cunicolo di scarico. Sul quarto lato sud è stata messa in luce una struttura di forma rettangolare allungata, forse identificabile come sterquilinium (letamaio), che presenta una rampa di entrata a scivolo lastricata con blocchi di basalto; accanto a queste strutture, oltre a tracce di alcune sepolture, si ha un ambiente semipogeo con resti di dolia.

A circa 500 metriad ovest di questo insediamento, è stata parzialmente indagata l’area di una villa di epoca imperiale con impianto di forma rettangolare allungata; del complesso si conservano le strutture di una cisterna su due piani, resti di un probabile dolietum e poco distante, all’interno di una piccola cava di tufo ad uso locale, un’area sepolcrale con tombe a cappuccina.

Un terzo tracciato (strada 3), grosso modo parallelo a Via di Vallerano, è stato rinvenuto, con andamento non rettilineo, ma leggermente sinuoso, nella parte sud del pianoro; molto probabilmente le prosecuzioni di questa strada, a sud est e a nord est, si raccordano con analoghi tracciati individuati rispettivamente nelle tenute della Perna e di Tor Pagnotta.

Questa strada di lunga percorrenza, probabilmente collegata con la strada 2, rimase in uso fino ad epoca imperiale avanzata come dimostrano i resti di una rampa di accesso ad una villa databile alla tarda età repubblicana (II-I secolo a.C.).

Lo scavo lungo il pendio ovest dell’altura, su cui sorge l’insediamento, ha messo in luce alcune strutture a blocchi di tufo e un vasto sepolcreto con oltre cento tombe databili nell’arco del II-III secolo d.C.; probabilmente al servizio di quest’area doveva essere destinata una fornace rinvenuta lungo la scarpata nord ovest della strada 3.

Accanto alle semplici sepolture a fossa, con la copertura di tegole alla cappuccina o all’interno di anfore, ne sono state trovate alcune di un tipo più elaborato e di maggiori dimensioni, che presupponevano una sistemazione esterna con monumento a vista, forse un piccolo basamento sostenente un’ara con iscrizione, di cui purtroppo non è rimasto alcun elemento. Fra queste la Tomba n.° 2 comprendeva una sepoltura femminile di una giovane donna all’interno di un sarcofago in marmo con ricco corredo databile all’epoca degli imperatori Antonini.

A circa 250 metri nord ovest di quest’area, lungo un tracciato stradale con pavimentazione realizzata a scaglie di basalto, è stata messa in luce una piccola necropoli posta lungo questo percorso viario proveniente dalla biforcazione con le strade 1 e 2.

Sul limite settentrionale del comprensorio, infine, lungo Via di Valleranello, sorgono i resti di una torretta medioevale di vedetta.

La struttura, di forma quadrata, è costruita in blocchetti di tufo misti a scaglie di selce e mattoni; la torre, più volte restaurata e notevolmente trasformata all’interno, conserva un finestra rettangolare ed una feritoia su ogni lato. La sua particolare posizione intermedia assicurava le segnalazioni tra l’antica e la moderna Via Laurentina.

Parco degli Acquedotti

Di grande importanza culturale è il Parco degli Acquedotti, detto anche parco di via Lemonia.

È percorso da uno dei tratti più suggestivi dell’Acquedotto Claudio, dell’Acquedotto Felice e dell’Aqua Marcia.

Tra i tre, quello più imponente è senza dubbio l’Acquedotto Claudio, restaurato nel 776 dal papa Adriano I dopo la guerra gotica ed andato in seguito in rovina.

Verso la fine del Medioevo, parte della sostanza dell’acquedotto fu demolita per ricavarne materiale edilizio: è stata questa la causa delle lacune che oggi ne caratterizzano il percorso.

Nel parco si trovano, oltre agli acquedotti ed alla chiesa parrocchiale, dei reperti archeologici di diversi tipi. Tra questi, si ricorda la tomba dei cento scalini, usata per decenni a mo’ di discarica di rifiuti.

Alla scoperta del parco degli acquedotti lungo la via Latina antica
Il percorso si snoda attraverso i monumenti che sorgevano lungo il tracciato della via Latina Antica, all’ interno di un’ area di particolare interesse archeologico-naturalistico come il Parco degli Acquedotti, che fa parte integrante del Parco Regionale Suburbano dell’Appia Antica, istituito con legge regionale del 10 Novembre 1988, n.66.
La Via Latina Antica, e’ stata considerata uno dei piu’ importanti assi di collegamento con il Mezzogiorno d’Italia, in quanto congiungeva Roma con Capua (129 miglia), dove confluiva nella via Appia. Nel percorso, attraverso le valli del Sacco e del Liri, seguiva itinerari antichissimi di comunicazione tra il Lazio e la Campania, attraversando l’ intero territorio latino (Latium vetus e Latium novum), annesso a Roma dopo la sconfitta degli Equi e dei Volsci.
La Via, nata come arteria di penetrazione politico-militare, e’ stata datata tra il 328 a.C. e il 312 a.C., antecedentemente alla via Appia.
In eta’ repubblicana, la via partiva da Porta Capena, insieme all’ Appia, dalla quale si biforcava presso l’ attuale Piazza Numa Pompilio, mentre in eta’ imperiale usciva da Porta Latina, ed in direzione sud-est, attraversava la campagna romana con un percorso rettilineo fino ai Colli Albani. La strada risulta frequentata fino all’ inizio del XIV sec., quando il tratto fino ai Colli Albani venne sostituito dalla via Labicana. La via, lastricata con massi poligonali, era larga nella sede carrabile circa 4 metri; spazio sufficiente all’incrociarsi dei carri, con stazioni di posta sul percorso (mutationes), per l’alloggio dei viaggiatori ed il cambio dei cavalli, mentre a distanze maggiori, si trovavano altre stazioni di posta piu’ fornite, come veri alberghi (mansiones).
Attualmente, si conserva della via Latina antica il primo tratto, utilizzata come via normale di transito, a partire dalla porta omonima nel quartiere Appio-Latino, mentre il resto a causa dell’espansione edilizia incontrollata, si ritrova solo in parte dopo il raccordo anulare, dove corrisponde all’incirca al tracciato della via Anagnina.

L’ itinerario ha inizio a Tor Fiscale (localita’ nel Medioevo detta “Arco di Travertino”), da via del Quadraro, superato il ponte della ferrovia per Napoli (tracciata nel 1888-’89), attraverso una stradina sterrata sulla destra; qui la via Latina, incrocia la serie delle grandi arcuazioni monumentali degli Acquedotti che la accompagnano ininterrottamente fino alla Roma Vecchia, in uno scenario classico della campagna romana. La Torre, quadrata con finestre rettangolari, alta circa 30 metri, poggiante su due archi appartenenti all’ Acquedotto Claudio e al Marcio, nel punto in cui si intersecano, fu edificata con blocchetti di peperino nel XIII sec., dal senatore Brancaleone, in una posizione che permetteva il controllo diretto sulla via Latina che passava poco a nord-est.
Fu chiamata Torre di S. Giovanni o Torre Branca, mentre il nome attuale deriva dall’ essere appartenuta nel XVII sec. a Monsignor Filippo Foppi, tesoriere pontificio.
In questo punto, gli acquedotti Claudio e Marcio intersecandosi nuovamente racchiudevano uno spazio a trapezio in direzione Nord Ovest-Sud Est con un lato maggiore costituito dall’acquedotto Claudio.
La particolare configurazione di quest’ area, che prese il nome di Campo Barbarico, fu utilizzata come campo trincerato nel 559 d.C., durante il famoso assedio di Roma da parte di Vitige re dei Goti, che per controllare le vie di accesso alla citta’ tenuta da Belisario, chiuse con pietre e fango la luce degli archi. Dove attualmente l’ acquedotto Felice scavalca la via del Quadraro, si trova il punto d’ intersezione degli acquedotti a sud-est e qui cade il IV Miglio della Via Latina. Il luogo, e’ legato al leggendario incontro di Coriolano con la moglie Volumnia e la madre Veturia.
A ricordo dell’ evento, per la scampata minaccia volscia, era stato eretto nel 487 a.C. il Tempio della Fortuna Muliebre, che non e’ stato ancora identificato.
Tornando su via del Quadraro, si raggiunge a destra via Lemonia con l’ importante complesso di Villa Delle Vignacce,una tra le maggiori ville del suburbio romano.
La zona archeologica, ai margini dei fabbricati attuali, e’ stata in passato abbandonata agli scarichi edilizi delle nuove costruzioni, mentre attualmente l’ area e’ stata sistemata a giardino. La struttura sul lato nord-est, presentava un terrazzo lungo oltre 120 metri, che correva quasi parallelamente a via Lemonia, ornato al centro con una fontana absidata e concluso verso ovest da vaste cisterne d’ acqua coperte a volta (qualche muro resta visibile). La spianata al di sopra doveva essere un grande giardino, ma il nucleo principale e’ costituito piu’ a sud, da una grande aula rettangolare absidata (forse un ninfeo), affiancata da due ambienti per lato (i maggiori coperti a crociera, i minori piu’ esterni a botte).
A est, si nota un altro gruppo di ambienti, tra i quali e’ riconoscibile la parte termale, con una grande sala circolare coperta a cupola (ne resta circa un quarto) quale nucleo centrale. Nelle fratture della cupola, si notano i resti delle anfore vuote, utilizzate per alleggerire la struttura (tecnica comune in eta’ costantiniana, si ricorda: il Circo di Massenzio sull’ Appia, ed il Mausoleo di Tor Pignattara sulla via Casilina). Circa 130 m. a sud-ovest, si trova ben conservata una grande Cisterna, di forma trapezoidale allungata, parallela all’ acquedotto Felice, che in questo punto ricalca il tracciato dell’ acquedotto Marcio che la riforniva in eta’ romana. La struttura a due piani, presenta tre stanze con volta a crociera in quello inferiore, quattro camere nel piano superiore e, all’esterno, una doppia serie di nicchie semicircolari. La costruzione, sembra rinviare a tre fasi edilizie per l’ uso dell’ opera reticolata, mista e listata, databili tra il II ed il IV sec. d.C.
La villa, collegata al IV miglio della via Latina, mediante una strada parallela al tracciato dell’acquedotto Marcio, e’ stata costruita in eta’ di Adriano, tra il 125 ed il 130 d.C., come documentano i bolli laterizi. Le murature in opera reticolata di tufo, con ammorsature e ricorsi in laterizio e tufelli, mostrano restauri e rifacimenti, specialmente del IV sec. d.C.
La costruzione della villa, e’ stata attribuita a Q. Servilio Pudente, padre del console del 166 d.C., proprietario di grandi fabbriche laterizie, in base al ritrovamento, durante gli scavi del 1780, di fistule plumbee con il suo nome.
Si suppone, che la villa fosse di proprieta’ imperiale alla fine del II sec. d.C., ma e’ certo che in eta’ costantiniana era inclusa nel predio imperiale che si estendeva dalla Prenestina alla Tuscolana ed il cui centro era “Villa ad duas Lauros”, della Labicana.
La villa ospitava numerose opere d’arte, scoperte nei vari scavi (fine ‘700), tra le quali: un’ Afrodite, il Ganimede Chiaromonti, attribuito a Leochares, la Tyche di Antiochia, copia di Eutichides, il colossale ritratto di Giulia Domna (conservati ai Musei Vaticani). Alle spalle della cisterna di Villa delle Vignacce, corre l’acquedotto Felice, costruito da Papa Sisto V (Felice Peretti), da cui prese il nome tra il 1585 ed il 1587 e che, per alcuni tratti alterni, dal Casale di Roma Vecchia fino alla via Tuscolana (verso la citta’), s’ impianto’ sulle stesse fondazioni dell’ acquedotto Marcio, le cui strutture servirono da cava di materiale nel Medioevo e nel Rinascimento.
L’acquedotto papale prendeva le acque a Pantano Borghese e le conduceva in sotterranea fino a raggiungere il Marcio a Roma Vecchia, per un percorso di 28,7 Km.
Dal Quadraro a Roma Vecchia, l’acquedotto si presenta a muro continuo, con piccole aperture per le necessita’ del traffico trasversale, in calcestruzzo ricco di malta, archi radi e piloni massicci, riutilizzando frantumi di laterizi, pietrame e tufo.
La sua costruzione fu fondamentale per Roma, nel Medioevo e nel Rinascimento, in quanto era necessario sopperire alle disastrose condizioni igieniche, essendo rimasto in funzione solo l’acquedotto Vergine.
L’acquedotto Marcio, costruito dal pretore Q. Marcius Rex nel 144 a.C., captava le acque di un piccolo lago dell’alta valle dell’Aniene, tra Arsoli e Agosta, e giungeva a Roma dopo un percorso di 91,400 chilometri.
Le arcate originali erano formate da blocchi di tufo, peperino, a leggero bugnato.
Al canale della Marcia vennero sovrapposti in tarda eta’ repubblicana, il canale dell’acqua Tepula, costruita nel 125 a.C. dai censori Cn. Servilio Ceplone e L. Cassio Longino, che raccoglieva l’acqua di elevata temperatura alle sorgenti tra Marino e Grottaferrata, e in seguito anche il canale dell’acqua Iulia, costruito da M. Agrippa nel 33 a.C., che raccoglieva le acque dalla fonte presso il ponte degli Squarciarelli di Grottaferrata; entrambi i canali erano in reticolato di tufo.
Superata la chiesa di S.Policarpo, il campo bocciofilo per anziani, ci si immette nel parco giuochi, attrezzato dal Comune di Roma per i bambini, e passando da via Appio Claudio attraverso

Parco della Caffarella

La Valle della Caffarella (339 ha.) è una valle alluvionale creata dal fiume Almone comprende un’area tra le mura Aureliane, la Via Latina e la Via dell’Almone e costituisce la prima parte del Parco dell’Appia Antica esteso per circa 2500 ha.
È ricca d’acqua, che affiora da falde e sorgenti.

Storia

Il toponimo Caffarella, esteso all’intera valle dell’Almone, deriva delle tenute ivi preesistenti unificate nel ‘500 dalla famiglia romana Caffarelli.

Nell’area, che in epoca antica era caratterizzata da residenze extraurbane, si conservano, in un suggestivo paesaggio agricolo, numerosi resti di ninfei, di sepolcri e di un tempio.

La torre inglobata nel casale Gualtieri, la “torre Valca” sull’Almone, la stessa chiesa di S. Urbano e i resti sparsi di impianti idraulici, testimoniano la frequentazione della Valle in età medioevale.

Nel XV sec la valle assistette ad una serie di manovre militari durante i tentativi del Regno di Napoli di controllare la città, mentre il processo di formazione della tenuta, a seguito di aggregazioni successive di singoli appezzamenti sembra concluso nel 1547 quando, sulla mappa di Eufrosino della Volpaia, il casale della tenuta viene indicato come “vigna dei Caffarelli”, al centro della quale edificarono il casale della Vaccareccia.

Dal Catasto Alessandrino (1660) il territorio appare suddiviso in tenute attorno alle quali si sviluppa un sistema di vigne e terreni coltivati e generalmente serviti da casali ancora esistenti.

Il fondo passò poi nel 1695 ai Pallavicini e da questi nel 1816 ai Torlonia che completarono l’impianto idrico.

Nel secolo scorso la Caffarella era sfruttata anche come cava di pozzolana, utilizzata negli edifici della Roma umbertina.

La prima ipotesi di realizzazione di un parco archeologico nel comprensorio dell’Appia Antica, alle cui vicende urbanistiche c strettamente legata la storia della valle della Caffarella, risale agli inizi dell’800 e venne attuata con l’esproprio di  una fascia lungo la via Appia e la sistemazione della passeggiata archeologica ad opera del Canina.

Il Piano Regolatore del 1965, a seguito delle accese battaglie condotte da Italia Nostra e dall’I.N.U. (che si opponevano all’edificazione massiccia prevista dal Piano Paesistico nel 1960) vincola a parco pubblico l’intero comprensorio riconoscendo la vocazione naturale di questa eccezionale porzione dell’Agro Romano. I procedimenti espropriativi avviati dal Consiglio Comunale negli anni ’70 come altri provvedimenti dell’Amministrazione Comunale riguardanti l’acquisizione delle aree e la sistemazione del Parco non ebbero seguito.

Con la Legge Regionale n.66 del 10.11.88, viene istituito il Parco Regionale Suburbano dell’Appia Antica e viene affidata la sua realizzazione e gestione ad un’azienda consortile costituita nel 1992.
Territorio

Il territorio della Caffarella, percorso interamente dal fiume Almone, offre interessanti occasioni per un approccio didattico alla storia geologica di Roma in quanto sono ancora leggibili le vicende geologiche che hanno portato alla deposizione dei terreni sui quali si è sviluppata la città.

I depositi profondi della Valle del fiume Almone sono costituiti da sedimenti marini del Pliocene (argille azzurre), sedimenti marini (sabbie e argille marine) ed alluvionali del Pleistocene (argille, sabbie e ghiaie). Successivamente questi terreni sono stati ricoperti dai prodotti piroclastici del Vulcano Laziale (tufi e pozzolane) derivati da quattro successive eruzioni vulcaniche.

La presenza del tufo litoide lionato, da sempre utilizzato come materiale da costruzione, è testimoniato da numerose cave estrattive.

Appartiene ad una fase distinta la cosiddetta Colata di Campo di Bove che partendo dal Vulcano Laziale, termina alla base della tomba di Cecilia Metella. La morfologia della Valle e stata determinata dalla successiva azione erosiva del fiume Almone sui depositi vulcanici. Nell’area si contano numerose sorgenti d’acqua.

Lasciata in parte al naturale, la Valle della Caffarella si inserisce nella cornice della campagna romana subito a ridosso delle Mura Aureliane, all’interno dell’attuale perimetro cittadino.
Lo stato agricolo, riconducibile alla struttura cinquecentesca è notevolmente rimaneggiato anche a seguito dell’abusivismo agricolo che ha prodotto innumerevoli “orticelli di guerra”.

Nonostante questa ed altre forme di degrado dovute alla mancanza di presa in carico da parte dell’Amministrazione del patrimonio artistico e naturalistico della Caffarella, si può gustare un’atmosfera tipica di campagna romana: animali al pascolo e boschetti, corsi d’acqua inquinati ma ancora recuperabili, grotte di tufo, limpide sorgenti e strette vallette ricche di sottobosco.

Casale della Vaccareccia

Si tratta di un ampio casale agricolo costruito dai Caffarelli, proprietari di questa zona dal XVI secolo,  i quali diedero il loro nome a tutta la vasta tenuta e ricondussero l’ameno complesso di valli, boschi e declivi, ricco di vestigia storiche, ad un’unica e funzionale azienda agricola.

Nel XIII-XIV secolo nel casale venne inclusa una torre costruita con blocchetti di tufo e scaglie di marmo che assunse anche funzione di collegamento tra i due piani.

In origine era molto più alta, per controllare tutta la tenuta fino alla via Latina.

La Vaccareccia, nella parte superiore, presenta una grande ala con un bel portico su colonne antiche; di lì si può entrare nella casa dei contadini, col tetto a spiovente, la loggia del ‘500 e il fienile, in unico corpo rinforzato da robusti muri di sostegno.

Nel 1695 la tenuta della Caffarella fu venduta ai Pallavicini e nel 1816 passò ai Torlonia, che operarono dei piani di ristrutturazione del casale e della zona circostante (aggiungendo la grande stalla lungo uno dei lati dell’aia) e bonificarono il fondovalle per l’ultima volta. Alcuni edifici del casale mostrano lo stemma della casata, raffigurante una corona che sovrasta due comete.

Ancora oggi è abitata da contadini che producono formaggi e ricotte ricavati da pecore lasciate al pascolo nella Valle.
Il complesso della Vaccareccia occupa una superficie coperta di 3200 mq situato amministrativamente nel territorio dell’XI Municipio, è in parte utilizzato per l’allevamento di ovini (3 greggi di pecore perun totale di circa 1000 capi che pascolano nella valle) e la produzione di formaggio pecorino e ricotta.
Il Piano di Utilizzazione della Caffarella destina la Vaccareccia ad “attrezzature per la fruizione del paesaggio agricolo e storico”, individuando in questo casale il punto di vendita dei prodotti dell’agricoltura.

Purtroppo circa 15 anni or sono un incendio ha danneggiato parte del tetto del casale per cui risulta urgente un restauro e la struttura risente dell’assenza pluridecennale di una pur minima manutenzione; solo la stalla è stata invece completamente ristrutturata dagli ex proprietari, Fondazione Gerini, e pertanto può, insieme all’antistante aia, fin d’ora essere utilizzata per una serie di eventi.

Il casale, espropriato nel 2005 con ordinanza del sindaco Veltroni è stato acquisito al patrimonio comunale nel 2007 ed ora è finalmente pubblico.

Torre Valca

Superato il Ninfeo di Egeria proseguendo oltre arriviamo a scorgere la torre Valca posta sulla nostra sinistra.

Dal termine longobardo “walcan” (rotolare), la torre faceva parte di un sistema di mulini ad acqua (le cosiddette valche risalenti all’XI secolo) utilizzati per la lavorazione e il lavaggio di panni.
La torre costruita a blocchetti regolari di tufo, di peperino e di marmo, controllava l’attraversamento del fiume Almone.

E’ proprietà privata.

Finocchio

Finocchio, o anche Borgata Finocchio, è una frazione (zona “O” 27) del comune di Roma, situata in zona Z.XIV Borghesiana, nel territorio del Municipio VIII.

Si estende lungo il diciottesimo km della via Casilina, all’incrocio con via di Rocca Cencia, via di Fontana Candida e via di Prataporci. Le ultime due attraversano il territorio di vitivinicoltura del vino Frascati DOC.

Storia

I primi insediamenti territoriali risalgono all’età pre-romana, più precisamente presso l’antica Gabii, (oggi Osteria della Osa); l’area sarebbe stata sulla linea di transumanza tra questa, i Piani di Annibale e il Monte Cavo (Rocca di Papa): quest’ultimo antichissimo luogo di culto e punto di confine con la potente (nel periodo preromanico) Albalonga.

Le misteriose origini del nome possono essere fatte risalire alla stessa età romana, nel territorio sarebbe stata collocata una struttura chiamata foeniculum, nome latino dell’omonimo ortaggio.
Non è escluso che l’attuale conoscenza delle proprietà officinali (per gli uomini e per gli animali) di questa pianta erbacea mediterranea della famiglia delle Apiaceae (Ombrellifere), fosse in qualche maniera nota ai villici locali; e quindi la determinazione a costruire manufatti atti alla celebrazione degli Dei negli stessi luoghi dove questa pianta cresceva spontanea.
Non bisogna dimenticare, infatti, che ancora oggi gli agricoltori sono soliti accatastare le pietre di origine vulcanica (basalto) trovate nelle zone di coltura; addirittura queste stesse pietre delimitano i confini tra le proprietà (macère e non màcere)e servono da sostegno e drenaggio tra terreni posti a differenti quote.

La zona di Foeniculum era sede di Stazioni di Posta e Avvistamento costruite in vari periodi storici, atte al controllo della strada consolare Casilina, da Casilinum l’odierna Capua. L’importanza di questa strada statale (Strada Statale 6 Via Casilina), è sempre stata nota : nell’ultima guerra mondiale fu percorsa dalle truppe americane, dopo la battaglia di Cassino, per arrivare a Roma. Da sempre zona di vitivinicoltura, ebbe un primo popolamento con la distribuzione della terre ai reduci della Prima Guerra Mondiale e la creazione di un piccolo centro commerciale, perché lontano da centri già dotati di servizi come per esempio Grotte Celoni sede dello stabilimento Breda.

La politica di immigrazione tra le due guerre contribuì ad estendere quel piccolo centro: occorre precisare che per diventare cittadino di Roma (centro urbano maggiore di 250.000 abitanti) era proibito per legge (abolita poi nel 1960) a meno di possedere un domicilio e/o un lavoro; quindi gli immigrati (italiani), che solitamente non avevano ne una casa ne tantomeno un lavoro, permanevano ai limiti dei confini comunali.

Il nucleo centrale, composto dalla chiesa e l’attigua antica torre della Posta (ora distrutta), nacque intorno ad attività commerciali di ristorazione e distribuzione (famiglie Cherubini, Colagrossi, Liverotti, Cupellini ed altre) ed anche a seguito della lottizzazione del Prof. Serafini, nel 1955, di un lotto di vigna molto ampio prospiciente la chiesa di Santa Maria della Fiducia.

Di notevole importanza era la cosiddetta Osteria del Finocchio, tra i luoghi più importanti di sosta e ristoro che, a partire dal Rinascimento, popolarono l’Agro Romano. Questo edificio risalente al secolo XVII, l’unico di valenza storica nel quartiere, posto all’incrocio tra la via Casilina, la via Prataporci e la stessa via Osteria del Finocchio, fu sciaguratamente demolito (con la dinamite) nei primi anni ’60 per far posto a nuove costruzioni private.

Altre costruzioni erano già presenti all’epoca ma la vera esplosione demografica avvenne con la vendita della proprietà Fabrizi (1969) (azienda agricola) e la conseguente lottizzazione abusiva per svariati ettari, fino alla Prenestina.
L’area era attraversata dalla linea Roma-Fiuggi detta “Linea Laziali”, costruita durante lo sforzo bellico della I guerra mondiale e nel tempo ridotta alla attuale Roma-Pantano (in parte futura Metro C).

Della vecchia proprietà (azienda agricola) Fabrizi, ancora oggi (2009), esistono la casa padronale, del mezzadro e la stalla: l’area è ora rinominata Collina della Pace. Per svariati lustri svettò anche il palazzo di sei piani fatto costruire abusivamente (per destinarlo ad albergo) da Enrico Nicoletti, noto per essere il cassiere della storica banda della Magliana.
Il palazzo, mai terminato, e confiscato nel 2001 insieme a tutta l’area circostante di 13mila mq, tra via Capaci e via Bompietro, è stato fatto demolire dal comune di Roma il 19 maggio 2004, grazie all’opera di sensibilizzazione svolta tra il 1994 ed il 2002 dall’associazione culturale Contaminazione, composta da alcuni giovani del quartiere, i quali hanno voluto che l’area fosse destinata alla collettività per il verde pubblico e le attività sociali, in ottemperanza alla legge d’iniziativa popolare 109/96 (Disposizioni in materia di gestione e destinazione di beni sequestrati o confiscati) proposta dall’associazione Libera.
Grazie a questa iniziativa la Collina della Pace è oggi l’unica area verde di Finocchio, sfuggita alle lottizzazioni cui la destinava perfino il nuovo Piano Regolatore di Roma, adottato il 20 marzo 2003 dal Consiglio comunale, nella cui fase finale di approvazione (Controdeduzioni) sono state accolte dapprima in Giunta nel dicembre 2005 (presieduta dal sindaco Veltroni) e poi in Consiglio comunale nel marzo 2006, numerose osservazioni di privati che chiedevano cambi di destinazione d’uso da verde e servizi pubblici ad edilizia residenziale privata.

Il 17 dicembre 2007 il sindaco di Roma Veltroni, ha inaugurato il nuovo parco della “Collina della Pace”.Il parco è stato intitolato a Peppino Impastato, vittima della mafia.
La Collina della Pace è stata anche scenografia di un incontro dei cittadini con il comico Beppe Grillo che ha illustrato le difficoltà delle borgate romane.

Il Parco

Il nuovo parco di Collina della Pace si trova nel cuore del quartiere Finocchio. La zona, lungo la via Casilina all’altezza del km 18.00, è stata individuata come una “centralità locale” dove è stato realizzato l’intervento di recupero ambientale e di riqualificazione urbana che ha interessato un insieme di spazi aperti e di edifici in abbandono.

Luogo tra i più significativi del quartiere dal punto di vista delle potenzialità urbanistiche, la Collina della Pace è anche un sito carico di forti valori simbolici e identitari per il territorio in questione: teatro negli Settanta di una manifestazione per la pace (da cui la collina trae il nome), nel 2001 l’intera area è stata confiscata alla malavita organizzata (Banda della Magliana) e, in base alla Legge 109 del 1996 sulla sottrazione dei beni alla mafia, è stata restituita ai cittadini e assegnata al Comune di Roma per usi sociali. Oggi il parco è intitolato alla memoria di Peppino Impastato, uno dei “testimoni” più rappresentativi della lotta contro la mafia.

L’intervento ha ricostruito il paesaggio urbano attraverso il recupero della collina: un’area di 13.000 mq precedentemente divisa in due da una strada di scorrimento e gravemente compromessa dallo sbancamento e dalla presenza di un edificio abusivo in cemento armato (un “ecomostro” demolito nel 2004 dal Comune di Roma nel corso dei lavori di riqualificazione). Il collegamento delle aree verdi ha permesso di realizzare, attraverso una soluzione di terrazzamenti, un cuore di servizi pubblici nel quartiere: la centralità della Borgata Finocchio.

Il rimodellamento e il ricongiungimento della collina e il recupero di alcuni casali rurali in abbandono, infine daranno vita ad un vero e proprio parco urbano, ispirato alla memoria dell’agro, dove saranno introdotte nuove funzioni pubbliche rappresentative delle attività culturali e sociali, quali una biblioteca di quartiere e un centro culturale polivalente: tutti quei servizi che, attraverso il processo di partecipazione e la verifica in pubbliche assemblee, sono stati identificati dai cittadini come necessità o bisogni. La realizzazione di percorsi pedonali e ciclabili, infine, migliora la mobilità attraverso la razionalizzazione dell’attuale assetto del traffico e della mobilità pedonale interna al quartiere.

Percorsi

La moderna borgata Finocchio si è sviluppata nel sito un tempo occupato dall’Osteria di Finocchio, sorta in un importante punto d’incrocio di diverse vie di comunicazione tra la Latina, la Tuscolana e la Prenestina.

A sinistra della borgata, il toponimo di Rocca Cencia conserva il ricordo di una torre del XII secolo, sorta sul luogo di una villa romana.

Poco più a nord, lungo l’attuale via di Rocca Cencia, che conduceva dalla Via Labicana alla Prenestina, presso l’Osteria dell’Osa, si trovava il Torraccio di S. Antonio, definitivamente distrutto alla fine dell’ultima guerra. La costruzione che sorgeva nella località chiamata nell’VIII secolo fundus Grifis (Pantano Borghese), fu detta Turris Mesa o Media nel XIII secolo e acquistò l’attuale nome alla fine del XIV secolo, quando tornò in possesso dell’Ospedale di S.Antonio, che già la ebbe nel XIII.

Prendendo a sinistra della Borgata Finocchio via di Cavona si può giungere all’altezza delle Catacombe di Zotico, che si trovano in corrispondenza del X miglio della via Labicana, come sappiamo da un passo del Martyrologium Hieronymianum (calendario compilato nel V sec. d.C. per la celebrazione dei martiri, erroneamente attribuito a S. Girolamo).

Il complesso difficilmente visitabile, isolato nella campagna, è scavato nel banco tufaceo di una piccola collina. Insieme a Zotico vi furono deposti i suoi compagni Ireneo, Giacinto e Amanzio, le spoglie dei quali furono traslate a S. Prassede da Pasquale I (817-824). Le iscrizioni qui rinvenute datano il complesso al IV e V secolo, poi restaurato nel V e ancora nel IX secolo da Leone III (796-816). Da una bolla di Pasquale II (1099-1118) che nomina una ecclesia S.Zotici et Amantii sappiamo che nel XII secolo s’impiantò un oratorio.

Sul lato opposto della Casilina, svoltando a sinistra per Via Siculiana, si oltrepassa un vecchio ingresso inquadrato da due pilastri sormontati da leoni. Da qui si raggiunge, percorrendo Via Villabate, la località Grotte di Pompeo dove sono conservati i ruderi di una cisterna sotterranea che serviva un’ampia villa. Sullo stesso luogo si impiantò una costruzione databile al XII secolo, forse una torre.

Il nome della località, corrotto in epoca medioevale in Mompeo e poi Monte di Pompeo, sembra derivare da un Quinto Pompeo Falcone, che ebbe dei possedimenti in zona.

Prato Fiorito

Prato Fiorito è una frazione di Roma Capitale (zona “O” 17), situata in zona Z.XIII Torre Angela, nel territorio del Municipio Roma VIII.

Sorge all’angolo fra via Prenestina a nord e via Borghesiana a est, tra le frazioni di Colle Monfortani a ovest e Colle del Sole a est.

Il parco

Il parco di Prato Fiorito è il primo, e per ora l’unico, parco pubblico a Roma in cui è ancora presente la campagna produttiva. Infatti il parco, esteso circa 7 ettari, comprende al suo interno una vigna di un ettaro che, adeguatamente ripristinata e curata, possiede una capacità produttiva di 10.000 bottiglie all’anno di Lazio bianco IGT.

Nell’ambito del parco è stato riqualificato il fosso di Prato Lungo, un piccolo corso d’acqua che sfocia nell’Aniene, particolarmente significativo per le rete ecologica in quanto si trova in stretta connessione con le aree del parco dell’ “Acqua Vergine”, creato a protezione delle sorgenti dell’acquedotto romano.
La piazza, il parco e il corso d’acqua si integrano in un disegno paesaggistico in cui i filari della vigna si intrecciano con filari di rose. Accanto a queste aree trattate con obiettivi produttivi e di paesaggio, si sviluppano aree a carattere naturalistico come un piccolo bosco e una fascia di vegetazione umida.
L’acqua è ancora protagonista all’interno del parco; i tre piccoli bacini presenti sono alimentati dalla raccolta delle acque meteoriche e dall’acqua delle fontanelle e verranno utilizzati per la fitodepurazione delle acque reflue dell’insediamento circostante.
Il miglioramento locale della qualità della vita e della biodiversità, sarà monitorato attraverso l’utilizzo di un set di indicatori riferiti ad acqua, suolo, vegetazione, fauna. Il progetto è stato sviluppato con il coinvolgimento degli abitanti attraverso un percorso partecipativo che ha facilitato la condivisione delle decisioni. Il WWF ha lavorato con i bambini delle scuole presenti nel territorio con un progetto di educazione ambientale finalizzato a seguire tutte le fasi di costruzione del parco. Alla definizione di alcune scelte progettuali sulla vegetazione ha collaborato il Dipartimento di Biologia Vegetale dell’Università “La Sapienza” di Roma.

 

Podere Rosa

L’area che si chiama Podere Rosa, dal nome dell’omonimo Casale, costruito agli inizi del secolo scorso, sorge intorno agli anni Quaranta come un insieme di case sparse nel quartiere di Ponte Mammolo. È raggiungibili dalla via Nomentana, ma anche percorrendo a piedi il Parco di Aguzzano che gravita intorno ai quadranti di San Basilio e San Cleto.

Dalla via Nomentana possiamo prendere via Diego Fabbri che ci conduce in un sito, posto non lontano dal Casale Podere Rosa, in cui si colloca una villa romana ad uso rustico databile al periodo di età tardo repubblicana, ma con rifacimenti che si protrassero fino al IV-V secolo d.C. Tra le ville menzionate quest’ultima presenta i resti più consistenti. Sono visibili dei tratti murari in opus reticulatum relativi ad ambienti termali ed alcune stanze con pavimentazione a mosaico. Dall’ambiente termale si poteva accedere con una scala ai piani superiori. Le terme erano alimentate da una grande cisterna che si trova nel settore occidentale del complesso. In uno degli ambienti è presente un pavimento a mosaico con motivi geometrici a forma di reticolo ortogonale con tessere di colore bianco su fondo nero La villa fu rinvenuta durante gli scavi compiuti nel 1982. 
Il Casale, immerso nel verde di una piccola collina, è oggi di proprietà del Comune di Roma ed è stato ristrutturato dopo diversi anni di abbandono secondo tecniche bio-compatibili.

Nel 1993, si costituì l’associazione Casale Podere Rosa, nelle vicinanze del Parco regionale urbano di Aguzzano. Ambientalismo radicale, tutela dei diritti sociali e del lavoro, sensibilizzazione verso uno stile di vita meno consumistico sono i concetti fondamentali intorno a cui si è costituita l’Associazione.

Tra i numerosi progetti portati avanti dal Casale Podere Rosa, sono tra i più significativi, oltre alla valorizzazione del Parco di Aguzzano, l’Università, che offre una serie di seminari e dibattiti di approfondimento di diverse tematiche ambientali, proiezione di documentari, eventi teatrali musicali;la “Festa cittadina per l’Ambiente”, che si svolge in estate; il ripristino ambientale, il risparmio energetico e la riqualificazione del territorio; un progetto socio-riabilitativo che comprende la coltivazione di un orto biologico curato da giovani disabili, la realizzazione di un percorso sensoriale per le persone non vedenti e la creazione di un gruppo di falegnameria dedicato alla manutenzione del giardino: il Giardino delle Meraviglie, dove sono stati istituiti un impianto fotovoltaico, una stazione di compostaggio, sistemi per il riutilizzo dell’acqua piovana e collettori solari. Non mancano due locali di ristorazione bio e il commercio di prodotti equo solidali.

Marcigliana

Marcigliana è il nome della terza zona del comune di Roma nell’Agro Romano, indicata con Z.III.
Si trova nell’area nord del comune, a ridosso del confine con i comuni di Riano e Monterotondo.

Storia

Sono numerosi i reperti archeologici dei resti di una città con relativi complessi tombali. Sembra si tratti di Crustumerium, un’antica città del Lazio primitivo, che nella storia è ricordata, per il ratto delle Sabine, in lotta con Roma già al tempo di Romolo.

La città occupava la collina della Marcigliana Vecchia (sulla destra della Via Salaria, appena oltrepassato lo svincolo dell’Autostrada per Firenze) e quella contigua di Campogrande; era perciò in posizione dominante sul Tevere, e a scopo difensivo, sul lato che volge all’entroterra era limitata da un lungo avvallamento artificiale che doveva essere completato da un terrapieno.

Nel 380 a.C., quando l’abitato era stato già sostanzialmente abbandonato, nel territorio di Crustumerium le fonti antiche ricordano la terribile battaglia del fiume Allia (l’odierno fosso della Regina o fosso Maestro), dove i Romani combatterono contro i Galli guidati da Brenno e subirono una rovinosa sconfitta.

Anche in altri punti della collina sono riconoscibili i resti di una fortificazione di forma quadrata. Sulle alture vicine si ritrovano necropoli con tombe a grotticella e a camera, scavate nel periodo che va dall’VIII al V secolo a.C.. Sono inoltre visibili le tracce delle principali strade che univano la città di Crustumerium con le vicine Nomentum, Ficulea e Fidenae.

Successivamente, in epoca medioevale, si svilupparono gli insediamenti a fini agricoli e/o di pastorizia nel territorio, con la distribuzione in grandi ‘Tenute’ dell’Agro Romano comprendenti case padronali e alloggi per coloro che vi lavoravano, oltre che edifici per il ricovero del bestiame.

I nomi assunti dalle Tenute e dalle strade che le collegavano o le attraversavano erano per lo più legati ai possessori.

La Riserva Naturale Marcigliana 

E’un’area naturale protetta sita in provincia di Roma, tra i comuni di Roma, Fonte Nuova, Mentana e Monterotondo, tra via Salaria, via Nomentana, via della Marcigliana e via della Cesarina.
Esteso per oltre 4.000 ettari il paesaggio è rurale e composto da campi coltivati, spallette boscose e filari di alberi lungo le strade private.
In questo parco si trovano i fondi di Torre Madonna, Fonte di Papa, Massa, Ciampiglia Barberini, Ciampiglia Del Bufalo, Santa Colomba, Valle Ornara, Casal della Donna, Capitignano, Olevano, Cesarina, Capobianco, Sant’Agata e Coazzo; di quest’ultimo è visibile il casale presso l’incrocio di via della Cesarina con la Nomentana.
Lungo il tratto settentrionale di via di Tor San Giovanni è il casale di Tor San Giovanni, edificio medievale con torre.
In tutto il territorio considerato sono sparsi resti di età romana, in parte non visitabili perché gran parte del parco è di proprietà privata. Un vasto settore, corrispondente all’antica Tenuta Capitignano (detta poi Tor San Giovanni in quanto divenuta di proprietà dell’Ospedale di San Giovanni) è oggi di proprietà del Comune di Roma e vi ha sede la “Casa del Parco”. Un appezzamento di meno di 60 ettari, lungo Via della Marcigliana, è di proprietà demaniale e corrisponde al principale sepolcreto (Monte Del Bufalo, dalla famiglia Del Bufalo) dell’antica città di Crustumerium, il cui settore insediativo è ancora di proprietà privata (Duca Grazioli). L’abitato antico e il circondario (circa 500 ettari) sono assoggettati ad un provvedimento di stretta tutela archeologica.

Crustumerio

Fu un’antica città del Latium, oggi scomparsa.
Secondo gli storici antichi questa città si trovava a nord di Fidene, non molto distante dalla riva sinistra del Tevere, presso il fiume Allia. Mentre non esiste certezza sulla natura dei suoi abitanti che secondo i diversi autori erano originari dai Sabini o dai Latini o Falisci o addirittura dai Siculi.
La sua necropoli è stata individuata recentemente, negli anni settanta, nella zona a nord di Roma presso via della Marcigliana.
Publio Virgilio Marone ci descrive Crustumerio come una delle 5 città che fabbricarono le armi usate contro Enea. Livio ci da molte notizie sulla città che fu sottomessa da Romolo, e poi Tarquinio Prisco annesse definitivamente il suo territorio detto Agro Crustumino con la formazione della tribù clustumina.
Decadde dopo la distruzione di Veio nel IV secolo a.C.