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Villa Lazzaroni

La prima testimonianza di un insediamento agricolo nell’area dell’attuale villa è rintracciabile nella mappa CLX del Catasto Gregoriano (1817-18): nel sito dove oggi è presente l’edificio padronale esisteva un manufatto, presumibilmente rustico, caratterizzato da un corpo a “L”, con il lato corto superiore in corrispondenza del vicolo vicinale che dava accesso alla “chiusa” (terreno delimitato da recinzioni, muri ecc.) agricola.

L’insediamento appare maggiormente delineato nella Carta della Congregazione del Censo del 1834 (o 1839?) nella quale ricompare la stessa forma a “L” dell’edificio con il relativo vicolo a cui si raccordano alcuni tracciati poderali perpendicolari in direzione delle strade principali circostanti: questa configurazione esplicita un assetto viario che sarà ripreso per la successiva sistemazione a giardino.

Una prima denominazione dell’area compare nella carta von Moltke del 1845-52 dove la chiusa è indicata come “vigna Peromini”; la carta dell’Istituto Geografico Militare del 1900 documenta invece una trasformazione del manufatto con l’aggiunta di un ulteriore corpo di prolungamento a sud, tale da determinare una nuova pianta complessiva ad “S”.

La denominazione “Vigna Lazzaroni” compare per la prima volta nella pianta dell’Istituto Cartografico Italiano del 1906.

Dato che la pianta stessa ripropone l’antico corpo a “L”, sembra plausibile datare l’acquisizione dell’area e la trasformazione dell’edificio da parte della famiglia Lazzaroni agli ultimi decenni del sec. XIX; purtroppo di essa manca qualsiasi documentazione a causa dell’assenza di notizie nell’archivio Lazzaroni: l’unico riferimento cronologico post-quem, che attesta la proprietà della famiglia, è contenuto in una denuncia di ritrovamenti archeologici, effettuati dal “sig. Hueffer” per conto del “sig. Marchese” Lazzaroni, presentata il 27 maggio 1879 alla Direzione Generale delle Antichità e Belle Arti del Ministero della Pubblica Istruzione; in tale documento si parla ancora di “vigna” Lazzaroni avvalorando l’ipotesi che a quella data non erano ancora stati compiuti i lavori di trasformazione della chiusa agricola in villa padronale.

Le vicende della famiglia negli anni tra il 1880 e il 1893 possono giustificare l’investimento di capitali nella ristrutturazione della tenuta agricola ottocentesca, nel tentativo di imitare le ville patrizie dei secoli passati.

I baroni Edgardo e Michele Lazzaroni, finanzieri legati alle vicende della Banca Romana, dotati di spiccato interesse artistico ed antiquariale, rappresentano il punto di riferimento per comprendere i lavori realizzati nell’antica vigna, alla luce di un contesto sociale e culturale ben definito: famiglia di nuove fortune, titolata di baronia motu-proprio di Umberto I dell’aprile 1879, i Lazzaroni risultavano all’epoca proprietari del Palazzo Grimaldi a largo dei Lucchesi e di alcune tenute nell’Agro romano, come quelle di Tor di Quinto e Leprignana.

Un gusto eclettico e autocelebrativo caratterizza gli interventi decorativi commissionati nel palazzo e nella residenza-studio di Tor di Quinto.

La realizzazione di una villa “di delizia” era indispensabile per completare l’immagine dei neoaristocratici in cerca di legami, almeno simbolici, con la grande nobiltà romana dei secoli precedenti.

I lavori di ristrutturazione effettuati nella vigna sulla via Appia Nuova si limitano comunque all’ampiamento del casale rustico preesistente, del 1840-50.

L’intervento di riqualificazione dell’edificio è incentrato sulla decorazione del prospetto settentrionale, corrispondente al lato corto del rustico preesistente già utilizzato come punto di arrivo del vecchio vicolo vicinale, e sulla destinazione d’uso del corpo ortogonale proteso ad ovest:

la piccola facciata è disegnata in stile neoclassicheggiante con portico aggettante a tre aperture, sovrastato da un terrazzo cinto da balaustre all’altezza di tre finestre corrispondenti alle aperture sottostanti, decorate da mensole, architravate e coronate da timpani triangolari;

gli spigoli del prospetto sono risaltati da finte bugnature angolari;

il corpo occidentale fu realizzato per dotare l’edificio di un grande salone da adibire a balli e ricevimenti, ed è caratterizzato da grandi finestroni ad arco e da una scalea con accesso ad una balconata sovrastante una grotta decorata in stile rustico.

Alcuni caratteri architettonici, come il portico d’accesso aggettante con la terrazza balaustrata o le bugnature angolari di risalto, sono stilemi eclettici riscontrabili in edifici di ville coeve, come Villa Miani (1873-74) o Villa Ada Savoia (1873), elemento di conferma della datazione proposta per gli interventi di Villa Lazzaroni.

Il parco

Il parco, ampio circa 50.000 mq, è una creazione originale dei Lazzaroni, concepito come ricco giardino padronale, seguendo il gusto paesaggistico eclettico tipico della fine del secolo scorso.

Si possono ancora riconoscere quattro fontane rustiche, a scogliera di tufo, sistemate nei punti cruciali del sistema viario; due, circolari, coronano gli slarghi prospettici che raccordano i diversi percorsi, altre due abbelliscono, assieme ad alcune aiuole, le aree antistanti il prospetto nobile e il salone dei ricevimenti.

L’accurata selezione delle essenze botaniche andrebbe collegata alle attestate competenze in materia di giardinaggio del barone Michele, chiamato a presiedere importanti commissioni pubbliche come quella nominata nel 1890 per la scelta del Direttore dei giardini comunali.

L’arredo del parco è completato da un manufatto adiacente al portale d’ingresso destinato alla guardiania, sul quale s’appoggia lateralmente un piccolo ninfeo rustico con accesso ad un ambiente sotterraneo.

Se la datazione precisa di questi interventi potrà emergere solo dal rinvenimento di sicure documentazioni, sembra tuttavia plausibile supporre che essi siano stati avviati e portati a compimento, nelle loro linee principali, entro il 1893, anno in cui lo scandalo della Banca Romana travolse la famiglia e, in particolare, il barone Michele che ne era stato l’amministratore.

La proprietà Lazzaroni sembra interrompersi agli inizi del ‘900.

Le successive vicende della villa ne hanno alterato l’aspetto e le proporzioni.

Villa Lazzaroni venne utilizzata nel 1908 come ricovero per gli orfani del terremoto di Messina a cura dell’Orfanotrofio Pio-Benedettino.

Nella pianta dell’Istituto Geografico De Agostini del 1911, immediatamente adiacente all’area dei nuovi “Depositi Tramways dei Castelli”, è visibile la sistemazione del giardino per la parte nord.

Al momento della notifica del vincolo monumentale (D.M. del 2 agosto 1922) risulta di proprietà di un certo Giulio Barluzzi, o, quantomeno, in enfiteusi, poiché nel 1930, nella Deliberazione governatoriale n. 2223, un Michele Lazzaroni è menzionato ancora come intestatario di fornitura d’acqua dell’Aquedotto Felice che viene volturata alla Società Anonima per Edificazioni Stabili (S.P.E.S.).

Le carte dell’Istituto Geografico Militare del 1924 e Marino-Gigli del 1934 mostrano il giardino interamente realizzato, con precisa definizione dell’area padronale: la regolarità determinata dal muro di cinta ad angolo trala via Appiae il “Deposito Tranvai” e dall’incrocio principale dei viali ortogonali, realizzati sugli antichi tracciati poderali, la centralità prospettica delle fontane, conferiscono alla chiusa un gusto ancora settecentesco, arricchito dalle movenze sinuose dei percorsi minori che inseriscono, insieme alle scelte botaniche di impronta esotica, elementi discreti di quel paesaggismo eclettico in voga alla fine del secolo.

Dopo l’ultima guerra fu acquistata dalla Provincia Italiana dell’Istituto delle Suore Francescane Missionarie di Maria.

Nella carta dell’Istituto Geografico Militare del1949 l’edificio padronale presenta un corpo aggiunto allungato ad est che ne determina una pianta cruciforme.

Nel 1960-61 furono costruiti un orfanotrofio (poi diventato asilo) e la chiesa, che hanno trasformato la pianta a squadra originale in una croce sproporzionata, infliggendo un colpo mortale alla qualità estetica della parte più pregevole del giardino padronale.

Negli anni successivi i2 ettaridel parco verso nord sono ceduti al Comune mediante una permuta, e viene realizzato un muro divisorio tra le due proprietà che altera l’aspetto della chiusa agricola.

Per circa due anni il giardino restò aperto a una utenza potenziale di 60.000 persone nella situazione in cui si trovava al momento della cessione; l’accesso incontrollato provocò la scomparsa di prati e cespugli e il degrado dei viali.

La conseguente risistemazione, durata circa un anno, della fascia pubblica ne ha ulteriormente snaturato il carattere paesaggistico a causa di una serie di sistemazioni: una pista di pattinaggio a rotelle; un circolo con due campi di bocce; giochi per bambini (altalene, castello di tubi, fossa della sabbia, tubi di cemento orizzontali con oblò, serie di parallele a varie altezze) nella parte rimanente.

Negli anni ’70 l’ampliamento di via Raffaele de Cesare comporterà l’arretramento del muro di cinta a nord e l’abbattimento di un portale d’ingresso; le manomissioni dell’assetto storico si protraggono fino all’acquisizione totale dell’area da parte del Comune nel 1979, con la ristrutturazione dell’edificio padronale a sede degli uffici della IX Circoscrizione e l’abbattimento del muro divisorio.

Nonostante le modifiche la Villa conserva tuttora gran parte dell’aspetto originario dell’intervento dei Lazzaroni: risulta ancora leggibile la duplicità di utilizzo dell’edificio padronale, con ingresso nobile sui giardini a nord e porticato con “stazzo” antistante a sud, delimitato da edifici rustici (fienile, magazzini e stalle) oggi utilizzati come sede della Polizia Municipale.

Dopo l’esproprio l’edificio principale di villa Lazzaroni è stato trasformato nella sede della IX Circoscrizione (ora Municipio Roma IX); la chiesa è stata trasformata nel 1984-1985 inteatro, le ex scuderie hanno ospitato fino al 2000 il IX gruppo dei Vigili Urbani, e oggi accolgono gli uffici degli Assessori del Municipio Roma IX; un edificio ospita il Servizio Giardini, l’asilo ospita una scuola elementare e il XVII distretto scolastico, parte del parco è stato trasformato in parcheggio per 200 posti auto. Sono stati inoltre aggiunti un centro anziani e un bar.

Nel 1994 il giardino è stato ristrutturato; sono state inserite alcune fontane e una tettoia per le moto dei VV.UU., mentre due aree sono state recintate e rese inaccessibili.

Nel marzo 1995 sono stati realizzati sia uno spazio riservato per i cani sia uno spazio giochi dell’ultima generazione, quest’ultimo in un’iniziativa che ha coinvolto gli alunni della scuola media G. Deledda; appena due giorni dopo l’inaugurazione un elemento risultava divelto.

Nel maggio 2001 il IX Gruppo dei VV.UU. si è trasferito in via Macedonia, andando ad occupare un piano della succursale dell’Istituto Professionale Duca d’Aosta.

La villa (6,6 ettari) è oggi uno dei pochi spazi di verde attrezzato del Municipio Roma IX, e viene utilizzata da anziani, da comitive di ragazzi e soprattutto da un numero eccezionale di genitori con bambini piccoli. Sia gli spazi verdi che il parco giochi risultano sottodimensionati rispetto al bacino di utenza; è scomparso il manto verde dei prati e i giochi sono spesso danneggiati.

Villa Lais

Villa Lais è un parco nella città di Roma. Si trova nel quartiere Tuscolano, nel territorio del Municipio IX.

L’antica chiusa (appezzamento di terreno agricolo) insisteva in un’area limitrofa all’Acquedotto
Felice, interessata dal passaggio della Marrana: il Catasto Gregoriano del 1818 mostra il nucleo originario caratterizzato da un edificio composto da un’aggregazione di vari corpi di fabbrica, denominato “casa da vignarolo e tinello”; la proprietà risulta condivisa tra Rosa Costantini e Giuseppe Merolli.
Alla chiusa sono connesse la casa di abitazione della Costantini, con una cappella privata “sotto il titolo di S. Antonio” e due “Valcherie” (dal verbo gualcare = battere) opifici per la lavorazione della lana presso il corso dell’Acqua Mariana, una di proprietà Merolli e l’altra di Vincenzo Frattini. Nella carta di Roma della Congregazione del Censo del 1839 il nucleo principale appare composto da tre edifici la cui disposizione a semicerchio, orientata verso la via Tuscolana e ad essa collegata da un lungo viale alberato, ricorda la tipologia “a corte aperta” così frequente nelle fattorie dell’Agro romano; il plesso edilizio si relaziona al terreno agricolo circostante sia come centro delle attività domestiche e produttive sia, al tempo stesso, come insediamento abitativo e residenziale. Nella pianta von Moltke del 1845-52 la vigna risulta di proprietà “Polameroli”, mentre ritorna il nome “Costantini” nella pianta dell’Istituto Topografico Militare dei 1872-75: in essa è compresa la chiesa “sotto il titolo di S. Antonio” e una cava di pozzolana, grande risorsa economica di questa parte del Suburbio; la valcheria Frattini, a testimonianza di una riconversione produttiva dell’opificio, è ora denominata “Molino S. Pio V”, ancor oggi esistente come “Mulino Natalini”. “Vigna Costantini” è ancora nella pianta di Enrico Kiepert del 1881, ma nella tavoletta dell’IGM del 1906 il nucleo centrale dei tre edifici viene a far parte degli “Orti Lais” e la valcheria Sartori diviene il “Molino Lais”.
Dal 1872, anno in cuila Villa Santacroce risulta di proprietà Lais, si assiste dunque al progressivo insediamento di questa famiglia romana nella zona, che porterà alla trasformazione della rustica vigna in residenza borghese suburbana, senza per questo cancellarne la funzione.

Una ragione certa degli interventi di trasformazione ci è testimoniata da un’epigrafe paleocristianeggiante a memoria della dedicazione alla Vergine Madre di Dio, nel 1905. Essa si trova nella cappella di famiglia, voluta da Filippo Lais e costruita in aggiunta ad un’estremità dell’edificio principale, oramai trasformato nell’impianto planimetrico e nella distribuzione degli ambienti interni.
Il Lais (1853-1941), ingegnere idraulico e presidente del Consorzio dell’Acqua Mariana, fu erudito conoscitore di storia romana e lasciò una memoria sulla Marrana, più volte ricordata dal Tomassetti, ricca di riferimenti documentari e di notizie sulla storia e l’uso di essa dal Medioevo agli inizi del ‘900.
La sua indole di studioso può spiegare la scelta puntigliosa e precisa dei motivi ornamentali utilizzati nelle decorazioni pittoriche del casino padronale, e comunque vanno a lui addebitati gli interventi di riqualificazione della “vigna”, documentati dalle piante IGM del 1924 e Marino-Gigli del 1934, che hanno ridisegnato la chiusa nelle forme attuali: la creazione di un giardino “padronale” limitrofo al casino, la costruzione di nuovi edifici di servizio (vaccheria, garage-scuderia, serra, case d’abitazione per il giardiniere e per gli addetti alla gestione produttiva); l’organizzazione funzionale dell’antica vigna viene modificata sostanzialmente con il nucleo padronale nettamente distinto dalla campagna, chiuso in se stesso, quasi contrapposto agli spazi produttivi adiacenti, da cui pure dipende.

La data limite della sopravvivenza dell’area originaria della Villa è segnata dalla creazione del quartiere di abitazioni, realizzato alla metà degli anni ‘50, che, di fatto, riduce la sua estensione a quella attuale.

ARCHITETTURA
Attualmente il complesso conta otto edifici di varie dimensioni con differenti destinazioni di uso.
Sull’asse secondario, che originariamente collegava la chiusa al mulino (oggi Natalini) sulla Marrana, insistono tre casali di forme rustiche. La vaccheria, che espone una piccola targa con la data 1901, il casale, oggi occupato dall’A.M.A., ma forse in origine abitazione di servizio, risalgono agli inizi del ‘900; il terzo, anch’esso alloggio di servizio, è di epoca più recente non comparendo nella pianta Marino-Gigli del 1934.

Le caratteristiche architettoniche richiamano l’aspetto rustico dei casali agricoli come pure quelle di altri due piccoli manufatti limitrofi al casino principale, la casa del giardiniere e il garage scuderia.
La serra presenta invece una diversa qualificazione architettonica nei prospetti, caratterizzati da semipilastri aggettanti coronati da semplici capitelli e architrave di gusto classico.

L’edificio principale riveste invece un maggior interesse tipologico: esso denuncia la sua origine aggregativa a un’aggiunta semicircolare, sede della piccola cappella privata, e l’altro decorato come una torretta, con finti beccatelli e finestrini ad arco, evidente richiamo al motivo della torre caro al gusto eclettico del revival medievale e rinascimentale.

La cappella, quasi un’abside rovesciata, sfrutta invece temi ornamentali di provenienza paleocristiana e romanica: all’esterno è visibile l’uso della cortina di mattoni interrotta in alto da file di dentelli ottenuti con spigoli di mattoni trasversali e l’ingresso è dotato di una soprapporta con timpano triangolare e peducci scolpiti in forme romaniche che racchiude un dipinto a falso mosaico con una croce centrale tra colombe affrontate.

Completano il decoro dell’edificio le cornici bugnate delle porte e delle finestre e le mensole in ferro battuto di disegno floreale che sostengono le tettoie degli ingressi principali.

Villa Fiorelli

Villa Fiorelli, già denominata Vigna Costantini, è un piccolo e signorile parco di 9000 m2 nella zona centrale della città di Roma. Si trova nel quartiere Tuscolano, nel territorio del Municipio Roma IX. Ha tre accessi: da via Enna, da via Terni e da via Avezzano.

Storia
Villa Fiorelli è diventata parco pubblico nel 1931. L’area oggi destinata a parco faceva parte di una proprietà privata adibita a zona rurale, un tempo molto più ampia, appartenente ai conti Costantini già alla fine del XVIII secolo; il primo insediamento nell’area documentato fu un edificio rustico di proprietà del conte Vincenzo Costantini, citato nel Catasto Gregoriano del 1818. Quando, nel 1848, la contessa Teresa Costantini andò in sposa a Luigi Fiorelli, la proprietà passò alla famiglia di quest’ultimo e dalla quale la villa prese il nome; all’inizio del Novecento l’area venne a poco a poco espropriata e quindi edificata. Ciò che resta dell’area verde sono i terreni acquisiti dal Governatorato della Capitale nel 1930, che ne fece un parco intorno all’area di edilizia popolare. Una lapide, posta al centro del parco nel 1982, ricorda come a Vigna Fiorelli, nel 1849, avvenne un fatto importante: il Generale Giuseppe Garibaldi, ospitato dai Fiorelli perché fieri antipapali e repubblicani della prima ora, vi fece abbeverare il suo cavallo e si riorganizzò con i suoi fedelissimi partendo poi dalle proprietà dei Fiorelli alla volta di Venezia, perché in fuga da Roma dopo la caduta della Repubblica Romana.
Nel 2003 il parco è stato restaurato e risistemato, a cura del Comune di Roma, mediante un’importante opera di riqualificazione mirata a riproporre fedelmente l’antica immagine del giardino ottocentesco ed ha assunto un aspetto signorile e curato, sull’impostazione dei parchi urbani inglesi. La nuova Villa Fiorelli è stata inaugurata dall’allora sindaco di Roma, On. Walter Veltroni, il 2 dicembre 2004. Il parco è oggi circondato da villette e palazzine di inizio Novecento, una tempo adibite all’edilizia popolare, oggi restaurate e di connotazione borghese.

Mandrione

Il Mandrione è un’area urbana del comune di Roma, situata nel quartiere “Tuscolano”. È posto alla destra del tratto iniziale della via Casilina, nel territorio del IX Municipio.

Prende il nome dalla via che la attraversa, la quale a sua volta si rifà all’antica usanza di portare nei prati di allora mandrie a pascolare.

La zona fu inizialmente occupata dagli sfollati del bombardamento di San Lorenzo del ’43, che vi costruirono delle baracche sotto gli archi dell’acquedotto Felice quindi, dagli anni ’50, divenne famosa come zona di zingari e prostitute.

Il Mandrione è oggi una zona piacevole e in graduale recupero, dove si alternano palazzi residenziali, officine, botteghe di artigiani, treni (almeno 3 linee ferroviarie si snodano intorno alla via principale) e l’onnipresente acquedotto.

Il Mandrione è citato in diverse opere letterarie e cinematografiche, fra tutte quelle di Pier Paolo Pasolini che è stato anche spesso ritratto mentre passeggiava per via del Mandrione e dintorni.

Tor Fiscale

Tor Fiscale è il nome della zona urbanistica 9c del IX Municipio del comune di Roma. Si estende sul quartiere Q.VIII Tuscolano.

Il Parco
Il  limite a sud del IX Municipio è interessato da una vasta area verde pubblica, e da un piccolo quartiere che prendono il  nome dalla Torre del Fiscale (XII-XIII sec.);

Si tratta di una  antica torre ancora ben conservata, edificata sulla linea degli acquedotti romani Claudio ( 52 d.C.) e Felice (1585 d.C.) che corrono parallelamente lungo tutto il Parco, creando una forte suggestione visiva.

Protetto dalla Soprintendenza Archeologica di Roma e dal Parco Regionale dell’Appia Antica, il territorio di Tor Fiscale, ricco di  resti storici, testimonia in diversi tratti,  il tracciato dell’antica Via Latina, con presenza di Sepolcri e resti di  Ville Romane.

Nel 2001,  un forte impegno tra Comune di Roma e IX Municipio, permette l’annessione al Parco di  nuove aree,  si tratta di circa11 ettaridi verde che includono 2 casali (destinati a museo e a centro culturale con ristoro), estesi frutteti, aree verdi; viene inoltre realizzata una pista ciclabile  e pedonale che  in futuro si raccorderà con il  progetto complessivo del circuito  previsto dal Comune di Roma per il  collegamento  ciclabile tra i parchi e le aree cittadine.

Il Parco è raggiungibile da Via Appia Nuova, da via del Quadraro, o da vicolo dell’Acquedotto Felice seguendo la pista ciclabile.

Da questa entrata  si accede  alle zone più alte del Parco, da qui si possono vedere la linea dell’Appia Antica, la tomba di Cecilia Metella,  il Parco delle Tombe Latine, il Parco della Caffarella,  e, procedendo verso sud, dove la linea dell’Acquedotto Claudio si consolida, attraverso sentieri immersi nel verde, si possono raggiungere  la Villa dei Quintili e poi quella dei Sette Bassi.

Anche se non ancora ultimato, il Parco di Tor Fiscale offre ai visitatori  scenari unici.

Qui si possono osservare attraverso le arcate  degli  Acquedotti Romani,  i vecchi e silenziosi casali agricoli e gli orti; passeggiando  tra i frutteti,  ovunque si volga lo sguardo, si può ammirare il paesaggio dominato dalla maestosa Torre del Fiscale, all’incrocio tra gli acquedotti che un tempo (539 d.C.) furono utilizzati per il Campo Barbarico di Vitige  Re dei Goti; il sito è raggiungibile percorrendo la pista ciclabile e pedonale.

La morfologia del terreno è particolare, infatti seppur ormai invisibili, scorrono nel sottosuolo numerosi corsi d’acqua, facilmente identificabili seguendo la linea dei canneti; ci sono sbalzi di quota rilevanti con presenza di numerose gallerie visitabili (circa18 km),  oggi utilizzate per la coltura dei funghi.

La flora è quella tipica mediterranea, particolari sono i  cespugli di assenzio e quelli dei capperi, che riescono a crescere abbondanti sulle mura degli acquedotti;

Colorano l’intero paesaggio i canneti, le macchie gialle di ginestrino, il verde del pino marittimo, l’argento degli olivi, il bianco e rosa dei frutteti.

Nella parte bassa del Parco, ingresso di via di Torre Branca,  si trovano importanti resti dell’Acquedotto Claudio, c’è un’ area giochi con zone d’ombra e panchine; di lato si trova un frutteto aperto al pubblico,  che viene utilizzato per laboratori di educazione ambientale.

Uscendo dal Parco  in Via di Torre Branca,  si raggiunge Via di Torre del Fiscale che attraversa l’area dei Casali dell’antica Vaccheria edificata anch’essa su resti romani.

Il Casale Rampa e il suo piccolo borgo, rappresentano il cuore del quartiere, che oggi si  estende fino a Via Appia Nuova.

La straordinaria vicinanza ai siti  più importanti del Parco Regionale dell’Appia Antica, pone Tor Fiscale al centro di innumerevoli percorsi turistici;

Da diversi anni l’Amministrazione Comunale ne sta curando la promozione  attraverso  interventi di riqualificazione, manutenzione e tutela.

Durante l’anno, seguendo il ciclo delle stagioni, vi si svolgono  manifestazioni culturali, visite guidate,  laboratori ambientali, Sport e Centri Estivi per ragazzi.

La Torre
L’alta Tor Fiscale si trova a poco più di 1000 m. sulla sinistra del km 8 dell’Appia Nuova nel punto in cui l’acquedotto Marcio e l’acquedotto Claudio vengono ad incrociarsi, si erge la Torre del Fiscale, alta circa 30 metri.
Risale al XIII sec., ha una struttura quadrata , costruita con blocchetti di tufo e qualche fila di mattoni, piccole finestre rettangolari con cornici di marmo.
L’interno presenta tracce delle volte che coprivano i piani principali.
La torre era circondata da un antemurale, in blocchetti di tufo e mattoni, ora non più visibile; se ne potevano scorgere alcuni tratti, nel lato settentrionale, alla fine degli anni quaranta.
L’origine della torre è collegato alla creazione del Campo Barbarico quando nel 539 d.C. i Goti di Vitige strinsero d’assedio la Roma di Belisario accampandosi in quest’area trapezoidale chiudendo le arcate degli acquedotti.
Il primo ricordo della torre cade nell’anno 1277, quando Riccardo Annibaldi cedette a Giovanni del Giudice la Tenuta chiamata Arcus Tiburtinus, con torre e renclaustro.
Nel medioevo il luogo era chiamato “Arco di Travertino” e segnava anche il punto in cui l’acquedotto Claudio scavalcava la via Latina.
Tor Fiscale, nei secoli che seguirono, si chiamò in vari modi, prendendo per lo più il nome dai proprietari che via via vi si succedevano.
Nell’anno 1363 è chiamata “Turris Iohannis” a testimonianza del suo possesso da parte della Basilica di S. Giovanni in Laterano.
Con il nome Turris Brancie è ricordata in un documento del 1385 mentre nel 1397 si parla del Casale olim Brancie et nunc heredum Pauli Bastardelle. Nel 1422, sebbene appartenesse ancora alla famiglia Bastardella, la torre è indicata nel 1422 come Turris Brancie alias dictus Arcus Tiburtinus.
Il nome Tor Fiscale che compare nel secolo XVII, è dovuto ad un certo Monsignor Filippo Foppi “fiscale” (tesoriere) pontificio, che verso il 1650 aveva delle vigne nei pressi. 

Storia

Il primo nucleo abitativo, di agricoltori, si stanzia nella Vaccheria Tor Fiscale (Casale Rampa) nei primi del ‘900.  La Vaccheria venne costruita sulle rovine di manufatti risalenti a epoca romana che sorgevano sui lati della antica Via Latina (via Campo Barbarico).

Le cave per l’estrazione della pozzolana nei  primi decenni del ‘900, con un massiccio sfruttamento dovuto alla nuova edilizia,  modificheranno il territorio.

Negli anni ’30 nuovi “ortolani” arrivano  e ampliano i terreni  coltivabili, lungo la via Celere (via di Torre Branca) e fino agli acquedotti romani; sfruttando i numerosi corsi d’acqua, realizzano una fitta rete di canali di irrigazione.

Nella fascia vicina alla via Appia Nuova si sviluppa un polo “industriale”: una fabbrica di tendoni, un allevamento di castori, grandi falegnamerie, una importante tintoria, marmisti e tanti  altri artigiani.

Nascono strutture di ricezione, come la Trattoria “la Collinetta”, e verso il IV miglio della Via Appia Nuova, l’azienda agraria e trattoria “L’Uva di Roma”, conosciute dai frequentatori dell’Ippodromo delle Capannelle  e dai “fagottari” nelle gite fuori porta.

Nell’area della Vaccheria, oltre alle abitazioni dei contadini nei Casali, c’erano le stalle e i vasconi dove si lavavano ortaggi e  fiori, c’erano molti fienili, uno di questi, più tardi e fino al  1953, svolgerà la doppia funzione di scuola e chiesa.

Nel 1954 si  termina la costruzione di una vera Chiesa, S. Stefano Protomartire.                     

Oggi, chi viene a  Tor Fiscale, trova un quartiere che si è salvato dalla edificazione selvaggia, sebbene anche qui ci sia bisogno di riordinare ciò che è stato costruito in assenza di un Piano Particolareggiato urbanistico finalmente approvato nel 2001. 

Tuttavia, Tor Fiscale  ancora conserva un nucleo storico-archeologico-ambientale di notevole pregio che lascia stupiti i visitatori che osservano la straordinaria vicinanza alla città e al contempo una atmosfera distaccata, un ritmo tranquillo,  più vicino alla qualità della vita.

Più che un quartiere è un paesino all’interno della città; verde, suoni notturni lontani dal traffico e scorci di paesaggi antichi, condizionano positivamente l’immaginario.  

 

Arco di Travertino

Arco di Travertino è un’area urbana del IX Municipio del comune di Roma. Fa parte del quartiere Tuscolano.

Si trova nella zona urbanistica Tuscolano Sud, fra la via Tuscolana e la via Appia Nuova, a nord della zona Tor Fiscale e a ovest della zona del Quadraro.

Nei pressi del confine con queste due zone, sulla via Tuscolana, si trovala Porta Furba, un arco dell’acquedotto Felice.

Appio Latino

Appio Latino è il nome del nono quartiere di Roma, indicato con Q.IX.

Il Quartiere Appio Latino si trova nell’area sud-est della città, si sviluppa dalle Mura Aureliane all’Appia Antica, da Via di Cecilia Metella all’Appia Nuova; comprende parte del parco Archeologico dell’Appia Antica e tutta la Valle della Caffarella.

Storia

Nasce con il Piano Regolatore del 1909, redatto dall’ing. Edmondo Sanjust di Teulada, con confini ben precisi: le Mura, la Ferrovia e la zona archeologica dell’Appia Antica.
Appio Latino fu un quartiere di periferia, fuori porta, che vide una caotica urbanizzazione fra la I e la II guerra mondiale.

Il quartiere Appio Latino nasce come entità territoriale con delibera del governatore di Roma  Filippo Cremonesi n.3454 del 24 maggio 1926 insieme ad altri 14 quartieri. Venne contraddistinto dalla sigla Q.IX (che troviamo ancora oggi su molte lapidi con i nomi, agli angoli delle strade).

Nel 1931 viene votato nuovo Piano Regolatore che consente un massiccio aumento di volumi edilizi rispetto al Piano del 1909 ed infatti intorno alla metà degli anni Trenta la zona compresa tra Porta Metronia e la Ferrovia è quasi del tutto edificata.
Negli anni successivi la storia urbanistica del nostro quartiere è una continua cronaca di costruzioni che si allargano a dismisura soprattutto lungo l’asse viario della Via Tuscolana.

Con la suddivisione di Roma in Circoscrizioni e dal 2001 in Municipalità, Appio Latino è un toponimo che pur restando nell’uso comune, non esprime più alcuna entità amministrativa.

Appio Latino fu un quartiere di periferia, fuori porta, che vide una caotica urbanizzazione fra la I e la II guerra mondiale. Il quartiere Appio Latino oggi è un territorio suddiviso in due parti: a nord quella abitata dai cittadini del Municipio 9 e a sud quella quasi completamente disabitata, parte del Parco della Caffarella, nel Municipio 11.

Toponomastica 

Il nome Appio-Latino è dovuto al fatto che il territorio del quartiere si estende tra le vie Appia Antica e Nuova ed è attraversato dalla via Latina.

La toponomastica stradale è a tema storico. Si trovano città e regioni dell’impero romano e della Grecia e storici italiani.

Appio

Appio è il nome della zona urbanistica 9d del IX Municipio del comune di Roma. Si estende sul quartiere Q.IX Appio Latino.

Latino

Latino è il nome della zona urbanistica 9e del IX Municipio del comune di Roma. Si estende sul quartiere Q.IX Appio Latino.

Tuscolano

Tuscolano è il nome dell’ottavo quartiere di Roma, indicato con Q.VIII.

Si trova nell’area sud-est della città, a ridosso delle Mura Aureliane. Prende il nome dalla via Tuscolana.

Storia

Il Tuscolano è fra i primi 15 quartieri nati nel 1911, ufficialmente istituiti nel 1921.

Venne pesantemente bombardato durante gli anni quaranta ed è una zona storicamente popolare e antifascista

Toponomastica

Data la notevole estensione del quartiere, la toponomastica del Tuscolano comprende diverse tematiche, dai comuni di tutta Italia, ai personaggi di Roma antica e architetti italiani del 1400 e 1500.

Le strade più importanti sono la via Tuscolana, che divide in due sezioni il quartiere, e le consolari di confine sud via Appia Nuova e nord via Casilina.
Altre strade, con toponimi di zona, sono via del Mandrione, via di Tor Pignattara, via delle Cave, via di Porta Furba e via della Marrana.

Tuscolano Sud

Tuscolano Sud è il nome della zona urbanistica 9b del IX Municipio del comune di Roma. Si estende sul quartiere Q.VIII Tuscolano.

Tuscolano Nord

Tuscolano Nord è il nome della zona urbanistica 9a del IX Municipio del comune di Roma. Si estende sul quartiere Q.VIII Tuscolano.