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Malagrotta

Malagrotta è una frazione di Roma Capitale, situata lungo la via Aurelia nella zona Z.XLV Castel di Guido, nel territorio del Municipio Roma XVI, zona urbanistica Pantano di Grano.

È posizionata tra Fiumicino, Ponte Galeria e Piana del Sole, in prossimità della nuova Fiera di Roma: ospita quella che da più parti è definita la più grande discarica d’Europa.

Storia

Il toponimo della zona deriverebbe dal latino Mola Rupta (“mola rotta”), nome originato da una mola presente sul vicino rio Galeria che si ruppe, tramandando così ai posteri l’attuale toponimo. La prima menzione di Mola Rupta risale al 955, in merito alla cessione di una parte della tenuta da parte di una certa Costanza nobildonna romana; nel 1242 in una bolla di papa Innocenzo IV è menzionato un castrum Molaruptae, dove erano presenti due chiese, Santa Maria e Sant’Apollinare; nel 1299 papa Bonifacio VIII confermò il casale come possesso dei monaci benedettini di San Gregorio al Celio in Roma. Nel XIX secolo Malagrotta faceva parte della tenuta di Castel di Guido, di proprietà dei principi Borghese, ed ospitava un casale, un granaio, una chiesa ed un fontanile.

Una leggenda popolare vuole che il toponimo tragga invece origine da una grotta nella quale abitava un minaccioso drago, contro il quale il Papa indisse una crociata a cui parteciparono i principali baroni romani: questa storia fiabesca è stata narrata dal poeta romanesco Augusto Sindici nel componimento Malagrotta.

La discarica

La località è nota per la presenza della discarica di Roma e di parte della sua provincia, che secondo alcuni è la più grande d’Europa: 240 ettari, tra le 4500 e le 5000 tonnellate di rifiuti scaricati ogni giorno, 330 tonnellate di fanghi e scarti di discarica prodotti ogni anno: a Malagrotta, che è di proprietà dell’imprenditore Manlio Cerroni di Pisoniano, arrivano anche i rifiuti speciali degli aeroporti di Ciampino e Fiumicino.

Tra il 2003 ed il 2004 la produzione di rifiuti nella provincia di Roma e il conseguente conferimento in discarica è aumentato del 6%: questa percentuale grava quasi interamente su Malagrotta, poiché gli altri tre impianti di smaltimento dei rifiuti della provincia, ovvero Albano Laziale, Bracciano e Guidonia, di cui peraltro uno in chiusura (Albano), non hanno un peso fondamentale nello smaltimento. Nel 2004 così la discarica di Malagrotta avrebbe raggiunto la saturazione, tuttavia l’amministrazione regionale provvide ad ampliare il terreno della discarica.

La discarica di Malagrotta avrebbe dovuto chiudere il 31 dicembre 2007 inforza della normativa europea che vieta di conferire in discarica rifiuti allo stato grezzo: tuttavia il Governo ha autorizzato l’apertura della discarica fino al dicembre 2008, anche se il Commissario Straordinario per l’Emergenza Rifiuti del Lazio, Piero Marrazzo il 25 luglio del 2007, ha prorogato l’apertura della discarica solo fino al maggio 2008.

In luogo della discarica, il gruppo CO.LA.RI. (Consorzio Laziale Rifiuti) di proprietà dello stesso Manlio Cerroni, e proprietario del sito di trattamento e smaltimento di Malagrotta, sta costruendo due gassificatori di CDR (Combustibile derivato da rifiuti) a Malagrotta, la cui costruzione è stata decisa dalle ordinanze n° 14 e 16 del 2005 firmate dall’allora Commissario Straordinario per l’Emergenza Rifiuti del Lazio Verzaschi, tuttavia posto sotto sequestro. Questi impianti, avrebbero dovuto cooperare con gli inceneritori già in funzione nel Lazio a Colleferro e San Vittore e con quelli in progettazione ad Albano Laziale, sulla via Appia, tuttavia, proprio a Colleferro sono stati posti sotto sequestro. Successivamente dissequestrato, al pari degli impianti di Colleferro, è oggi in esercizio una linea di gassificazione ed in via di realizzazione altre due.

L’invaso di discarica è attualmente in esercizio in proroga, nonché oggetto di una procedura di bonifica per l’accertato inquinamento delle acque sotterranee accertato da ARPA LAZIO.

Ponte Bianco

Ai margini di Monteverde Vecchio si trova il Ponte Bianco, mediante il quale la circonvallazione Gianicolense scavalca la ferrovia Roma-Viterbo.

Il ponte presentava sui parapetti i fasci littori, completamente scalpellati nel dopoguerra, ma ancora facilmente riconoscibili.

Nella vasta spianata sotto il ponte bianco si apre il primo capitolo (Il Ferrobedò) di Ragazzi di vita, il celebre romanzo di Pier Paolo Pasolini, nel quale il ponte ritorna spesso come presenza funzionale e simbolica.

altri XV

Fontignani

Fontignani è una frazione di Roma Capitale, situata sulle zone Z.XLI Ponte Galeria e Z.XLV Castel di Guido, nel territorio dei municipi XV e XVI.

Sorge a cavallo di via della Pisana, a est della congiunzione di via di Malagrotta con via di Ponte Galeria.

Colli Portuensi

Tutta la zona era un terreno paludoso, bonificato sotto il periodo fascista

Monte delle Capre

L’area del Piano Particolareggiato zona “O” n.21 “Monte delle Capre” ricade nel territorio del XV Municipio, compresa fra la Via Portuense Via delle Vigne, Via della Magliana e Via del Trullo.

Dati
La borgata ha una superficie complessiva, pari a 53,87 ettari, per una densità territoriale pari a 166 ab/ha.

Pisana

Ponte Galeria-La Pisana è una frazione di Roma Capitale, situata in zona Z.XLI Ponte Galeria, nel territorio del Municipio Roma XV.

Sorge sul lato sud di via della Pisana, dopo il bivio con via di Monte Stallonara.

Toponomastica

Le sole cinque strade di Ponte Galeria-La Pisana sono dedicate ad alcuni comuni della Sardegna.

L’area del Piano Particolareggiato zona “O” n.64 “Via della Pisana” ricade nel territorio del XV Municipio ed è situata sul lato sinistro di Via della Pisana all’esterno del G.R.A.

Dati
La borgata ha una superficie complessiva, pari a 16,50 ettari, per una densità territoriale pari a 89,36 ab/ha.

La Serenella

E’ una dimora signorile visibile già dal catasto del 1818, sita in via dei Martuzzi al Corviale.

Per quanto noto, la proprietà è di ente ecclesiastico e funzionale; non è visitabile, non è visibile da strada. È stata studiata dalla Soprintendenza ai Beni architettonici e del paesaggio di Roma.

Castel Malnome

Ci fu una visita papale (Papa Leone, appassionato di caccia) durante una battuta di caccia vide in loco un bel palazzo fortificato denominato castel del cazzo.”bello” disse il papa ”come si chiama?”…il capo caccia rimasto un po perplesso rispose:” si chiama Castel Malnome”.

Oggi quest’area ospita una discarica, due inceneritori e una raffineria. Durante gli scavi per il gassificatore il proprietario ha trovato a 12 metri di profondita’ 340 tombe di persone che lavoravano in quelle terre vicino il porto.

Villa Bonelli

Villa Bonelli è un parco urbano di 4,5 ettari, dove risiedono la presidenza del Municipio XV Arvalia-Portuense, gli uffici Cultura, Sport e Scuola e lo Sportello per le imprese.

Storia

Un documento fiscale del 1693 nomina l’abate Cenci e monsignor Pallavicini, proprietari della vigna “in contrada Vicolo Inbrecciato”, per la quale pagano le tasse più alte del comprensorio.

Un secolo dopo e oltre, il Catasto gregoriano (anno 1818, mappa 159, particella 235) attesta una “casa con corte per l’uso del Vignarolo”, primo nucleo della moderna Villa Bonelli, su una superficie di 32 centesimi catastali.

La proprietà è ancora ecclesiastica – precisamente della chiesa di S. Maria in via Lata – ma su di essa il vignarolo Giuseppe Pagani vanta il diritto di “enfiteusi perpetua”, una sorta di affitto a basso canone, riscattabile, molto vicino al moderno contratto di “leasing”.

Non solo. Pagani ha in enfiteusi anche l’intera “vigna” (particella catastale 234) che misura 8 quadrati, 8 tavole e 27 centesimi, e il “fienile” (particella 233) che misura 6 centesimi.

Verso il 1839 l’operoso vignarolo aggiunge al casale un corpo perpendicolare (visibile nella mappa della Congregazione del Censo), ma verso metà Ottocento l’attività deve conoscere un rapido declino: nelle mappe la nuova ala è crollata, e un documento del 1878 annota che il fienile è ormai “diruto”.

L’enfiteusi sarà “riscattata” (pagando il valore capitalizzato del canone) verosimilmente intorno al 1870, anno in cui la piena proprietà passa a Giuseppe Balzani.

 I Balzani (e poi i Trinchieri) sono proprietari di Villa Bonelli per mezzo secolo, dal 1870 al 1926. Le loro vicende familiari sono state ricostruite dagli studi attenti di Carla Benocci.

Alla morte del capostipite Giuseppe Balzani, nel 1885, ereditano congiuntamentela vedova Virginia Ciocci-Balzanie i figli Saverio, Giuseppe e Silvia.

Virginia Ciocci-Balzani muore due anni dopo, nel 1887, e la proprietà si consolida nei tre figli. La comproprietà non deve essere stata facile, tanto che il 28 gennaio 1900 si arriva ad una spartizione:la tenuta Balzaniviene assegnata in via esclusiva alla figlia femmina, andata sposa ad Emilio Trinchieri.

Alla morte di Silvia Balzani-Trinchieri, nel 1902, la proprietà passa in eredità congiuntamente al marito Emilio e alla numerosa figliolanza: Virginia, Giuseppe, Emma, Giovanna, Giovan Battista e Marcello.

Intorno al 1906 sono attestati degli abbellimenti che portano la dimora ad assumere carattere signorile e “forma ad L”, e ad essere indicata nelle mappe come “Casa Balzani” o già “Villa Balzani”. La sua estensione, delimitata dalle attuali vie Montalcini, Fuggetta, Baffi, Ribotti e Valli, è di 113 mila mq.

Gli eredi Trinchieri vendono la proprietà a all’agronomo ing. Michelangelo Bonelli, già proprietario della paludosa Piana Due Torri il 29 ottobre 1925.

La sua opera avrà del prodigioso: unificate le proprietà, prosciuga le acque stagnanti con idrovore di sua invenzione, scava un ramo artificiale del Tevere (l’attuale via Pian due torri) e con vasche e chiuse porta l’acqua per l’irrigazione sù in collina. In pochi anni la valle si copre di carciofi e altri ortaggi, il pendio collinare di vigna pregiata e frutteto.

Al casino nobile si aggiungono un nuovo corpo di fabbrica ela serra-studio. Ilparco si addolcisce con scalinate, fontane e terrazze prospettiche, con querce, pini e cipressi.

Mussolini nel 1938 chiederà la tenuta per ampliare l’EUR: Bonelli gli dirà di no.
La tenuta di Bonelli, alla sua morte, fu ereditata dal conte Tournon, che ne aveva sposato una delle figlie.
Il conte iniziò a lottizzare e costruì le prime case, distruggendo gran parte degli alberi circostanti.
Tra gli anni ’60 e ’70 venne costruita la maggior parte dei ‘casermoni’ della Magliana.
Tutta la zona, situata sette metri sotto l’argine del Tevere, doveva essere reinterrata sino a raggiungere il livello dell’argine stesso.
Il Comune diede il permesso di costruire, alla sola condizione di sottoscrivere un atto d’obbligo che impegnava i costruttori a reinterrare i due primi piani dei palazzi in epoca successiva, accordo che non fu mai rispettato.
Furono così realizzati due piani in più rispetto a quelli previsti. Non si costruirono invece strade, fogne, scuole, campi sportivi e soprattutto niente verde.

Negli anni ’80 la villa passa al Comune; nel 2004 gli arch. Panunti e Santarelli hanno progettato il restauro, completato nel marzo 2005. Un’area bimbi e spazi culturali completano la villa.

Dal dopoguerra ad oggi la periferia di Roma ha cambiato fisionomia: via della Magliana Nuova è una sorta di diramazione di via della Magliana, creata per smaltire il grosso traffico della strada principale.
La costruzione della stazione ferroviaria di Villa Bonelli ha reso più agevoli i collegamenti col centro della città.
Tuttavia nonostante il traffico, la viabilità in tilt, il cemento armato dei palazzi costruiti uno addosso all’altro, c’è un ricco patrimonio artistico ed ambientale da rivalutare.

La città dei Ragazzi

La Repubblica dei Ragazzi di Civitavecchia

Nel gennaio del 1945 Monsignor Carroll-Abbing, fondando “L’Opera per il Ragazzo della Strada”, diede inizio alla sua attività assistenziale a favore dell’infanzia del dopoguerra.
Insieme a Don Antonio Rivolta, Monsignore fondò una comunità tra S. Marinella e Civitavecchia, quella che poi prese il nome di “Repubblica dei Ragazzi di Civitavecchia”.
Nacquero così i “Villaggi”: quello Marinaro, quello Agricolo e quello Industriale.
Cominciò a prendere corpo l’Autogoverno, frutto della vita quotidiana dei ragazzi e dei loro sforzi di regolare la comunità.
L’Assemblea diventò il fulcro organizzativo della vita cittadina.
La vita comunitaria venne perfezionata dall’introduzione di uno specifico sistema monetario: i “Meriti”, monete metalliche appositamente coniate e studiate, che ogni ragazzo riceveva come ricompensa per i compiti svolti.

La Città dei Ragazzi di Roma

Avviata la Repubblica dei Ragazzi a S. Marinella, Monsignore decise di fondare un’altra Comunità per giovani bisognosi, più vicina a Roma. Acquistò così una landa di terreno in Via della Pisana, due chilometri fuori del Grande Raccordo Anulare, ed il 6 ottobre 1953, alla presenza delle Autorità italiane ed estere, venne posta la prima pietra della futura “Città dei Ragazzi di Roma”, dove Monsignore passerà il resto della sua vita.
Anche il sistema dell’Autogoverno venne trasferito alla Città dei Ragazzi, con l’unica differenza che qui saranno gli “Scudi” e non più i “Meriti” a regolare la vita cittadina

Valle dei Casali

La Valle dei Casali, nella periferia sud occidentale di Roma, è una delle valli di affluenza al basso corso del Tevere, e’ percorsa dal fosso di Affogalasino e dal suo affluente della Nocetta.

Il nome del fosso che ha dato origine nelle epoche geologiche alla Valle dei Casali e’ sicuramente uno fra i toponimi piu singolari: Affogalasino.

L’etimologia del termine deriva probabilmente dall’usanza di affogare gli asini per trarne pelli per strumenti musicali.

Ma e’ probabile anche quanto riportato da B. Belli nello Stradario Romano : “.vige tradizione che, presso la Magliana,  fra i boschi e le praterie dei Fratelli Arvali (membri di un antico culto pagano romano) molti pagani convertiti al Cristianesimo, vi fossero affogati e per disprezzo ai cristiani, creduti adoratori di un Dio con la testa d’asino (l’asino ricorre spesso nel cristianesimo, simbolo di pazienza), la localita prese il nome di Affogalasino .”

Il fosso nasce a Villa Pamphili, taglia la Tenuta di Villa York, prosegue fino a passarela Via Portuense, ormai contenuto da una condotta artificiale sotto Via del Trullo, fino al Tevere.

La vegetazione che in alcuni tratti ricopre le rive costituisce la risorsa naturalistica principale della Riserva.

Nel Catasto Gregoriano, all’interno del perimetro della Valle dei Casali, sono disegnati centinaia di casali di pertinenza dei vignaioli, insieme ad alcune chiese, qualche fontanile e una decina di ville. A quel tempo il suburbio romano era diviso in piccoli appezzamenti, ceduti in enfiteusi, ognuno con il suo casale adibito alla conduzione della “vigna” (a Roma erano cosi chiamati gli orti). Il tipico casale romano era a pianta quadrata o rettangolare con un corpo piu elevato che ospitava gli alloggi ed un corpo allungato di servizio adibito a stalle o deposito.

Originariamente (1963) era un comprensorio di circa350 hacompreso trala via Aurelia, via di Bravetta, via del Casaletto ed il Tevere. In questa zona prevalentemente agricola, erano presenti numerosi edifici (ville, chiese rurali, casali) alcuni dei quali sono stati distrutti durante l’edificazione della zona di via dei Colli Portuensi. Nel Piano regolatore del 1962, infatti, la zona era destinata a edilizia intensiva.

La Riserva è caratterizzata da un altopiano che raggiunge gli 80 metri e degrada poi fino al livello del fiume con un andamento movimentato da collinette.

La vegetazione è il risultato dell’uso del suolo prevalentemente agricolo, della presenza di una fitta rete di fossi, del fiume Tevere e dell’adiacenza con aree urbanizzate della città.

La Valle si insinua infatti da sudovest nel tessuto urbano rappresentando un cuneo di verde che collega le ampie piane alluvionali costiere con il centro della città. Molte le aree adibite ad uso agricolo e a prato pascolo. Nelle zone sfuggite allo sfruttamento si è mantenuta,una condizione seminaturale con la presenza, tra le altre specie, di querce, aceri, ginestre e alaterno.

Tra gli animali più significativi, il cervone, il barbagianni, il riccio e la donnola.

Da un punto di vista storico l’interesse maggiore della zona risiede nella conservazione dell’articolato sistema di ville e casali.

Di grande interesse la Tenuta della settecentesca Villa York che realizza un felice connubio tra la villa nobiliare suburbana e l’azienda agricola quale raro esempio di “vigna romana”.

Le emergenze architettoniche più importanti della zona sono Villa York e il Complesso del Buon Pastore.

Nel 1975 la società Sheraton, nel tentativo di eguagliare il prospicente Hilton, chiese, ed ottenne, una licenza per costruire200.000 metri cubi in prossimità del Buon Pastore. Successivamente il progetto naufragò ma vennero comunque costruiti dei “residence” da usare come condomini.

Nel 1976, dopo una lunga serie di proteste, i cittadini dei quartieri limitrofi ottennero alcune modifiche al piano regolatore che vincolarono le zone di confine destinando a verde pubblico un nucleo di 250 ha.

L’istituzione nel 1997 della Riserva Naturale della Valle dei Casali, costituisce allo stesso tempo un provvedimento necessario per salvare un lembo di territorio oggetto di una aggressione insediativa particolarmente esasperata e insieme, per gli stessi motivi, un atto di coraggio e una scommessa.

Nella Valle dei casali esiste un patrimonio storico di edilizia (più o meno povera) non trascurabile mentre l’originale vocazione agricola è progressivamente confinata ad alcune piccole aree.
La scarsa accessibilità degli spazi della Valle rendono questo rilevante comprensorio marginale e poco interessante per le attività quotidiane (passeggiate,giochi…) dei residenti che sono pochi attenti ai progressivi scempi.
Lo scarso controllo esercitato dai cittadini, unitamente alle difficoltà di amministrazione e forze dell’ordine, permette inoltre una serie di attività illegali (discarica abusiva, incendi…) o marginali che aumentano il degrado di un patrimonio di cui invece si reclama il bisogno.

Infine, la mancata utilizzazione degli edifici antichi presenti nella valle li espone al pesante rischio di rapido degrado, riducendo in maniera irreversibile il valore culturale ed ambientale di questo patrimonio che ci è miracolosamente giunto sopravvivendo alla cementificazione degli anni ’60 e ’70.

I rilevamenti hanno interessato le zone intorno all’edificio del Buon Pastore su terreni di natura sia tufacea che argillosa. La costituzione geologica della zona rappresenta la prosecuzione meridionale del Colle del Gianicolo; essa è il risultato di colmate di tufi vulcanici e materiali alluvionali sopra una fossa di erosione preesistente. La morfologia ondulata del paesaggio è caratterizzata da versanti occupati da materiali prevalentemente argillosi, mentre i crinali sono caratterizzati da tufi di consistenza terrosa proveniente dalle antiche eruzioni vulcaniche dei Sabatini. Il fondo delle vallecole e dei fossi è caratterizzato da modesti spessori di materiali alluvionali

Villa York

Villa York, nota anche come Villa Baldinotti o Bichi Ruspoli, deve il suo nome al cardinale Enrico Benedetto duca di York, personaggio celebre della Roma di fine Settecento e degli inizi dell’Ottocento.
La proprietà più antica della villa attuale è da ricercarsi in ambito ecclesiastico, come per gran parte delle tenute della campagna romana, in relazione al ruolo di riorganizzazione del territorio alle porte della città svolto dalla Chiesa alle soglie dell’età moderna.
Furono le monache di S.Cosimato che trasformarono la tenuta, nota come Casal di Marcello, in una prospera azienda, dotata di un casale e di annessi manufatti di servizio.
Nel 1647 Zenobio Baldinotti acquistò Casal di Marcello, avviando la costruzione di una magnifica villa barocca, con un Casino realizzato da Pietro Paolo Drei. Il figlio Cesare ampliò successivamente la tenuta con l’acquisto del vicino Casale di Bravetta e la realizzazione di una splendida via d’acqua, che partendo dal piazzale antistante il Casino si conclude in un ninfeo, secondo un modello adottato anche in Villa Carpegna.
Nel 1697 la Villa fu acquisita e rinnovata dalla marchesa Girolama Bichi Ruspoli, che vi fece realizzare diverse pitture ad opera di Giovanni Ulisse Cariaci, edificare nuovi manufatti tra cui le uccelliere, e piantare numerosi alberi, specialmente in prossimità dell’ingresso.
Nel corso del XIX secolo Villa York raggiunse la sua massima estensione.
Di proprietà del principe Benedetto Giustiniani fino al 1804, quindi del duca di York, fino al 1808, ed infine dei Silvestri e dei Troiani, la villa sviluppò le sue caratteristiche agricole, mantenendo in parte anche le qualità di rappresentanza.
Villa York, collocata nella splendida Valle dei Casali, con vista su Villa Doria Pamphilj e cupola di S. Pietro, rappresenta un luogo ideale per la rievocazione del paesaggio romano, insieme bucolico e raffinato. A breve è previsto l’esproprio da parte del Comune di Roma del complesso attualmente di proprietà privata.

Tenuta dei Massimi

La Riserva Naturale della Tenuta dei Massimi si sviluppa a ovest delle ultime propaggini edificate di Roma nei quartieri Corviale, Borgata del Trullo e della Pisana. Il paesaggio dell’area protetta è scandito da dolci rilievi incisi dal reticolo idrografico del Fosso della Magliana.

È l’aspetto tipico della campagna romana, in cui vaste aree pianeggianti, occupate prevalentemente da coltivi e prati-pascoli, si alternano a colline e piccole valli laterali ricoperte, sui versanti più ripidi, da formazioni boschive. Il fondovalle del Fosso della Magliana, nella parte tra la via della Pisana e la foce, è insolitamente ampio rispetto alle altre valli dell’Agro. Nei secoli passati questo territorio offriva allo sguardo del visitatore boschi, pantani, fiumicelli, monumenti, casali, fontanili, torri d’avvistamento. Su questi terreni da sempre l’uomo ha praticato l’agricoltura e l’allevamento: nel Rinascimento il fiorire di ville urbane favorì l’insediamento delle “vigne”, l’orto romano dove si coltivavano frutta, verdure in quantità, cereali. Solo nei secoli successivi la malaria ha provocato lo spopolamento di parte della campagna, ma sulle zone più alte hanno continuano ad essere costruite ville suburbane quali luoghi di villeggiatura. La struttura del latifondo è rimasta inalterata fino ai nostri giorni così come è rimasto invariato l’uso agricolo.

Torretta Massimi

Nel corso del secolo VIII le coste laziali divennero obiettivo delle scorrerie dei saraceni e di altri predoni del mare i quali, in qualche occasione, riuscirono a saccheggiare Ostia, catturandovi anche dei prigionieri, e arrivarono a minacciare Roma. Per evitare il ripetersi di queste scorrerie, i proprietari dei terreni dell’Agro Romano dovettero costruire un sistema di vedette che consentisse di avvistare le imbarcazioni in avvicinamento e di trasmettere in breve tempo l’allarme mediante segnali luminosi e di fumo. In questo modo tutto l’Agro fu sorvegliato da Torrette, molte delle quali, sebbene in un grave stato di degrado, sono ancora visibili. Col passare del tempo, le torrette divennero simbolo di prestigio e potere, e le lotte tra i vari signorotti locali si svolgevano frequentemente intorno ad esse, avendo come obiettivo la loro conquista. La necessità di non risentire né degli attacchi da terra, né delle frecce incendiate che venivano scagliate nel corso degli assedi, spiega perché il primo e l’ultimo piano fossero in muratura, mentre, per mantenere la struttura leggera, tutti gli altri piani erano in legno. Talvolta, per rendere le torri praticamente inespugnabili, si poneva l’ingresso al primo piano, in modo che si potesse raggiungere solo con una scala a pioli, la quale poteva facilmente essere ritirata in caso di necessità.
Con l’avvento della polvere da sparo le torri persero quasi del tutto la loro importanza strategica, in quanto la loro struttura leggera male resisteva al nuovo tipo di attacco.

I Lancellotti una delle famiglie nobili romane legate al Papa era proprietaria tra l’altro del palazzo Lancellotti ai Coronari, la villa Lancellottia san Giovanni, di alcuni edifici a Tor Sapienza, di alcune azienda agricole nonchè del Discobolo (venduto ai tedeschi nel 1936 ed ora al museo di palazzo Massimo); la famiglia conserva tuttavia ancora alcune dimore come il castello di Lauro (Av) e la splendida tenuta di Torretta de Massimi
La proprietà apparteneva alla famiglia Massimo passata poi per eredità ai Lancellotti nell’800 assieme ad altri beni ed ad altre aziende agricole dell’agro romano, è stata adibita ad abitazione negli anni 50.
L’azienda agricola si estende su una superficie di154 ettari tra via della Pisana,via di Brava e via della Vignaccia è composta da terreni coltivati,prati ed un bellissimo bosco di sughero.

Il Buon Pastore

Il Buon Pastore è un maestoso complesso edilizio collocato all’interno della Riserva naturale della Valle dei Casali a Roma nel SuburbioVIII Gianicolense,nel territorio del Municipio Roma XVI, più esattamente in via di Bravetta 383 a pochi passi dalla seicentesca Villa York, Casal Ninfeo e dal Forte Bravetta. Progettato da Armando Brasini, l’edificio fu realizzato fra il 1929 e il 1943.

Il complesso, costato ben 25 milioni di lire dell’epoca, era nato per ospitare la casa provinciale della congregazione delle Suore di Nostra Signora della Carità del Buon Pastore di Augiere, in seguito ospedale e sanatorio militare e dal 1969 ad oggi ospita importanti istituti scolastici.

Per il progetto del Buon Pastore il Brasini prese a modello moltissimi stili architettonici precedenti nel tentativo di creare un nuovo stile unico di sicuro impatto e meraviglia. Infatti l’aspetto del fronte principale del Buon Pastore si ispira liberamente alla gigantesca nicchia del cortile del Belvedere in Vaticano (opera del Bramante), mentre la cupola della chiesa al centro del maestoso complesso replica lo stile barocco della cupola di Sant’Ivo alla Sapienza (opera del Borromini) è stata riaperta nel 2008 per una mostra sullo sterminio degli ebrei italiani dopo aver concluso lavori di ristrutturazione.

Alterazioni Strutturali

Negli anni70 l’edificio fu privato delle bellissime guglie in pietra serena, alte diversi metri, che donavano slancio ed eleganza alla parte superiore dell’edificio (al tempo si scelse di demolire ed alterare un’opera d’arte invece che procedere ad un restauro conservativo).

La bella croce di bronzo che adornava la parte superiore della cupola viene rimossa negli anni90 aseguito dei danni provocati da un fulmine.

A gran voce la cittadinanza ha richiesto nel corso degli anni il ripristino degli elementi architettonici mancanti, intervento ancora non effettuato.

Torretta Troili

Nei pressi di via dei Faggella, all’interno di una villa privata, sorge la Torretta Troili.
Il nome attuale deriva dai proprietari che, in età moderna, posero lo stemma sulla parte frontale della torre.
La torre era strategicamente disposta in posizione dominante rispetto al sottostante Fosso di Valcannuta, all’incrocio fra i due tronchi suburbani dell’Aurelia; per tutto il Medioevo la torre costituì un ottimo punto di osservazione. Nel Medioevo il luogo è ricordato con i toponimi Canneolus ( sec. VII) e Canutoli (sec. XI)- ovviamente in relazione alla presenza dei numerosi canneti della zona, che hanno originato anche i moderni toponimi di Val Cannuta – e fecero parte dei possedimenti della Chiesa romana sin dal tempo di Onorio I ( 625-638).
Nel secolo XIII il fundus appartenne alla Basilica di San Pietro: in seguito fu venduto alla famiglia Santacroce.
La torre, rimodernata e unita a un casaletto, è oggi trasformata in abitazione. Posta sul sito di una villa romana, della quale non è più visibile alcuna struttura, la torre ne reimpiegò i materiali di costruzione.
Di forma quadrata ( 5 metri per lato) e alta circa 8 metri, è abbastanza ben conservata: è costruita con mattoni di recupero, frammenti di marmo e scagli di selce ( soprattutto nella parte superiore affinché la si potesse scorgere anche da lontano).
Negli spigoli nord-est e sud-est la torre è rinforzata in basso da due contrafforti di forma rotonda in blocchi di selce. Le finestre rettangolari e l’entrata, che è nella parete Est, sono state rifatte in età moderna.

Parrocchietta

Il Cimitero della Parrocchietta è un luogo di sepoltura dell’Ottocento, sito in viale Isacco Newton, già tratto di via Portuense, al Trullo.

Per quanto noto, la proprietà è pubblica e funzionale; è visitabile, è visibile da strada. È stata studiata dalla Sovrintendenza comunale ai Beni Culturali (scheda inventariale presso l’Ente).

Storia

Nel 1762 il Capitolo di Santa Maria in Trastevere conosce una grave crisi finanziaria, dovuta all’abolizione delle congrue urbane e alle spese di una vorace corte di parroci, viceparroci e preti confessori. Il principe rettore, cardinal Pamphili, corre ai ripari, nominando amministratore uno straniero stimato e rigoroso, don Giuseppe Aluffi da Pavia. Il nuovo amministratore orienta il risanamento in due direzioni: riduce gli organici della corte (ad 1 curato, 2 vicari e 4 confessori), e, soprattutto, riordina produttivamente le vigne tra Portuense e Aurelia, unica ricchezza del Capitolo.

Fin dalle prime ricognizioni, don Aluffi è accolto dalla fiera ostilità dei vignajoli portuensi, i quali lamentano un insostenibile abbandono. Don Aluffi chiede loro di scrivere una petizione, e il suo stupore è grande quando legge che i vignajoli non chiedono denari, ma una chiesa: “Se chiedessimo beni temporali e licenze meritaressimo rimproveri e negative”; invece chiedono “cibo spirituale e aiuti per la salvezza delle anime”, cioè un curato che dica messa, somministri i sacramenti e faccia un po’ di scuola

Autorizzato dal principe Pamphili, don Aluffi provvede. Compera a Bravetta, nel 1770, una “vigna con casa e cappella”,3 migliafuori Roma. Ma Bravetta è lontana, e la soluzione non piace agli irrequieti vignajoli, “riconoscendo tal sito non adatto”.

Nel 1772 don Aluffi compera il terreno sullo sperone roccioso “in località Fogalasino”,3 migliae 1/3 fuori Roma. Stavolta l’acquisto è felice, e l’ostilità dei vignajoli si tramuta in favore. In breve don Aluffi vi edifica, attingendo a capitali personali, un “casaletto” di campagna, che destina a chiesa. La piccola chiesa, scrivono i vignajoli, “per privata, non ha l’uguale nella campagna, ben corredata di sacri arredi e di tutto il bisognevole”. Era appena natala “Parrocchietta”.

Nel 1777, in pieno scontro tra i “secessionisti” portuensi e i capitoli di S. Maria e S. Cecilia,la Sacra Rotasi pronuncia, in favore dei primi. Il tribunale ecclesiastico era stato chiamato in causa da un quarto contendente, il cardinal Rezzonico vescovo di Porto e S. Rufina, che vantava un’antica giurisdizione sulle vigne portuensi. Da tempo tollerava che S. Maria vi riscuotesse le congrue, facendosi in cambio carico dei mantenimenti civili, ma il vescovo aveva impugnato l’accordo.

La delegazione rotale, nominata dal cardinal Colonna, vicario di Pio VI per Roma, soggiorna lungamente sul posto, per verificare a chi spetti la cura delle anime vignajole. In meno di due anni i giudici pronunciano sentenza e danno ragione al Vescovo di Porto, suggerendo allo stesso tempo comporre la disputa “liquidando” in denaro il vescovo e costituendo il territorio portuense in parrocchia autonoma. “Troppo necessaria è ivi l’erezione di una nuova parrocchia”, scrivono.

Pio VI e il Sacro Collegio approvano la sentenza dagli evidenti riflessi politici, “come unico mezzo per sedare le controversie e come vero rimedio per accorrere alli bisogni spirituali della campagna”. Colonna scrive allora ai Vignajoli: “Il SS.mo Signor nostro Pio VI, è venuto a sapere che i fedeli abitanti nelle vigne, nei casolari e nelle campagne fuori Porta Portese, a causa delle difficoltà di accedere alle loro chiese parrocchiali di S. Maria e S. Cecilia, sono quasi del tutto privati del cibo spirituale…”.

Sembra fatta. E alla Parrocchietta si canta vittoria. Ma in quel momento sopraggiunge l’incidente: il paladino don Aluffi si ammala gravemente, e lascia la Parrocchietta a un vice-curato, di cui Santa Maria ottiene facilmente ragione, richiamandolo all’obbedienza. In breve, proprio quando il Papa è pronto a concedere l’autonomia, la chiesetta al Portuense si svuota. Occorrerà attendere ancora due anni

Corviale

Corviale è il nome della zona urbanistica 15f del XV Municipio di Roma Capitale. Si estende sul suburbio S.VIII Gianicolense.

Con il nome “Corviale” o più correttamente “Nuovo Corviale” (il “Serpentone” per i romani) si identifica un gigantesco edificio costruito lungo la via Portuense. Doveva essere il primo quartiere satellite o città satellite in grado di offrire ai suoi abitanti tutti i servizi necessari. La logica dell’intervento, rivelatasi ben presto visionaria, si ispira alle soluzioni residenziali del primo razionalismo e presenta chiari riferimenti, sviliti da un’attuazione non corretta nel momento della realizzazione dell’opera, alle teorie sulle “Unités d’Habitation” di Le Corbusier, di cui un esempio solo in parte attuato si trova a Marsiglia

L’edificio

Di proprietà dell’Istituto Autonomo Case Popolari, è stato progettato nel 1972 da un team di architetti: Federico Gorio, Piero Maria Lugli, Giulio Sterbini, e Michele Valori, coordinati da Mario Fiorentino. Rappresenta probabilmente il più lampante errore di programmazione architettonica nella storia dell’urbanistica italiana. Non è mai stato completato totalmente. Le prime abitazioni furono consegnate nell’ottobre 1982, ma già qualche mese dopo avvennero le prime occupazioni abusive delle abitazioni da parte di settecento famiglie. Costituito da due stecche, una verticale ed una più piccola e bassa orizzontale, conta un totale di 1200 appartamenti.

Anni di occupazione e totale abbandono hanno ridotto l’edificio in condizioni di degrado e fatiscenza anche se recentemente è diventato oggetto di un tentativo di riqualificazione che interessa anche il territorio circostante. La parte centrale o “spina servizi” che si trova tra le due stecche è stata completata ed accoglie alcuni uffici del municipio XV, e un centro per il disagio mentale della ASL Roma D. All’interno del palazzo sono presenti l’incubatore d’impresa del comune di Roma, un ambulatorio ASL, un centro anziani, un supermercato. Poco distante dal terminale della seconda stecca, sul luogo dove sorgeva un’area verde, è stato recentemente costruito un centro commerciale[2].

Caratteristiche

È formato da due palazzi lunghi un chilometro per nove piani di altezza (stecche), uno in fronte all’altro, con all’interno ballatoi lunghissimi, cortili e spazi comuni, e da un altro edificio lineare più piccolo che orizzontalmente si unisce al primo edificio tramite un ponte.

All’interno dei cortili vi sono per tutta la lunghezza un’altra fila di abitazioni (“case basse”) di due o tre piani che si affacciano sui cortili e sulla campagna retrostante. È interamente costituito di setti in cemento armato. Ospita ben 1200 appartamenti di diverse dimensioni, più una innumerevole serie di abitazioni sorte abusivamente negli spazi comuni e in quella che doveva essere una galleria dei negozi al 4º piano.

Nel progetto iniziale il palazzo era diviso in sei lotti: ognuno doveva essere dotato di sala condominiale per le attività comuni. Inoltre erano previsti una sala per le riunioni, un anfiteatro all’aperto, scuole, laboratori artigianali e un piano, il quarto, dedicato agli esercizi commerciali. Alcune sale condominiali andranno all’università di architettura.

Corviale nella cultura popolare

Nel 1983 il gigantesco edificio fu fatto conoscere a tutta Italia dal film Sfrattato cerca casa equo canone, con protagonista Pippo Franco, un’opera molto modesta della commedia all’italiana, dove vengono derisi i principi urbanistici e ideologici che avevano portato alla sua costruzione. Al Corviale è stata anche dedicata la canzone Serpentone dal misconosciuto gruppo romano di rock demenziale Santarita Sakkascia e la canzone “Eclissi Di Periferia” di Max Gazzè.

Secondo una leggenda metropolitana, l’architetto responsabile del progetto si sarebbe suicidato una volta vista l’opera compiuta; il fatto, privo di alcuna verità, testimonia tuttavia il mancato apprezzamento dei romani per il risultato ottenuto, per quanto basato su soluzioni in se stesse non dannose, ma inficiate dalle fasi di realizzazione. La verità però vede Fiorentino morire di arresto cardio-circolatorio a seguito di una riunione di condanna da parte dei colleghi romani e da parte dell’amministrazione che aveva commissionato il progetto. Non è escluso che la terribile riunione abbia potuto causare l’infarto, ma certo non morì suicida.

Nuovo Corviale è un complesso edilizio romano, un intervento integrato costruito negli anni settanta dall’Istituto Autonomo Case Popolari, che si colloca a sud-ovest della città, nel territorio della XV circoscrizione, a destra della via Portuense e in direzione di Fiumicino (a circa2 Kmdal raccordo anulare).

Il comprensorio si sviluppa per la lunghezza di circa un chilometro è alto nove piani, più due cantine e seminterrato, 1202 appartamenti, in cinque corpi, un edificio più basso in parallelo ed una terza costruzione posta trasversalmente, proiettato verso il quartiere esistente di Casetta Mattei, come ‘una mano allungata per un’integrazione tra vecchio e nuovo tessuto urbano’. Una strada pedonale lo attraversa, fiancheggiata da qualche negozio.

Al di là dell’anello stradale principale c’è un centro scolastico con una materna, un’elementare ed una media. Il complesso comprende un anfiteatro all’aperto (terzo lotto), una sala per le riunioni (quarto lotto) e cinque sale condominiali; il quarto piano, per tutta la sua lunghezza, è destinato a botteghe artigiane e servizi, doveva essere, infatti, quel piano riservato a impianti collettivi e invece è rimasto per anni inutilizzato, a parte qualche sporadica iniziativa immediatamente rientrata.

Il progetto

L’originale edificazione, oggetto di innumerevoli, spesso inopportune, attenzioni da parte della stampa romana, si richiama, come radice culturale, alle teorie dell’architetto francese degli anni venti, Le Corbusier.

Lo IACP della Provincia di Roma ha affidato il disegno all’équipe di 23 progettisti diretta dall’architetto Mario Fiorentino.

La parte più rivoluzionaria di Corviale sono i servizi e gli impianti collettivi, progettati per un’estensione tre volte più ampia degli standard minimi fissati per legge: teatri all’aperto, uffici, sala per riunioni, sale condominiali, biblioteca, scuola d’arte, palestra coperta, asili nido, scuole materne, elementari e medie, consultorio pediatrico, farmacia, mercato coperto, ristorante con sala banchetti e self-service, un gruppo di esercizi commerciali, cinque grandi spazi verdi, alcune decine di locali destinati a botteghe artigiane, studi professionali, ambulatori.

Il tutto sovradimensionato perché doveva servire anche il quartiere circostante ed altri 20 palazzi che avrebbero dovuto sorgere nel piano zona per un totale di altri 1500 abitanti.

La storia

La prima pietra viene posta il 12 maggio del 1975, mentre le prime case vengono consegnate nell’ottobre del 1982.

Fin dall’epoca della sua edificazione il complesso di Nuovo Corviale, viene preso di mira da più cittadini con impellente necessità di un’abitazione.

L’iniziale occupazione risale al 1983, quando 700 famiglie prendono d’assalto il palazzo ed entrano con la forza negli appartamenti e si conclude con l’attendamento nel piazzale sottostante di 150 nuclei per circa un anno e mezzo.

La seconda è quella conclusasi oramai dal Natale del ’95: i circa 200 peruviani che si erano insediati nei manufatti abbandonati della spina centrale sono stati fatti evacuare con uno ‘sgombero morbido’ organizzato dall’assessore alle Politiche Sociali con l’Istituto di Studi Latino Americani.

La terza occupazione è quella relativa al quarto piano, occupato da ‘autocostruttori’ che, per insediarsi, hanno approfittato del disservizio delle istituzioni. Si tratta di una sessantina di famiglie, perlopiù giovani coppie, spesso figli dei regolari assegnatari, che hanno occupato un negozio, uno slargo, una sala condominiale del piano lasciato libero.

Numerosi altri, infine, sono i tentativi di occupazione che quasi mensilmente vengono segnalati alle istituzioni, di un locale restituito allo Iacp di ambienti per uso sociale.

Il Municipio Roma XV ha stabilito a Corviale sede del Consiglio Municipale e degli uffici tecnici.

Trullo-Montecucco

Trullo è il nome della zona urbanistica 15d del XV Municipio di Roma Capitale. Si estende sul suburbio S.VII Portuense.

Storia

La presenza di un sepolcro romano del I secolo alto 5 metri posto lungo l’argine del Tevere la cui forma ricorda quella dei trulli pugliesi, da l’attuale nome alla borgata.

Il sepolcro, inizialmente chiamato Turlone, Torraccio ed, infine, “Trullus de Maximis”, risulta essere stato proprietà di un certo Massimo “Donne Rogata” nel XIII secolo.

La Borgata fu costruita a partire dal 1939, col nome di “Costanzo Ciano”, quale “residenza temporanea” dei cittadini del Rione Monti, sfollati per la demolizione e costruzione di Via dei Fori Imperiali, per poi, dopo la guerra, assumere il nome di “Duca d’Aosta”.

Il nome

Il nome attuale fu assegnato nel 1946.

Attorno agli anni Sessanta, in alcuni ambienti del Quartiere si sviluppò un dibattito sul Trullo, dal quale scaturì la proposta di chiedere il cambiamento del nome della Borgata. Una rappresentanza di abitanti del Trullo recatasi alla Toponomastica del Comune di Roma, propose due nuove denominazioni: ‘Valle Portuense’, oppure ‘Borgata San Raffaele’, dal nome dell’angelo patrono della Parrocchia.

L’esito fu negativo. Effettivamente non c’erano validi motivi per questo cambiamento. Sembrerà curioso, ma alla richiesta delle ragioni che spingevano molti a chiedere questa modifica, la risposta più frequente era: ‘Trullo fa rima con citrullo’.

Esaminiamo allora questo nome.
Bisogna innanzitutto consultare il dizionario della lingua italiana per vedere cosa dice di questo sostantivo, per la verità abbastanza singolare. Cominciamo dunque con lo Zingarelli, il quale dà, del nome ‘trullo’, questo significato: ‘sorta di abitazione di forma rotonda a tetto conico, nella penisola Salentina’. Bene. E’ un bell’esempio di architettura; chi non conosce o non ha visto almeno una volta una cartolina illustrata di Alberobello, con le sue piccole e graziose costruzioni di pietra che si distinguono appunto per la caratteristica del tetto a forma conica? Perfino la chiesa di questa bella cittadina ha il tetto formato da numerosi coni che danno l’impressione di tanti gelati capovolti. Oltretutto i trulli di Alberobello sono monumento nazionale e formano il vanto degli abitanti di questa città pugliese. Nella stessa Borgata vivono alcune stimate e laboriose famiglie di Alberobello, le quali sentono molto vivo l’attaccamento a quel lembo di terra del meridione d’Italia.

Ma procediamo nella consultazione dello Zingarelli. Come aggettivo ‘trullo’ ha significato di grullo, che lo stesso Zingarelli traduce a sua volta con: stordito, stupido, melenso, minchione, ingenuo e credulone. Andiamo a vedere qualche altro testo, per esempio il Novissimo Melzi, il dizionario enciclopedico linguistico italiano. Come per il citato Zingarelli, il Melzi dà all’aggettivo ‘trullo’ un significato quasi analogo: citrullo, in senso di sciocco e stolido. La stessa cosa fa il dizionario Garzanti, il quale, dopo aver precisato che l’origine etimologica del termine trullo deriva dal greco ‘troulloe’ (trullòs), conferma i significati sopra annotati di sciocco, stupido, ecc. Anche un altro diffusissimo dizionario, il Palazzi, ci ripete le stesse cose poco simpatiche appena esposte. Si consiglia poi di non dare mai del ‘trullo’ ai toscani, poiché nel loro dialetto è un termine ancora più offensivo.

L’origine di questo vocabolo risale probabilmente al periodo Megalitico come le ‘Nuraghe’ della Sardegna, ma aveva anche diversi altri significati. Veniva usato in passato per indicare il tuorlo dell’uovo, ed era chiamata trullo, un’antica macchina guerresca, una specie di catapulta usata in battaglia per lanciare sassi e saette. In vecchi trattati di architettura, infine, venivano indicati con il termine tru}lo alcuni elementi architettonici tra cui gli archi, i fornici ed alcune costruzioni a pianta circolare. Nel Medio Evo, a Roma, erano noti con il nome di trullo, molti edifici e monumenti. Nel ‘Liber Pontificalis” per risalire ad una delle più antiche citazioni che si conoscano dell’epoca di Papa Sergio (687-701), viene usato questo vocabolo allorché si parla di una copertura di piombo effettuata sul trullo della Basilica dei Santi Cosma e Damiano al Foro Romano. Per trullo si intendeva, evidentemente, la cupola della chiesa.

Molti altri edifici curvilinei o rotondi furono pure indicati con questo nome. Val la pena di citare almeno i più importanti, o quantomeno quelli di maggior grandezza, che vanno individuati principalmente tra i circhi, i teatri e le torri. Nei secoli XI e XII, nel Circo Massimo esisteva una costruzione detta ‘trullo’ di cui però non abbiamo nessuna descrizione. Un ‘Trullus Joanpes de Stacio’ era localizzato vicino la chiesa di Santa Caterina dei Funari. Il celebre teatro di Pompeo, monumentale edificio ad emiciclo che si trovava nei pressi dell’attuale Campo de’ Fiori, nel Medio Evo era anch’esso comunemente chiamato Trullo. Ancora con il nome di trullo, era indicata un’altra torre visibile da piazza del Popolo e che sorgeva lungo la via Flaminia; questa torre, a pianta circolare, dava il nome alla campagna circostante, che fu nota come ‘Vigna del Trullo’.
Un’altra costruzione ad emiciclo, che sorgeva nelle adiacenze della Torre delle Milizie, fu detta ‘Trullo degli Arcioni’. L’attuale piazza di Pietra, era chiamata piazza del Trullo. Qui si trovavano due edifici che portavano il nome di Trullo; il primo era di forma poligonale e riceveva luce dall’alto attraverso un’apertura praticata nella volta a calotta, ed il secondo era una chiesina dedicata a ‘Sancto Stephano de Trullo’, la quale fu officiata per parecchi secoli. Attualmente purtroppo tutte queste costruzioni sono scomparse.

Per terminare ricordiamo che tale nome in antico non era usato soltanto a Roma, ma era conosciuto e utilizzato anche in paesi molto lontani.

Nei documenti della Chiesa, si legge che nell’anno 680, nel Sacro Palazzo Imperiale di Costantinopoli si tenne un Concilio Ecumenico che fu detto ‘Trullano’, dal luogo di riunione che era una grande sala a cupola; un successivo Concilio, sempre tenuto a Costantinopoli nel secolo seguente, fu pure detto ‘Concilio in Trullo’ per la stessa ragione. Come si vede, questo nome ha avuto anche un significato sacro e un passato illustre.

Montecucco

La collina ad Occidente dei Monti del Trullo e’ quella cosiddetta dei Diamanti o di Montecucco.

E’ una terrazza panoramica sull’ansa del Tevere che va dall’Eur a Ponte Galeria.

Molto importante dunque dal punto di vista ambientale e paesaggistico, la collina e’ inoltre l’area principale di verde a servizio dei quartieri limitrofi.

La Torre Righetti ne domina la cima.

Procedendo sull’autostrada Roma – Fiumicino in direzione Roma o seduti sul trenino da Ostia o su quello dall’aeroporto, si nota una singolare costruzione cilindrica sulla sommita della collina poco prima della Magliana. E’ un insolito edificio formato dall’intersezione di due cilindri. Un corpo rotondo piu ampio a terrazzo, racchiude un agile fabbricato cilindrico in laterizio, di diametro minore.

Sulla porta d’ingresso, di quello che doveva essere un belvedere o una casina di caccia, una scritta datata 1825 ricorda il committente dell’opera, tale “Cavalier Righetti”.

Pian Due Torri

Pian due Torri è il nome della zona urbanistica 15c del XV Municipio di Roma Capitale. Si estende sul quartiere Q.XI Portuense.

Storia

A Pian due Torri, la zona in cui sorge il fortilizio, erano nell’antichità due monumenti sepolcrali accanto alle sponde del Tevere – sui quali, secondo il Nibby, sorsero due torri gemelle appartenenti al cardinale Orsini — che fornirono il nome ai terreni circostanti coltivati a vigne.

La zona era infestata da zanzare e poco salutare a causa delle frequenti alluvioni del Tevere.

Il ricordo delle due costruzioni gemelle è affidato a questa Torre superstite che si erge accanto alla pista ciclabile dalla quale si può osservare il suggestivo spettacolo offerto dalle rive del Tevere e dall’ambiente palustre, caratterizzato ancor oggi dalla massiccia presenza di fitti canneti.

La Torre-Casale di Teodora o del Giudizio, a cui si accede lungo la piccolissima via Teodora, sorge sopra i resti di una tomba monumentale del I secolo d. C. di cui conserva un’ampia camera sepolcrale.

Difficile risulta l’esatta motivazione del nome di Teodora dato al viottolo, dal momento che ben tre Teodore sono ricollegabili con la vicina chiesa di Santa Passera (corruzione del XIV sec. del nome del Santo Ciro o Abbacero, qui venerato insieme a Giovanni). Due monaci orientali, che avevano traslato da Alessandria le reliquie dei due santi, sarebbero stati ospitati, al tempo di Innocenzo I (401-417), da una Teodora nella sua casa di Trastevere, dopo breve tempo trasformata in chiesa. Le reliquie sarebbero state trasferite definitivamente da Teodora in un piccolo edificio sacro fatto costruire vicino alla via Portuense.

Una seconda versione riferisce che le reliquie dei due santi, per essere sottratte ai musulmani che avevano conquistato Alessandria d’Egitto, vennero portate nel VII secolo a Roma, dove i due martiri sarebbero apparsi in sogno a Teodora, senatrice romana, che le avrebbe poste nella chiesa al Portuense, arricchita con la donazione di molti terreni adiacenti.

In un documento del 9 dicembre 1060 compare il nome di una terza Teodora che restituisce alla badessa del monastero dei Santi Ciriaco e Nicolò una vigna fuori Porta Portese, “vocabulum sancti Abbacyri “.

In epoca medievale venne realizzata una sopraelevazione sul sepolcro e di conseguenza la trasformazione del monumento in Torre d’avvistamento e difesa sul Tevere a un piano, non molto alta, presenta massicci contrafforti che ricordano l’originaria funzione di fortilizio. E dotata anche di una scala esterna.

Fin dall’epoca di Leone IV (847-855) era stata realizzata una lunga linea di punti di avvistamento, che da Porta Portese proseguiva fino alla foce del Tevere, costituita da quindici torri. Un sistema di fortificazioni adottato dopo l’incursione dei Saraceni nelle basiliche di San Pietro e di San Paolo fuori le mura. Inoltre, il Pontefice fece erigere una torre in pietra, collegata alla gemella (scomparsa) dall’altra parte del fiume da una catena di ferro tesa che, all’occorrenza, poteva sbarrare il percorso sul Tevere a qualunque imbarcazione, soprattutto a quelle saracene.

La Torre di Teodora, adibita a questo scopo, successivamente, in tempi più sicuri, sostituì la catena con una fune per rimuovere e guidare le merci dalle chiatte sulla terraferma. Un carattere commerciale che portò ad una rapida trasformazione della vasta area che si estendeva lungo la riva destra del Tevere. Questo tratto fluviale dal quale, provenendo dal mare, si poteva facilmente entrare a Roma continuò ad essere tenuto sotto controllo ancora per molto tempo, come conferma l’atto d’acquisto da parte di un certo Lentulo Lentuli, del 12 dicembre 1545, di un prato confinante con “il casale dei Doi Torri”.

Intorno agli anni ’20 la zona di Pian Due Torri, l’area venne acquistata da Bonelli, un ingegnere piemontese, il quale fece installare presso il Tevere una pompa per estrarre l’acqua dal fiume portandola, attraverso un canale scavato lungo via Pian Due Torri, all’interno di vasconi.
L’acqua veniva utilizzata durante il giorno dai mezzadri di Bonelli (ai quali l’ingegnere aveva affidato la coltivazione del terreno, ricavandone in compenso la metà del raccolto), mentre di notte serviva ad irrigare i prati. Si coltivavano carciofi ed ortaggi, sorsero frutteti e vigneti.
La tenuta di Bonelli, alla sua morte, fu ereditata dal conte Tournon, che ne aveva sposato una delle figlie.
Il conte iniziò a lottizzare e costruì le prime case, distruggendo gran parte degli alberi circostanti.

Il 9 dicembre 2007 è stato inaugurato il nuovo parco urbano “Pian due Torri”, su un’area verde bonificata successivamente allo sgombero di un insediamento abusivo avvenuto il 12 ottobre dello stesso anno.

Torre del Giudizio.

La Torre del Giudizio è una torre medievale, situata in via Teodora, tra via della Magliana e il fiume Tevere.

Essa poggia su un preesistente manufatto romano – un sepolcro circolare, probabilmente del I sec. d.C. – nelle vicinanze dell’insediamento portuale fluviale di Vicus Alexandri.

L’elevazione della torre, su pianta quadrata, risale verosimilmente al Milleduecento. Oltre alla tradizionale funzione di vedetta, la torre ha avuto a lungo anche quella di dogana.

La torre – insieme ad una seconda torre, situata sulla riva opposta – regolava la circolazione mercantile lungo il fiume. Una pesante catena, tesa tra le due vedette, apriva o ostruiva il passaggio come un moderno passaggio a livello, imponendo il dazio a quanti dal mare volessero raggiungere Roma o viceversa. Da ciò deriverebbe il toponimo di Doi torre (Due torri), sebbene le interpretazioni non siano unanimi.

La torre si trova su terreno demaniale e, per quanto noto, è occupata abusivamente da un privato. È stata oggetto di studi delle Belle arti (1997) e dalla Soprintendenza archeologica (2004) ed è in attesa del vincolo di interesse storico-artistico come “caratteristica dell’organizzazione difensiva dell’Agro Romano verso il mare”.