Archivi categoria: Monumenti

Villa Lazzaroni

La prima testimonianza di un insediamento agricolo nell’area dell’attuale villa è rintracciabile nella mappa CLX del Catasto Gregoriano (1817-18): nel sito dove oggi è presente l’edificio padronale esisteva un manufatto, presumibilmente rustico, caratterizzato da un corpo a “L”, con il lato corto superiore in corrispondenza del vicolo vicinale che dava accesso alla “chiusa” (terreno delimitato da recinzioni, muri ecc.) agricola.

L’insediamento appare maggiormente delineato nella Carta della Congregazione del Censo del 1834 (o 1839?) nella quale ricompare la stessa forma a “L” dell’edificio con il relativo vicolo a cui si raccordano alcuni tracciati poderali perpendicolari in direzione delle strade principali circostanti: questa configurazione esplicita un assetto viario che sarà ripreso per la successiva sistemazione a giardino.

Una prima denominazione dell’area compare nella carta von Moltke del 1845-52 dove la chiusa è indicata come “vigna Peromini”; la carta dell’Istituto Geografico Militare del 1900 documenta invece una trasformazione del manufatto con l’aggiunta di un ulteriore corpo di prolungamento a sud, tale da determinare una nuova pianta complessiva ad “S”.

La denominazione “Vigna Lazzaroni” compare per la prima volta nella pianta dell’Istituto Cartografico Italiano del 1906.

Dato che la pianta stessa ripropone l’antico corpo a “L”, sembra plausibile datare l’acquisizione dell’area e la trasformazione dell’edificio da parte della famiglia Lazzaroni agli ultimi decenni del sec. XIX; purtroppo di essa manca qualsiasi documentazione a causa dell’assenza di notizie nell’archivio Lazzaroni: l’unico riferimento cronologico post-quem, che attesta la proprietà della famiglia, è contenuto in una denuncia di ritrovamenti archeologici, effettuati dal “sig. Hueffer” per conto del “sig. Marchese” Lazzaroni, presentata il 27 maggio 1879 alla Direzione Generale delle Antichità e Belle Arti del Ministero della Pubblica Istruzione; in tale documento si parla ancora di “vigna” Lazzaroni avvalorando l’ipotesi che a quella data non erano ancora stati compiuti i lavori di trasformazione della chiusa agricola in villa padronale.

Le vicende della famiglia negli anni tra il 1880 e il 1893 possono giustificare l’investimento di capitali nella ristrutturazione della tenuta agricola ottocentesca, nel tentativo di imitare le ville patrizie dei secoli passati.

I baroni Edgardo e Michele Lazzaroni, finanzieri legati alle vicende della Banca Romana, dotati di spiccato interesse artistico ed antiquariale, rappresentano il punto di riferimento per comprendere i lavori realizzati nell’antica vigna, alla luce di un contesto sociale e culturale ben definito: famiglia di nuove fortune, titolata di baronia motu-proprio di Umberto I dell’aprile 1879, i Lazzaroni risultavano all’epoca proprietari del Palazzo Grimaldi a largo dei Lucchesi e di alcune tenute nell’Agro romano, come quelle di Tor di Quinto e Leprignana.

Un gusto eclettico e autocelebrativo caratterizza gli interventi decorativi commissionati nel palazzo e nella residenza-studio di Tor di Quinto.

La realizzazione di una villa “di delizia” era indispensabile per completare l’immagine dei neoaristocratici in cerca di legami, almeno simbolici, con la grande nobiltà romana dei secoli precedenti.

I lavori di ristrutturazione effettuati nella vigna sulla via Appia Nuova si limitano comunque all’ampiamento del casale rustico preesistente, del 1840-50.

L’intervento di riqualificazione dell’edificio è incentrato sulla decorazione del prospetto settentrionale, corrispondente al lato corto del rustico preesistente già utilizzato come punto di arrivo del vecchio vicolo vicinale, e sulla destinazione d’uso del corpo ortogonale proteso ad ovest:

la piccola facciata è disegnata in stile neoclassicheggiante con portico aggettante a tre aperture, sovrastato da un terrazzo cinto da balaustre all’altezza di tre finestre corrispondenti alle aperture sottostanti, decorate da mensole, architravate e coronate da timpani triangolari;

gli spigoli del prospetto sono risaltati da finte bugnature angolari;

il corpo occidentale fu realizzato per dotare l’edificio di un grande salone da adibire a balli e ricevimenti, ed è caratterizzato da grandi finestroni ad arco e da una scalea con accesso ad una balconata sovrastante una grotta decorata in stile rustico.

Alcuni caratteri architettonici, come il portico d’accesso aggettante con la terrazza balaustrata o le bugnature angolari di risalto, sono stilemi eclettici riscontrabili in edifici di ville coeve, come Villa Miani (1873-74) o Villa Ada Savoia (1873), elemento di conferma della datazione proposta per gli interventi di Villa Lazzaroni.

Il parco

Il parco, ampio circa 50.000 mq, è una creazione originale dei Lazzaroni, concepito come ricco giardino padronale, seguendo il gusto paesaggistico eclettico tipico della fine del secolo scorso.

Si possono ancora riconoscere quattro fontane rustiche, a scogliera di tufo, sistemate nei punti cruciali del sistema viario; due, circolari, coronano gli slarghi prospettici che raccordano i diversi percorsi, altre due abbelliscono, assieme ad alcune aiuole, le aree antistanti il prospetto nobile e il salone dei ricevimenti.

L’accurata selezione delle essenze botaniche andrebbe collegata alle attestate competenze in materia di giardinaggio del barone Michele, chiamato a presiedere importanti commissioni pubbliche come quella nominata nel 1890 per la scelta del Direttore dei giardini comunali.

L’arredo del parco è completato da un manufatto adiacente al portale d’ingresso destinato alla guardiania, sul quale s’appoggia lateralmente un piccolo ninfeo rustico con accesso ad un ambiente sotterraneo.

Se la datazione precisa di questi interventi potrà emergere solo dal rinvenimento di sicure documentazioni, sembra tuttavia plausibile supporre che essi siano stati avviati e portati a compimento, nelle loro linee principali, entro il 1893, anno in cui lo scandalo della Banca Romana travolse la famiglia e, in particolare, il barone Michele che ne era stato l’amministratore.

La proprietà Lazzaroni sembra interrompersi agli inizi del ‘900.

Le successive vicende della villa ne hanno alterato l’aspetto e le proporzioni.

Villa Lazzaroni venne utilizzata nel 1908 come ricovero per gli orfani del terremoto di Messina a cura dell’Orfanotrofio Pio-Benedettino.

Nella pianta dell’Istituto Geografico De Agostini del 1911, immediatamente adiacente all’area dei nuovi “Depositi Tramways dei Castelli”, è visibile la sistemazione del giardino per la parte nord.

Al momento della notifica del vincolo monumentale (D.M. del 2 agosto 1922) risulta di proprietà di un certo Giulio Barluzzi, o, quantomeno, in enfiteusi, poiché nel 1930, nella Deliberazione governatoriale n. 2223, un Michele Lazzaroni è menzionato ancora come intestatario di fornitura d’acqua dell’Aquedotto Felice che viene volturata alla Società Anonima per Edificazioni Stabili (S.P.E.S.).

Le carte dell’Istituto Geografico Militare del 1924 e Marino-Gigli del 1934 mostrano il giardino interamente realizzato, con precisa definizione dell’area padronale: la regolarità determinata dal muro di cinta ad angolo trala via Appiae il “Deposito Tranvai” e dall’incrocio principale dei viali ortogonali, realizzati sugli antichi tracciati poderali, la centralità prospettica delle fontane, conferiscono alla chiusa un gusto ancora settecentesco, arricchito dalle movenze sinuose dei percorsi minori che inseriscono, insieme alle scelte botaniche di impronta esotica, elementi discreti di quel paesaggismo eclettico in voga alla fine del secolo.

Dopo l’ultima guerra fu acquistata dalla Provincia Italiana dell’Istituto delle Suore Francescane Missionarie di Maria.

Nella carta dell’Istituto Geografico Militare del1949 l’edificio padronale presenta un corpo aggiunto allungato ad est che ne determina una pianta cruciforme.

Nel 1960-61 furono costruiti un orfanotrofio (poi diventato asilo) e la chiesa, che hanno trasformato la pianta a squadra originale in una croce sproporzionata, infliggendo un colpo mortale alla qualità estetica della parte più pregevole del giardino padronale.

Negli anni successivi i2 ettaridel parco verso nord sono ceduti al Comune mediante una permuta, e viene realizzato un muro divisorio tra le due proprietà che altera l’aspetto della chiusa agricola.

Per circa due anni il giardino restò aperto a una utenza potenziale di 60.000 persone nella situazione in cui si trovava al momento della cessione; l’accesso incontrollato provocò la scomparsa di prati e cespugli e il degrado dei viali.

La conseguente risistemazione, durata circa un anno, della fascia pubblica ne ha ulteriormente snaturato il carattere paesaggistico a causa di una serie di sistemazioni: una pista di pattinaggio a rotelle; un circolo con due campi di bocce; giochi per bambini (altalene, castello di tubi, fossa della sabbia, tubi di cemento orizzontali con oblò, serie di parallele a varie altezze) nella parte rimanente.

Negli anni ’70 l’ampliamento di via Raffaele de Cesare comporterà l’arretramento del muro di cinta a nord e l’abbattimento di un portale d’ingresso; le manomissioni dell’assetto storico si protraggono fino all’acquisizione totale dell’area da parte del Comune nel 1979, con la ristrutturazione dell’edificio padronale a sede degli uffici della IX Circoscrizione e l’abbattimento del muro divisorio.

Nonostante le modifiche la Villa conserva tuttora gran parte dell’aspetto originario dell’intervento dei Lazzaroni: risulta ancora leggibile la duplicità di utilizzo dell’edificio padronale, con ingresso nobile sui giardini a nord e porticato con “stazzo” antistante a sud, delimitato da edifici rustici (fienile, magazzini e stalle) oggi utilizzati come sede della Polizia Municipale.

Dopo l’esproprio l’edificio principale di villa Lazzaroni è stato trasformato nella sede della IX Circoscrizione (ora Municipio Roma IX); la chiesa è stata trasformata nel 1984-1985 inteatro, le ex scuderie hanno ospitato fino al 2000 il IX gruppo dei Vigili Urbani, e oggi accolgono gli uffici degli Assessori del Municipio Roma IX; un edificio ospita il Servizio Giardini, l’asilo ospita una scuola elementare e il XVII distretto scolastico, parte del parco è stato trasformato in parcheggio per 200 posti auto. Sono stati inoltre aggiunti un centro anziani e un bar.

Nel 1994 il giardino è stato ristrutturato; sono state inserite alcune fontane e una tettoia per le moto dei VV.UU., mentre due aree sono state recintate e rese inaccessibili.

Nel marzo 1995 sono stati realizzati sia uno spazio riservato per i cani sia uno spazio giochi dell’ultima generazione, quest’ultimo in un’iniziativa che ha coinvolto gli alunni della scuola media G. Deledda; appena due giorni dopo l’inaugurazione un elemento risultava divelto.

Nel maggio 2001 il IX Gruppo dei VV.UU. si è trasferito in via Macedonia, andando ad occupare un piano della succursale dell’Istituto Professionale Duca d’Aosta.

La villa (6,6 ettari) è oggi uno dei pochi spazi di verde attrezzato del Municipio Roma IX, e viene utilizzata da anziani, da comitive di ragazzi e soprattutto da un numero eccezionale di genitori con bambini piccoli. Sia gli spazi verdi che il parco giochi risultano sottodimensionati rispetto al bacino di utenza; è scomparso il manto verde dei prati e i giochi sono spesso danneggiati.

Villa Lais

Villa Lais è un parco nella città di Roma. Si trova nel quartiere Tuscolano, nel territorio del Municipio IX.

L’antica chiusa (appezzamento di terreno agricolo) insisteva in un’area limitrofa all’Acquedotto
Felice, interessata dal passaggio della Marrana: il Catasto Gregoriano del 1818 mostra il nucleo originario caratterizzato da un edificio composto da un’aggregazione di vari corpi di fabbrica, denominato “casa da vignarolo e tinello”; la proprietà risulta condivisa tra Rosa Costantini e Giuseppe Merolli.
Alla chiusa sono connesse la casa di abitazione della Costantini, con una cappella privata “sotto il titolo di S. Antonio” e due “Valcherie” (dal verbo gualcare = battere) opifici per la lavorazione della lana presso il corso dell’Acqua Mariana, una di proprietà Merolli e l’altra di Vincenzo Frattini. Nella carta di Roma della Congregazione del Censo del 1839 il nucleo principale appare composto da tre edifici la cui disposizione a semicerchio, orientata verso la via Tuscolana e ad essa collegata da un lungo viale alberato, ricorda la tipologia “a corte aperta” così frequente nelle fattorie dell’Agro romano; il plesso edilizio si relaziona al terreno agricolo circostante sia come centro delle attività domestiche e produttive sia, al tempo stesso, come insediamento abitativo e residenziale. Nella pianta von Moltke del 1845-52 la vigna risulta di proprietà “Polameroli”, mentre ritorna il nome “Costantini” nella pianta dell’Istituto Topografico Militare dei 1872-75: in essa è compresa la chiesa “sotto il titolo di S. Antonio” e una cava di pozzolana, grande risorsa economica di questa parte del Suburbio; la valcheria Frattini, a testimonianza di una riconversione produttiva dell’opificio, è ora denominata “Molino S. Pio V”, ancor oggi esistente come “Mulino Natalini”. “Vigna Costantini” è ancora nella pianta di Enrico Kiepert del 1881, ma nella tavoletta dell’IGM del 1906 il nucleo centrale dei tre edifici viene a far parte degli “Orti Lais” e la valcheria Sartori diviene il “Molino Lais”.
Dal 1872, anno in cuila Villa Santacroce risulta di proprietà Lais, si assiste dunque al progressivo insediamento di questa famiglia romana nella zona, che porterà alla trasformazione della rustica vigna in residenza borghese suburbana, senza per questo cancellarne la funzione.

Una ragione certa degli interventi di trasformazione ci è testimoniata da un’epigrafe paleocristianeggiante a memoria della dedicazione alla Vergine Madre di Dio, nel 1905. Essa si trova nella cappella di famiglia, voluta da Filippo Lais e costruita in aggiunta ad un’estremità dell’edificio principale, oramai trasformato nell’impianto planimetrico e nella distribuzione degli ambienti interni.
Il Lais (1853-1941), ingegnere idraulico e presidente del Consorzio dell’Acqua Mariana, fu erudito conoscitore di storia romana e lasciò una memoria sulla Marrana, più volte ricordata dal Tomassetti, ricca di riferimenti documentari e di notizie sulla storia e l’uso di essa dal Medioevo agli inizi del ‘900.
La sua indole di studioso può spiegare la scelta puntigliosa e precisa dei motivi ornamentali utilizzati nelle decorazioni pittoriche del casino padronale, e comunque vanno a lui addebitati gli interventi di riqualificazione della “vigna”, documentati dalle piante IGM del 1924 e Marino-Gigli del 1934, che hanno ridisegnato la chiusa nelle forme attuali: la creazione di un giardino “padronale” limitrofo al casino, la costruzione di nuovi edifici di servizio (vaccheria, garage-scuderia, serra, case d’abitazione per il giardiniere e per gli addetti alla gestione produttiva); l’organizzazione funzionale dell’antica vigna viene modificata sostanzialmente con il nucleo padronale nettamente distinto dalla campagna, chiuso in se stesso, quasi contrapposto agli spazi produttivi adiacenti, da cui pure dipende.

La data limite della sopravvivenza dell’area originaria della Villa è segnata dalla creazione del quartiere di abitazioni, realizzato alla metà degli anni ‘50, che, di fatto, riduce la sua estensione a quella attuale.

ARCHITETTURA
Attualmente il complesso conta otto edifici di varie dimensioni con differenti destinazioni di uso.
Sull’asse secondario, che originariamente collegava la chiusa al mulino (oggi Natalini) sulla Marrana, insistono tre casali di forme rustiche. La vaccheria, che espone una piccola targa con la data 1901, il casale, oggi occupato dall’A.M.A., ma forse in origine abitazione di servizio, risalgono agli inizi del ‘900; il terzo, anch’esso alloggio di servizio, è di epoca più recente non comparendo nella pianta Marino-Gigli del 1934.

Le caratteristiche architettoniche richiamano l’aspetto rustico dei casali agricoli come pure quelle di altri due piccoli manufatti limitrofi al casino principale, la casa del giardiniere e il garage scuderia.
La serra presenta invece una diversa qualificazione architettonica nei prospetti, caratterizzati da semipilastri aggettanti coronati da semplici capitelli e architrave di gusto classico.

L’edificio principale riveste invece un maggior interesse tipologico: esso denuncia la sua origine aggregativa a un’aggiunta semicircolare, sede della piccola cappella privata, e l’altro decorato come una torretta, con finti beccatelli e finestrini ad arco, evidente richiamo al motivo della torre caro al gusto eclettico del revival medievale e rinascimentale.

La cappella, quasi un’abside rovesciata, sfrutta invece temi ornamentali di provenienza paleocristiana e romanica: all’esterno è visibile l’uso della cortina di mattoni interrotta in alto da file di dentelli ottenuti con spigoli di mattoni trasversali e l’ingresso è dotato di una soprapporta con timpano triangolare e peducci scolpiti in forme romaniche che racchiude un dipinto a falso mosaico con una croce centrale tra colombe affrontate.

Completano il decoro dell’edificio le cornici bugnate delle porte e delle finestre e le mensole in ferro battuto di disegno floreale che sostengono le tettoie degli ingressi principali.

Villa Fiorelli

Villa Fiorelli, già denominata Vigna Costantini, è un piccolo e signorile parco di 9000 m2 nella zona centrale della città di Roma. Si trova nel quartiere Tuscolano, nel territorio del Municipio Roma IX. Ha tre accessi: da via Enna, da via Terni e da via Avezzano.

Storia
Villa Fiorelli è diventata parco pubblico nel 1931. L’area oggi destinata a parco faceva parte di una proprietà privata adibita a zona rurale, un tempo molto più ampia, appartenente ai conti Costantini già alla fine del XVIII secolo; il primo insediamento nell’area documentato fu un edificio rustico di proprietà del conte Vincenzo Costantini, citato nel Catasto Gregoriano del 1818. Quando, nel 1848, la contessa Teresa Costantini andò in sposa a Luigi Fiorelli, la proprietà passò alla famiglia di quest’ultimo e dalla quale la villa prese il nome; all’inizio del Novecento l’area venne a poco a poco espropriata e quindi edificata. Ciò che resta dell’area verde sono i terreni acquisiti dal Governatorato della Capitale nel 1930, che ne fece un parco intorno all’area di edilizia popolare. Una lapide, posta al centro del parco nel 1982, ricorda come a Vigna Fiorelli, nel 1849, avvenne un fatto importante: il Generale Giuseppe Garibaldi, ospitato dai Fiorelli perché fieri antipapali e repubblicani della prima ora, vi fece abbeverare il suo cavallo e si riorganizzò con i suoi fedelissimi partendo poi dalle proprietà dei Fiorelli alla volta di Venezia, perché in fuga da Roma dopo la caduta della Repubblica Romana.
Nel 2003 il parco è stato restaurato e risistemato, a cura del Comune di Roma, mediante un’importante opera di riqualificazione mirata a riproporre fedelmente l’antica immagine del giardino ottocentesco ed ha assunto un aspetto signorile e curato, sull’impostazione dei parchi urbani inglesi. La nuova Villa Fiorelli è stata inaugurata dall’allora sindaco di Roma, On. Walter Veltroni, il 2 dicembre 2004. Il parco è oggi circondato da villette e palazzine di inizio Novecento, una tempo adibite all’edilizia popolare, oggi restaurate e di connotazione borghese.

Tor Fiscale

Tor Fiscale è il nome della zona urbanistica 9c del IX Municipio del comune di Roma. Si estende sul quartiere Q.VIII Tuscolano.

Il Parco
Il  limite a sud del IX Municipio è interessato da una vasta area verde pubblica, e da un piccolo quartiere che prendono il  nome dalla Torre del Fiscale (XII-XIII sec.);

Si tratta di una  antica torre ancora ben conservata, edificata sulla linea degli acquedotti romani Claudio ( 52 d.C.) e Felice (1585 d.C.) che corrono parallelamente lungo tutto il Parco, creando una forte suggestione visiva.

Protetto dalla Soprintendenza Archeologica di Roma e dal Parco Regionale dell’Appia Antica, il territorio di Tor Fiscale, ricco di  resti storici, testimonia in diversi tratti,  il tracciato dell’antica Via Latina, con presenza di Sepolcri e resti di  Ville Romane.

Nel 2001,  un forte impegno tra Comune di Roma e IX Municipio, permette l’annessione al Parco di  nuove aree,  si tratta di circa11 ettaridi verde che includono 2 casali (destinati a museo e a centro culturale con ristoro), estesi frutteti, aree verdi; viene inoltre realizzata una pista ciclabile  e pedonale che  in futuro si raccorderà con il  progetto complessivo del circuito  previsto dal Comune di Roma per il  collegamento  ciclabile tra i parchi e le aree cittadine.

Il Parco è raggiungibile da Via Appia Nuova, da via del Quadraro, o da vicolo dell’Acquedotto Felice seguendo la pista ciclabile.

Da questa entrata  si accede  alle zone più alte del Parco, da qui si possono vedere la linea dell’Appia Antica, la tomba di Cecilia Metella,  il Parco delle Tombe Latine, il Parco della Caffarella,  e, procedendo verso sud, dove la linea dell’Acquedotto Claudio si consolida, attraverso sentieri immersi nel verde, si possono raggiungere  la Villa dei Quintili e poi quella dei Sette Bassi.

Anche se non ancora ultimato, il Parco di Tor Fiscale offre ai visitatori  scenari unici.

Qui si possono osservare attraverso le arcate  degli  Acquedotti Romani,  i vecchi e silenziosi casali agricoli e gli orti; passeggiando  tra i frutteti,  ovunque si volga lo sguardo, si può ammirare il paesaggio dominato dalla maestosa Torre del Fiscale, all’incrocio tra gli acquedotti che un tempo (539 d.C.) furono utilizzati per il Campo Barbarico di Vitige  Re dei Goti; il sito è raggiungibile percorrendo la pista ciclabile e pedonale.

La morfologia del terreno è particolare, infatti seppur ormai invisibili, scorrono nel sottosuolo numerosi corsi d’acqua, facilmente identificabili seguendo la linea dei canneti; ci sono sbalzi di quota rilevanti con presenza di numerose gallerie visitabili (circa18 km),  oggi utilizzate per la coltura dei funghi.

La flora è quella tipica mediterranea, particolari sono i  cespugli di assenzio e quelli dei capperi, che riescono a crescere abbondanti sulle mura degli acquedotti;

Colorano l’intero paesaggio i canneti, le macchie gialle di ginestrino, il verde del pino marittimo, l’argento degli olivi, il bianco e rosa dei frutteti.

Nella parte bassa del Parco, ingresso di via di Torre Branca,  si trovano importanti resti dell’Acquedotto Claudio, c’è un’ area giochi con zone d’ombra e panchine; di lato si trova un frutteto aperto al pubblico,  che viene utilizzato per laboratori di educazione ambientale.

Uscendo dal Parco  in Via di Torre Branca,  si raggiunge Via di Torre del Fiscale che attraversa l’area dei Casali dell’antica Vaccheria edificata anch’essa su resti romani.

Il Casale Rampa e il suo piccolo borgo, rappresentano il cuore del quartiere, che oggi si  estende fino a Via Appia Nuova.

La straordinaria vicinanza ai siti  più importanti del Parco Regionale dell’Appia Antica, pone Tor Fiscale al centro di innumerevoli percorsi turistici;

Da diversi anni l’Amministrazione Comunale ne sta curando la promozione  attraverso  interventi di riqualificazione, manutenzione e tutela.

Durante l’anno, seguendo il ciclo delle stagioni, vi si svolgono  manifestazioni culturali, visite guidate,  laboratori ambientali, Sport e Centri Estivi per ragazzi.

La Torre
L’alta Tor Fiscale si trova a poco più di 1000 m. sulla sinistra del km 8 dell’Appia Nuova nel punto in cui l’acquedotto Marcio e l’acquedotto Claudio vengono ad incrociarsi, si erge la Torre del Fiscale, alta circa 30 metri.
Risale al XIII sec., ha una struttura quadrata , costruita con blocchetti di tufo e qualche fila di mattoni, piccole finestre rettangolari con cornici di marmo.
L’interno presenta tracce delle volte che coprivano i piani principali.
La torre era circondata da un antemurale, in blocchetti di tufo e mattoni, ora non più visibile; se ne potevano scorgere alcuni tratti, nel lato settentrionale, alla fine degli anni quaranta.
L’origine della torre è collegato alla creazione del Campo Barbarico quando nel 539 d.C. i Goti di Vitige strinsero d’assedio la Roma di Belisario accampandosi in quest’area trapezoidale chiudendo le arcate degli acquedotti.
Il primo ricordo della torre cade nell’anno 1277, quando Riccardo Annibaldi cedette a Giovanni del Giudice la Tenuta chiamata Arcus Tiburtinus, con torre e renclaustro.
Nel medioevo il luogo era chiamato “Arco di Travertino” e segnava anche il punto in cui l’acquedotto Claudio scavalcava la via Latina.
Tor Fiscale, nei secoli che seguirono, si chiamò in vari modi, prendendo per lo più il nome dai proprietari che via via vi si succedevano.
Nell’anno 1363 è chiamata “Turris Iohannis” a testimonianza del suo possesso da parte della Basilica di S. Giovanni in Laterano.
Con il nome Turris Brancie è ricordata in un documento del 1385 mentre nel 1397 si parla del Casale olim Brancie et nunc heredum Pauli Bastardelle. Nel 1422, sebbene appartenesse ancora alla famiglia Bastardella, la torre è indicata nel 1422 come Turris Brancie alias dictus Arcus Tiburtinus.
Il nome Tor Fiscale che compare nel secolo XVII, è dovuto ad un certo Monsignor Filippo Foppi “fiscale” (tesoriere) pontificio, che verso il 1650 aveva delle vigne nei pressi. 

Storia

Il primo nucleo abitativo, di agricoltori, si stanzia nella Vaccheria Tor Fiscale (Casale Rampa) nei primi del ‘900.  La Vaccheria venne costruita sulle rovine di manufatti risalenti a epoca romana che sorgevano sui lati della antica Via Latina (via Campo Barbarico).

Le cave per l’estrazione della pozzolana nei  primi decenni del ‘900, con un massiccio sfruttamento dovuto alla nuova edilizia,  modificheranno il territorio.

Negli anni ’30 nuovi “ortolani” arrivano  e ampliano i terreni  coltivabili, lungo la via Celere (via di Torre Branca) e fino agli acquedotti romani; sfruttando i numerosi corsi d’acqua, realizzano una fitta rete di canali di irrigazione.

Nella fascia vicina alla via Appia Nuova si sviluppa un polo “industriale”: una fabbrica di tendoni, un allevamento di castori, grandi falegnamerie, una importante tintoria, marmisti e tanti  altri artigiani.

Nascono strutture di ricezione, come la Trattoria “la Collinetta”, e verso il IV miglio della Via Appia Nuova, l’azienda agraria e trattoria “L’Uva di Roma”, conosciute dai frequentatori dell’Ippodromo delle Capannelle  e dai “fagottari” nelle gite fuori porta.

Nell’area della Vaccheria, oltre alle abitazioni dei contadini nei Casali, c’erano le stalle e i vasconi dove si lavavano ortaggi e  fiori, c’erano molti fienili, uno di questi, più tardi e fino al  1953, svolgerà la doppia funzione di scuola e chiesa.

Nel 1954 si  termina la costruzione di una vera Chiesa, S. Stefano Protomartire.                     

Oggi, chi viene a  Tor Fiscale, trova un quartiere che si è salvato dalla edificazione selvaggia, sebbene anche qui ci sia bisogno di riordinare ciò che è stato costruito in assenza di un Piano Particolareggiato urbanistico finalmente approvato nel 2001. 

Tuttavia, Tor Fiscale  ancora conserva un nucleo storico-archeologico-ambientale di notevole pregio che lascia stupiti i visitatori che osservano la straordinaria vicinanza alla città e al contempo una atmosfera distaccata, un ritmo tranquillo,  più vicino alla qualità della vita.

Più che un quartiere è un paesino all’interno della città; verde, suoni notturni lontani dal traffico e scorci di paesaggi antichi, condizionano positivamente l’immaginario.  

 

Appia Antica

Appia Antica Nord

Appia Antica Nord è il nome della zona urbanistica 11x del XI Municipio del comune di Roma. Si estende sui quartieri Q.IX Appio e Q.XXVI Appio Pignatelli e sulla zona Z.XXI Torricola.

Popolazione: 2.628[1] abitanti.

Appia Antica Sud

Appia Antica Sud è il nome della zona urbanistica 11y del XI Municipio del comune di Roma. Si estende sulla zona Z.XXIII Castel di Leva.

Popolazione: 437[1] abitanti.

Parco naturale regionale Appia antica

Il Parco naturale regionale dell’Appia antica è un’area protetta di 3400 ettari istituita nel 1988 dalla Regione Lazio all’interno dei territori comunali di Roma, Ciampino e Marino, a cavallo tra l’Agro Romano e i Colli Albani lungo la direttrice della via Appia Antica. Al suo interno sono ricompresi, tra l’altro, la Caffarella e il Parco degli Acquedotti.

Caffarella

La Caffarella è una valle alluvionale creata dal fiume Almone.  È interamente nel comune di Roma ed è parzialmente patrimonio del Parco Regionale dell’Appia Antica.
È ricca d’acqua, che affiora da falde e sorgenti.
Il nome origina dall’unificazione delle tenute ivi preesistenti attuata nel ‘500 dalla famiglia romana Caffarelli.

L’ALMONE E LE SORGENTI DELLA CAFFARELLA

 Il bacino idrografico dell’Almone era un tempo separato da quello dell’Acqua Mariana. Oggi invece le loro acque si mescolano prima di giungere alla valle della Caffarella.

La valle della Caffarella, formatasi geologicamente in seguito all’eruzione del “Vulcano Laziale” lì dove ora sono i Colli Albani, è ricchissima di acque provenienti oltre che dall’Almone anche dalle numerose sorgenti disseminate lungo l’ampio territorio della valle. Tra queste le più famose sono quelle dell’Acqua Santa e quelle del cosiddetto ninfeo Egeria.

Originariamente pare che le acque dell’Almone avessero origine dalla sorgente Ferentina presso Marino e che poi dai Colli Albani si gettassero nel Tevere, all’inizio della via Ostiense. In quest’ultimo punto, in epoca romana, come narra Ovidio (Fasti v. 335) avveniva, il 27 marzo di ogni anno, una solenne cerimonia religiosa che consisteva nel lavacro della statua della dea Cibele e dei suoi arredi sacri. Il rito, chiamato “lavatio matris deum” avveniva nel bel mezzo di una festa orgiastica, in cui i partecipanti si abbandonavano a danze sfrenate, mentre un anziano sacerdote in veste purpurea compiva i lavacri.

L’origine del rito si fa risalire al tempo della seconda guerra punica, nel III secolo d.C. Difatti in quel periodo, da una profezia contenuta nei libri sibillini si evinceva che se un nemico straniero (Annibale) avesse portato la guerra in Italia, sarebbe stato cacciato e vinto solo se la Magna Mater (Cibele madre di tutti i dei) fosse stata trasportata da Pessinunte a Roma. Partì così subito una delegazione per Pessinunte, in Asia Minore, nel regno di Antalo, re di Pergamo, alleato dei Romani. Per inciso allora si faceva risalire l’origine di Pergamo a Troia, come quella di Roma.

In questa città esisteva il più prestigioso tempio dedicato a Cibele : da questo fu prelevata una grossa pietra sacra (forse un meteorite) e trasportata a Roma per collocarla in un apposito tempio costruito sul Palatino. Sennonché la nave che trasportava la pietra si incagliò proprio alla confluenza dell’Almone con il Tevere, per cui i sacerdoti di Cibele procedettero a solenni riti di purificazione, dopo di che, secondo la leggenda, fu possibile riprendere la navigazione. Grati alla dea, le autorità religiose decisero di far ripetere ogni anno la cerimonia lustrale, che si svolse annualmente addirittura fino al 389 d.C., anno in cui fu abolita per incompatibilità con la religione cristiana.

Lungo il corso dei secoli l’Almone ha subito una miriade di deviazioni e canalizzazioni, motivate soprattutto dalla necessità di irrigare i campi attigui, che da sempre sono coltivati, nella fertile valle della Caffarella. Oggi il suo percorso è riconoscibile fino all’aeroporto di Ciampino a monte e a valle fino a dove incrocia l’Appia Antica. Da qui purtroppo il fosso viene intubato nel collettore di Roma Sud.

Per quanto riguarda il suo nome, Almone, gli è stato dato, secondo l’Eneide dall’omonimo eroe troiano, figlio di Tirro, custode degli armenti dell’esercito troiano, morto nella guerra tra troiani e latini che precedette la fondazione di Roma.

Tuttavia altri nomi gli sono stati dati nell’evolversi dei tempi, tra cui quello di “acquataccio”, sul cui significato esistono due versioni contrastanti : secondo la prima, il termine deriverebbe da “Acqua d’Accia” cioè da “Acqua d’Appia” ; per la seconda versione, meno accreditata, gli deriverebbe dall’aspetto acquitrinoso della valle della Caffarella, in epoca medioevale e rinascimentale. Del resto al fiume, in epoca moderna, sono stati dati altri nomi come “marrana della Caffarella” e “fosso dello Statuario”

Per quanto riguarda le sorgenti, quella dell’Acqua Santa, un’acqua dalle decantate virtù terapeutiche sin dall’antichità, si trova in via dell’Almone, nome dato alla via che dal 1920, congiunge l’Appia Nuova con l’Appia Pignatelli.

La sorgente Egeria si trova invece inserita nell’omonimo ninfeo, ai piedi della collina dove c’è Sant’Urbano. In quel luogo formava un celebre “lacus salutaris”, così chiamato per la terapeuticità delle sue acque.

La Marrana

Nel Parco dell’Appia Antica, oltre al fiume Almone esiste un altro corso d’acqua, che ha rivestito una notevole importanza nei secoli passati, a partire dal periodo medievale.

Le sue acque difatti furono utilizzate oltre che in agricoltura anche per fornire l’energia necessaria ai numerosi mulini e opifici vari che sorgevano lungo il suo percorso. Oggi purtroppo appare come una vera e propria fogna a cielo aperto a causa degli scarichi che riceve nel territorio di alcuni comuni che attraversa come Grottaferrata, Marino e Ciampino.

La sua storia è antica e risale al Medioevo. L’antica Roma, come è noto, era servita da un sistema di acquedotti (11) che ne facevano la città meglio servita del mondo antico (13 metri cubi al secondo contro i 15 di oggi e i 12 del 1970) e in alcuni casi anche di alcune città moderne. A partire dall’assedio dei Goti di Vitige (539 d.C.), che tagliarono gli acquedotti per impedire l’approvvigionamento idrico della città, queste importanti strutture iniziarono il loro periodo di decadenza.

Così nei secoli successivi solo l’acquedotto Vergine continuò a funzionare e gli abitanti di Roma furono costretti ad usare i pozzi e le acque del Tevere. Per avere una nuova fonte di acqua potabile ci sarebbero voluti oltre mille anni con la costruzione dell’acquedotto Felice (1587). Comunque nel 1122 papa Callisto II, vista la penuria di acqua, decise di costruire un canale artificiale per riportare l’acqua nelle campagne e servire i mulini, che numerosi sorgevano anche all’interno delle mura Aureliane, per l’appunto la Marrana dell’acqua Mariana. Il suo nome si pensa che derivi dal fatto che all’origine attraversa dei territori denominati anticamente “ager maranus”; da questo il termine “marrana” che poi è stato esteso a tutti i fossi dei dintorni di Roma. Il percorso iniziale utilizzava un fosso preesistente detto dell’acqua Crabra e prendeva le sue acque da Squarciarelli e dalla fonte La Preziosa, tra Marino e Grottaferrata, cioè dalle stesse acque che rifornivano gli antichi acquedotti romani Tepula  e Julia. Il canale quindi seguiva gli antichi acquedotti e scendeva verso Roma. Vicino a villa dei Centroni, a Morena, tramite una diga quest’acqua veniva incanalata in un condotto sotterraneo appartenente all’antico acquedotto Claudio. Uscito allo scoperto il fosso attraversava la tenuta di Roma Vecchia, dove formava, almeno fino agli anni ’30 del nostro secolo, un laghetto dove vi erano anche i pesci. Quindi proseguiva verso Roma, attraversava la via Tuscolana a Porta Furba, passava per via del Mandrione e costeggiando a distanza la Tuscolana giungeva a porta di San Giovanni, formando un laghetto. Quindi costeggiava le mura, passando lì dove ora è via Sannio. Entrava in Roma a porta Metronia, quindi percorrendo l’odierna Passeggiata Archeologica e passando attraverso il Circo Massimo, si gettava nel Tevere accanto alla Cloaca Massima.

Oggi il suo tracciato, in seguito all’urbanizzazione, è completamente cambiato. Così all’altezza di Roma Vecchia è stato deviato e ora confluisce nell’Almone.

Da notare come dal medioevo fino agli anni ’60 sia esistito un organismo di gestione delle acque, all’inizio appartenente alla Basilica di S. Giovanni e poi nell’800 trasformatosi in consorzio di gestione autonomo. Ciò testimonia l’importanza economica del fosso.

Torricola

Torricola è il nome della ventunesima zona del comune di Roma nell’Agro Romano, indicata con Z.XXI.

Si trova nell’area sud della città, a ridosso ed internamente al Grande Raccordo Anulare.

Casal Rotondo

Al VI miglio dell’Appia Antica si trova un grande mausoleo chiamato Casal Rotondo a causa di un piccolo casale, ora trasformato in villa, che vi fu costruito sulla sommità. 
Il sepolcro, di età augustea, è formato da un corpo cilindrico, originariamente rivestito di travertino, impostato su un basamento quadrangolare di 35 metri per lato. Un’iscrizione frammentaria con il nome di Cotta fece credere all’archeologo Luigi Canina che si trattasse del monumento funebre eretto per Messalla Corvino, console nel 31 a.C., dal figlio Messalino Cotta, avvocato e letterato dell’epoca di Augusto, mentre sembra riferirsi ad un altro sepolcro, anch’esso in forma di edicola circolare, con tetto conico a squame coronato da un pinnacolo, attribuibile, in base ad un frammento d’iscrizione, ad un membro della famiglia degli Aureli Cotta. 
Questa iscrizione, insieme ad altri frammenti architettonici, furono murati nella parete laterizia a fianco del mausoleo (nella foto a sinistra) tra il 1830 e il 40 dallo stesso Canina: le nicchie in basso risultano prive di alcuni pezzi che sono stati rubati dai soliti imbecilli.
Sulla spianata superiore del monumento fu costruita nel XIII secolo, con piccoli rettangoli di peperino, una torre nel tempo trasformata in piccolo casale con stalle, fienili ed un uliveto.
Illustri e nobili famiglie romane, nell’arco dei secoli, hanno abitato la casa divenuta poi una villa. 
Ricordiamo i Savelli, i Giustiniani, i Merolli, i Pichi, i Santacroce, i Gabrielli e i Torlonia.

Tor Carbone

Tor Carbone era alla fine degli anni ’80, nel quadrante compreso tra via di Grottaperfetta e via Ardeatina, la lottizzazione “sorella” di quella prevista nella Tenuta di Tor Marancia. Anche in questo caso l’area rimasta libera dall’edificazione era indicata nel Piano Regolatore Generale (P.R.G.) del 1962 come zona di espansione edilizia.
Identico il carattere di speculazione fondiaria che accomuna le vicende dei due comprensori ed evidente l’intento di sfruttare la vicinanza dell’Appia Antica per garantirsi elevati livelli di redditività dell’investimento sostenuto. I due interventi edilizi previsti, che insistevano nello stesso bacino idrografico del Fosso di Grotta Perfetta, vennero trattati separatamente dall’Amministrazione Comunale.
Sono note a molti le vicende che hanno portato alla salvaguardia della Tenuta di Tor Marancia, grazie all’apposizione del vincolo di tutela e non edificabilità della zona da parte della Soprintendenza Archeologica di Roma (21.1.2001). Tale vincolo ha prodotto la successiva delibera regionale di inserimento di Tor Marancia nei confini del Parco Regionale dell’Appia Antica (Testo Unico n° 12-28-49-97-144 e 211 del 18/04/02).
Purtroppo l’area di Tor Carbone ha avuto una sorte diversa. Sebbene le licenze edilizie fossero state rilasciate prima dell’inizio del loro mandato (cioè in un periodo di commissariamento dell’Amministrazione capitolina) l’allora Sindaco di Roma, Francesco Rutelli e l’Assessore all’Urbanistica, Domenico Cecchini, divennero ben presto sostenitori dell’intervento tanto che il sollecito rilascio delle autorizzazioni per le opere di urbanizzazione impedì qualsiasi iniziativa legale delle Associazioni e dei Comitati per impedire l’apertura dei cantieri.
In quel frangente maturarono le condizioni che hanno portato anche a quella eccezionale mobilitazione popolare, tanto importante per l’annullamento della edificazione a Tor Marancia.
Va precisato che il comprensorio di Tor Carbone (così come quello di Tor Marancia) era stato destinato all’edificazione nell’ambito di un accordo politico (che avrebbe portato, in seguito, alla Variante al PRG denominata “Piano delle Certezze”) che individuava a livello cittadino le aree edificabili e quelle destinate alla istituzione di aree protette.
Dunque a Tor Carbone, area morfologicamente forse ancor più interessante di Tor Marancia, grazie ad una maggiore copertura vegetale, i costruttori riuscirono ad edificare ed il paesaggio attuale assume un aspetto del tutto diverso.
Via della Fotografia rappresenta l’asse centrale del comprensorio Tor Carbone (400 mila m3); qui le ultime abitazioni ancora in costruzione vengono offerte a circa 6mila euro a metro quadrato di superficie abitabile. Non si tratta, quindi, di edilizia economica e popolare ma di abitazioni pubblicizzate e vendute come “signorili”, a prezzi record.
Unica porzione rimasta non edificata è un piccolo poggio, ormai circondato dal nuovo quartiere, dove sorge un casale del ‘700: nella stalla attigua il Sovrintendente Adriano La Regina individuò i resti di un Tempio romano.

La Torre
Percorrendo la Via Appia Antica, pressappoco al km 5, si arriva all’incrocio con Via di Tor Carbone, giriamo a destra, per poi imboccare via Papirio Carbone e ci troviamo di fronte a Tor Carbone.
Da uno slargo sterrato, si può ammirare la torre distante poche decine di metri; un ulteriore avvicinamento è reso difficile dalla vegetazione incolta.
Purtroppo da questo punto è impossibile rendersi conto della magnifica posizione che la torre occupa, un’altura dominante l’ampia pianura percorsa dalla via Ardeatina; soltanto provenendo dall’Ardeatina, ci si può rendere conto dell’effettivo dislivello.
La torre risale presumibilmente al XIII secolo e dovrebbe essere costruita sui resti di un’antica villa rustica, di cui sono stati rinvenuti pochi resti nel 1919.
Si pensa che la costruzione risalga alla famiglia dei Rustici: infatti, alla fine del XIV secolo, una tal Brigata dei Rustici, moglie di Lelio della Valle, portò come dote numerosi beni, tra cui non si esclude che vi fosse anche la torre.
Si è certi che nel secolo XV il suo possessore era Nicolò della Valle, figlio di Lelio e Brigida Rustici. Quindi il passaggio di proprietà dovette essere diretto, in quanto nel 1403 Giovanni Bucci Iacquitelli è indicato come proprietario del Casale di Tor Carbone.
In seguito la torre spettò ai Cenci che la cedettero al Capitolo di S. Giovanni in Laterano; da allora prese il nome di “Torre di S. Giovanni”; come tale è indicata nel 1547.

Piuttosto complessa è la questione del nome. Tomassetti suppose un collegamento con uno dei vari Papirio Carbone dell’antica Roma, che avrebbe avuto qui una proprietà suburbana; il cognomen avrebbe dato il nome alla tenuta.
Una riprova sarebbe in una delle lastre marmoree oggi affisse presso la Porta dei Morti (la prima a sinistra) della Basilica Vaticana: l’epigrafe riguarda una donazione – fatta da un papa Gregorio (probabilmente Gregorio II: 717-731) – di una serie di oliveti da cui ricavare olio per l’illuminazione. Tra gli uliveti donati è citato l’olibetum in fundo Canaino et Carbonaria all’interno della Massa Trabatiana, in patrimonio Appiae.
Secondo Tomassetti, questo fondo Canaino e Carbonaria corrisponderebbe proprio alla tenuta di Tor Carbone. Ora però, dei dodici fondi della Massa Trabatiana, Tomassetti riuscì a trovare un aggancio in zona solo per altri due (il fundus Cattianus e il fundus Borreianus); ma va specificato che nella medesima massa è citato un fundus Iulianus, che lo stesso Tomassetti mette in relazione con il paese di Giulianello, nel territorio di Cori! Oltretutto la gran parte delle Massae citate nell’epigrafe sono state identificate tra Lanuvio e Velletri.
Dunque, è tutt’altro che certo che il fondo Canaino et Carbonaria (come del resto tutta la Massa Trabatiana) sia da individuare in questo tratto dell’Appia.
Se allora il collegamento tra Tor Carbone e il toponimo Carbonaria è di fatto molto labile e se è assolutamente inconsistente l’ipotesi secondo cui il nome della tenuta trae origine dall’antichità, è da supporre che il toponimo sia tutto medioevale.
In mancanza di fonti documentarie certe, è necessario prendere in considerazione l’ipotesi più semplice, ovvero che la torre sia da mettere in relazione con la nobile famiglia dei Carboni, che aveva vasti interessi nella Campagna Romana e che in città era acquartierata nel rione Monti; lungo l’attuale via IV Novembre, ancora sopravvive Torre Colonna, che fu costruita sul finire del sec. XII da Gildo Carboni.
Oltretutto se un atto del 1403 – citato da Giovanni Maria De Rossi – si riferisse proprio alla torre presso l’Appia, avremmo un punto fermo a favore della sua attribuzione ai Carboni: infatti nel documento è trattato il passaggio di proprietà della torre a favore di Iohannes Bucci Iacquitelli che dovrebbe essere il figlio di quel Buzio di Ianquitello Carboni che nel 1351 è proprietario della Tor Carbone sulla Labicana (e infatti, in alcuni documenti del 1393, proprio Ianni di Buzio di Ianquitello è detto Giovanni Carbone).

Nelle immediate vicinanze di Roma esistono altre due tenute denominate Tor Carbone e attestate già in età medioevale: una sull’antica via Labicana (l’attuale via Casilina) e una sulla via Portuense nei pressi del Castello della Magliana. Poiché entrambe le tenute furono per certo di proprietà dei Carboni, l’ipotesi di accreditare anche la tenuta sull’Appia a questa famiglia può essere ritenuta quanto meno pertinente.

La torre è abbastanza ben conservata, anche se la parte superiore non esiste più, è alta circa 8 metri, con sette metri di lato, ed è quadrata. Anche se è costruita con blocchetti irregolari di selce, in molti punti presenta alcuni frammenti di tufo, marmo e peperino.
Massiccia (lo spessore del muro in basso è di circa m. 1.50) e quadrata (circa 7 metri per lato).
L’ingresso era sul lato nord; nell’interno si notano la volta che ricopriva il piano terra e tre nicchiette, inoltre si scorgono alcune feritoie alquanto strette e vari buchi per le impalcature lignee.
Tutte le aperture risultano molto manomesse e in cattive condizioni. L’ingresso è sul lato nord-ovest ed è sovrastato da una finestra (ma potrebbe trattarsi anche di un porta poi ridotta a finestra) oggi quasi completamente tamponata con scaglie di selce e altro materiale erratico. Altre due finestre si aprono al primo piano sulle pareti nord-est e sud-est; a tutte le aperture sono stati tolti gli stipiti. Si scorgono inoltre su tutte le pareti alcune feritoie alte e strette e tre ordini di buchi per le impalcature lignee.
All’interno, tre nicchie ad arco rotondo si aprono a circa un metro da terra; una robusta volta sostiene il primo piano, mentre è scomparsa la volta superiore benché se ne veda l’imposta nel lato sud-est.

Valco San Paolo-Marconi

Marconi
Il quartiere è delimitato dal fiume Tevere, il quartiere Garbatella, la Cristoforo Colombo.

Fino all’inizio del Novecento questa area è rimasta nella condizione tipica che ha caratterizzato i territori dell’Agro a ridosso della città: un paesaggio di pascoli, orti e vigneti, con poche attività artigianali o legate alla trasformazione dei prodotti del settore primario.

Al centro di questo quadro semirurale si ergeva la Basilica di San Paolo e, dall’altra parte della via Ostiense, il Casale Garibaldi.

Lo sviluppo edilizio della zona è legato all’espansione industriale dell’Ostiense: sorgono così gli edifici lungo la via omonima ed il “borgo – giardino” sulla Collina Volpi (soprattutto villini).

Al secondo dopoguerra risalgono gli insediamenti intensivi che contraddistinguono il quartiere. Si inizia con la zona di Valco San Paolo, in cui a partire dal 1949 sorge il quartiere INA – Casa, e si prosegue nei decenni successivi: da un lato a colmare i vuoti della parte opposta di viale Marconi, dall’altro lungo l’area attorno a via Giustiniano Imperatore. Oggi quest’ultima porzione è al centro di un ampio progetto di riqualificazione, a causa dei gravi problemi idrogeologici che la interessano.

Il resto della zona è stato investito nell’ultimo decennio dalle trasformazioni dettate, prevalentemente, dall’insediamento della Terza Università di Roma, la quale ha riconvertito gran parte dell’area della Vasca Navale e dell’Ostiense, ed ha costruito nuovi insediamenti presso viale Leonardo da Vinci e via G. Chiabrera.

Valco San Paolo
Valco San Paolo è il nome della zona urbanistica 11b del XI Municipio del comune di Roma. Si estende sul quartiere Q.X Ostiense, occupando un’ansa del fiume Tevere.

Il Cinodromo
Il Cinodromo di Roma, aperto nell’autunno del 1928 al quartiere Flaminio, presso il campo sportivo La Rondinella (noto perché l’8 dicembre di quell’anno ospitò il primo derby della storia: Roma-Lazio), era stato trasferito nel 1958 nell’attuale sede di via della Vasca Navale nei pressi di Ponte Marconi.
All’impianto, nel corso degli anni, erano stati apportati miglioramenti tecnici e ricettivi, con l’intento di promuoverne le attività e di allargare il bacino d’utenza del pubblico cittadino ma il 24 maggio 2002 la Snai, che ne era proprietaria, dopo 74 anni di attività annuncia la messa in liquidazione della società che lo gestisce, con la sua conseguente chiusura, licenziamento di 40 dipendenti e messa a dimora di 400 levrieri.
Causa del tramonto del Cinodromo una concomitanza di fattori negativi: un campo di nomadi abusivo che negli anni ha circondato l’impianto (chi voleva frequentare il Cinodromo doveva mettere in conto anche qualche furto nella propria automobile o addirittura il furto completo dell’auto), e che certo non ha facilitato l’ampliamento della struttura, o ancora la via di accesso al Cinodromo da sempre dissestata, oltre a un settore utilizzato da mezzi dell’AMA.
Dal 2002 i locali dell’ex cinodromo vengono occupati da LOA Acrobax, un centro sociale autogestito, il più temuto e potente centro sociale antagonista di Roma: precari, studenti universitari, disoccupati: “acrobati” perché sospesi sul filo della precarietà. 
Dal 2002, data dell’occupazione, sono iniziate nel centro varie attività ludiche (concerti, dancehall, partite di rugby con tanto di squadra ufficiale, gli All Reds che milita nel campionato di serie C) e culturali (tra le tante il cinema drive-in ed una mediateca situata in un vecchio tunnel convertito a sala computer).
Il centro, o meglio Laboratorio, è anche impegnato in lotte sociali e politiche, con un occhio di riguardo per il precariato metropolitano (a cui è dedicato il festival Incontrotempo), il diritto alla casa, il peer-to-peer, il carcere, le lotte contro la repressione e il neofascismo e alle morti sul lavoro collaborando al comitato “stop morti sul lavoro” dedicato al militante di Acrobax Antonio Salerno Piccinino morto sul lavoro il 17 gennaio 2006.
Dal 2007 collabora con il comitato degli abitanti “Ansa del Tevere” per la riqualificazione dell’area di lungotevere Dante con la costruzione di un parco polifunzionale con pista ciclabile lungo il fiume capitolino.
Da marzo 2008 è in funzione una sala prove/studio di registrazione “Renoiz” dedicata a Renato Biagetti ucciso a Focene il 29 agosto 2006.

Ottavo Colle-Roma 70-Tenuta di S. Alessio

Ottavo Colle

Il quartiere è delimitato da via di Vigna Murata, via Laurentina, via del Tintoretto, via Ballarin, via Ardeatina.

A partire dagli anni Sessanta il Municipio si espande verso lungo la direttrice di via di Grottaperfetta: con il passare degli anni numerosi edifici vengono costruiti coprendo quasi per intero l’Ottavo Colle e le zone vicine.

Si costruisce tutto il quartiere di Ottavo Colle – Tintoretto, proseguendo l’edificazione alle spalle di via F. De Vico e via Padre Lais congiungendo il vecchio nucleo del Serafico con la “zona dei licei” (Peano, Primo Levi e De Pinedo). Oltre alla presenza delle scuole (ai licei sopraindicati vanno aggiunti importanti istituti privati), Ottavo Colle-Tintoretto si contraddistingue  come zona residenziale e quale moderna sede di uffici, banche e sedi di società del terziario avanzato.

Alle spalle delle nuove edificazioni rimangono ancora lembi di campagna, preziosi spazi verdi per tutto il territorio.

Roma 70-Rinnovamento

Roma 70 è il nome di un’area urbana dell’XI Municipio di Roma. Si estende sul quartiere Q.XX Ardeatino.
È situata a sud della capitale, all’interno del Grande Raccordo Anulare, nella zona urbanistica 11g Grottaperfetta.

La zona, nota anche con il nome de I granai, è sorta come agglomerato residenziale (piano di zona 39 Grottaperfetta) in un’area anticamente occupata dai granai di Nerva. In quest’area, infatti, la tradizione racconta che l’imperatore Marco Cocceio Nerva fece concentrare i depositi di grano dell’Urbe.
E’ uno dei tanti piccoli quartieri di Roma. Sono piccoli paesi con una loro fisionomia ed altri ne stanno nascendo, con l’avanzare del cemento.
Quartiere caratterizzato da edifici affastellati e da strade tortuose, si raccoglie oggi attorno al nucleo vitale costituito dal grande centro commerciale “I Granai”.
I quartieri si sviluppano lungo via di Grottaperfetta fino al “Dazio”, tra il parco di Tormarancia e il quartiere Ottavo Colle – Tintoretto.

L’espansione iniziata negli anni Sessanta lungo presso l’Ottavo Colle, prosegue dal decennio successivo in quest’area: nascono così i quartieri di Rinnovamento e Roma 70.
Area residenziale per ceto medio impiegatizio (in alcune parti di Roma 70 e per buona parte di Rinnovamento si può parlare di tagli abitativi signorili), ha da poco recuperato un importante cuore verde con grandi potenzialità di attrazione culturale: il Forte Ardeatino ed il parco circostante, quest’ultimo riqualificato e restituito ai cittadini nel 2006.

La Tenuta di S.Alessio 

Tra i quartieri Ottavo Colle, Prato Smeraldo, Fonte Meravigliosa e Roma 70, a confine tra il XII e l’XI Municipio del Comune di Roma, si estende la Tenuta di S.Alessio, una superficie di 67 ettari prevalentemente verde, sede di un prestigioso Istituto scolastico: l’Istituto Tecnico Agrario “Giuseppe Garibaldi”. 

Si tratta di un pezzo di Campagna Romana, rimasto pressoché intatto per oltre 100 anni a discapito della pressante urbanizzazione.
Per i cittadini che le girano intorno quotidianamente, oggi guardare dentro la Tenuta di S.Alessio è come affacciarsi ad una finestra sul passato. Chi si affaccia a questa finestra può rivivere, qui come nel vicino Parco dell’Appia Antica, quella ruralità della Campagna Romana che è ormai relegata quasi ovunque oltre i margini della città. 
La Tenuta di S.Alessio è da anni perfettamente inserita nel contesto urbanistico dei limitrofi quartieri, frequentata dai cittadini che la utilizzano come sentiero pedonale verde per i loro spostamenti, per passeggiate con gli amici a quattro zampe, per corse rinvigorenti, o semplicemente per ritrovare un po’ di tranquillità. 

Quest’area presenta caratteristiche ambientali di grande pregio con presenza di specie protette (istrice, civetta, barbagianni, nibbio bruno, gheppio), vegetazione arborea di interesse storico (relitti delle piantagioni della bonifica di fine ‘800), paesaggi agricoli e rurali di valenza storica, emergenze archeologiche importanti. Essa rappresenta una componente importantissima della rete ecologica della città, fondamentale per garantire la connettività funzionale tra l’area di Tor Marancia a nord, quella del Fosso della Cecchignola a sud, e la tenuta di Tor Carbone a est. Si tratta di corridoi di collegamento che vanno salvaguardati per favorire la continuità territoriale ed ecologica tra aree urbane ad elevata frammentazione ambientale.

L’istituto Agrario
L’Istituto G.Garibaldi opera da circa un secolo nella Tenuta di S.Alessio. E’ una scuola di grande interesse e utilità sociale, frequentata da centinaia di studenti provenienti da tutta l’area romana. Gli ettari in uso alla scuola erano, al momento dell’affidamento, oltre 100. Nel corso del tempo furono via via scorporate delle parti di territorio, sia per usi pubblici (istruzione e ricerca) che privati (abitazioni residenziali). Nel corso di un secolo, le varie cessioni hanno tolto alla Tenuta circa 40 ettari, e questo stillicidio non si è ancora fermato, e rischia di minare seriamente la possibilità di sopravvivenza di questa splendida area

Nel 1907 la Regia Scuola Pratica di Agricoltura, costituita nel 1872, viene trasferita nella località in cui opera ancora oggi e cioè nella Tenuta di S.Alessio, racchiusa tra le attuali Via di Vigna Murata, Via Ardeatina, Via Erminio Spalla e gli istituti scolastici superiori che si affacciano su Via di Grotte d’Arcaccio.
Tre anni dopo il trasferimento, nel 1910, il Tenimento viene affidato in modo permanente alla scuola agraria. Il Ministero dell’Agricoltura, Industria e Commercio affida in enfiteusi perpetua i fondi demaniali detti “Regio Campo Sperimentale e lotti 13 e 14 delle tenute di S.Alessio e Vigna Murata nell’Agro Romano”… con l’obbligo di stabilirvi la Regia Scuola Pratica di Agricoltura”, alla Provincia di Roma che dal quel momento gestirà la scuola ed i poderi. 
Il territorio ceduto in enfiteusi per la Regia Scuola Pratica di Agricoltura occupa una superficie totale di 102.44.70 ettari, posta a cavallo dell’attuale Via di Vigna Murata. Di questi, 82.93.70 ettari sono compresi nella Tenuta di S. Alessio (Regio Campo Sperimentale), e 19.51 sono costituiti dai Lotti 13 e 14 della Tenuta di Vigna Murata (rispettivamente 10.20 ettari il primo e 9.31 il secondo) , separata dall’altro Tenimento dal Fosso di S. Alessio e dalla strada interpoderale (sul tracciato della quale è stata successivamente realizzata la Via di Vigna Murata). 
L’11 febbraio 1911, con il n. 21015, il contratto viene registrato alla Corte dei Conti, e da questo momento il Demanio dello Stato, con il ruolo di proprietario, e la Provincia di Roma, in qualità di beneficiario, saranno i soggetti che regoleranno la vita dell’Istituto in ordine al patrimonio territoriale e alle strutture che in esso sono presenti.
Viene inoltre sancito l’obbligo per quest’ultima del miglioramento e dell’uso dei terreni esclusivamente ai fini dell’istruzione agraria, pena la devoluzione del fondo. Questo è un aspetto centrale del contratto, ed è un principio al quale si è fatto riferimento, dopo circa un secolo, quando (nell’estate del 2005) l’amministrazione provinciale ha manifestato l’intenzione di alienare questi beni.

Nonostante il suddetto vincolo, dopo pochi anni di gestione i terreni destinati all’Istituto Agrario cominciano ad assottigliarsi e si trasformano da aree agricole di pregio, in aree edificate residenziali o a servizi.
Non molto tempo dopo, infatti, il terreno rientrante nei due lotti di Vigna Murata viene ceduto all’Opera Nazionale per gli orfani dei contadini morti in guerra, quindi gli ettari a disposizione della scuola diminuiscono e diventano circa 80.
Questo evento accade in un periodo che va dal 1914 al 1924, anno in cui viene realizzato uno studio finalizzato alla riforma della Scuola stessa e dal quale risulta che l’Istituto utilizza soltanto i terreni a nord di Via di Vigna Murata. Nel 1924, infatti, viene compiuta un’indagine il cui fine è quello di redigere e preparare i nuovi programmi e il nuovo ordinamento di quella che ha ancora come nome Regia Scuola Pratica di Agricoltura, ma che proprio nel corso dello stesso anno, passerà ad essere la Regia Scuola Agraria Media di Roma.
L’idea era quella di promuovere e realizzare un’azienda tale da essere un polo di riferimento, almeno per tutte le aziende agricole della zona costiera. Va inoltre ricordato che in questo periodo, e sarà così almeno fino alla metà degli anni Sessanta, la scuola è situata fuori dalla città, e i collegamenti pubblici sono inesistenti. Per favorire lo sviluppo e per ovviare alle difficoltà di raggiungimento, vengono fatte proposte per migliorare e valorizzare le strutture già presenti e per costruirne di nuove. Fra queste vi è la scuola convitto: approvata con delibera del 22 maggio del 1923 dalla Regia Commissione e realizzata nel 1928.
Nell’ottobre 1933, in base alla legge n. 889 del 15 giugno 1931, la Scuola perviene all’attuale ordinamento di Istituto Tecnico Agrario Statale.

L’estensione della superficie su quale opera non pare subire modifiche almeno fino all’aprile del 1967 ; infatti, facendo riferimento ad una carta al 10.000 del Comune di Roma di questo stesso anno, il terreno appartenente all’Agrario appare composto ancora da circa 80 ettari.

Grottaperfetta

Grottaperfetta è il nome della zona urbanistica 11g del XI Municipio del comune di Roma. Si estende sul quartiere Q.XX Ardeatino.
Prende il nome dall’omonima via di Grotta Perfetta, che collega via Cristoforo Colombo con via Ardeatina.
Si ipotizza che il toponimo derivi dall’antico nome della zona Horti Praefecti o Praefectis. L’antico toponimo sembrerebbe indicare che in loco esisteva, ai tempi dei romani, qualche terreno di proprietà di un prefetto, ma non vi sono prove al riguardo.
E’ composto da vari complessi:

Complesso “via Berto”
Complesso “Longanesi – Dessì”
Complesso “Generali” (via Casalinuovo, via B. Croce, via Grottaperfetta, ecc.)
Complesso ” Poggio Ameno”
Complesso “Montagnola”
Complesso ” Tor Carbone”
Complesso “VIII Colle – Tintoretto”
Complesso “Rinnovamento – Il Sogno”
Complesso “Roma 70”
Complesso residenziale “I 60” (in fase di costruzione su via Grottaperfetta)

Luoghi d’arte
Nella zona è presente la chiesa della Santissima Annunziata, la cui parte antica porta una epigrafe di Onorio III datata 12 agosto 1220.Per un breve periodo la chiesa fu aggiunta da San Filippo Neri, insieme alla chiesa di San Paolo alle Tre Fontane, all’itinerario delle Sette Chiese (che quindi divennero nove).
In occasione della costruzione della nuova chiesa, progettata da Ignazio Breccia Fratadocchi, durante gli scavi vennero alla luce resti di antichi manufatti.