Il Cimitero della Parrocchietta è un luogo di sepoltura dell’Ottocento, sito in viale Isacco Newton, già tratto di via Portuense, al Trullo.
Per quanto noto, la proprietà è pubblica e funzionale; è visitabile, è visibile da strada. È stata studiata dalla Sovrintendenza comunale ai Beni Culturali (scheda inventariale presso l’Ente).
Storia
Nel 1762 il Capitolo di Santa Maria in Trastevere conosce una grave crisi finanziaria, dovuta all’abolizione delle congrue urbane e alle spese di una vorace corte di parroci, viceparroci e preti confessori. Il principe rettore, cardinal Pamphili, corre ai ripari, nominando amministratore uno straniero stimato e rigoroso, don Giuseppe Aluffi da Pavia. Il nuovo amministratore orienta il risanamento in due direzioni: riduce gli organici della corte (ad 1 curato, 2 vicari e 4 confessori), e, soprattutto, riordina produttivamente le vigne tra Portuense e Aurelia, unica ricchezza del Capitolo.
Fin dalle prime ricognizioni, don Aluffi è accolto dalla fiera ostilità dei vignajoli portuensi, i quali lamentano un insostenibile abbandono. Don Aluffi chiede loro di scrivere una petizione, e il suo stupore è grande quando legge che i vignajoli non chiedono denari, ma una chiesa: “Se chiedessimo beni temporali e licenze meritaressimo rimproveri e negative”; invece chiedono “cibo spirituale e aiuti per la salvezza delle anime”, cioè un curato che dica messa, somministri i sacramenti e faccia un po’ di scuola
Autorizzato dal principe Pamphili, don Aluffi provvede. Compera a Bravetta, nel 1770, una “vigna con casa e cappella”,3 migliafuori Roma. Ma Bravetta è lontana, e la soluzione non piace agli irrequieti vignajoli, “riconoscendo tal sito non adatto”.
Nel 1772 don Aluffi compera il terreno sullo sperone roccioso “in località Fogalasino”,3 migliae 1/3 fuori Roma. Stavolta l’acquisto è felice, e l’ostilità dei vignajoli si tramuta in favore. In breve don Aluffi vi edifica, attingendo a capitali personali, un “casaletto” di campagna, che destina a chiesa. La piccola chiesa, scrivono i vignajoli, “per privata, non ha l’uguale nella campagna, ben corredata di sacri arredi e di tutto il bisognevole”. Era appena natala “Parrocchietta”.
Nel 1777, in pieno scontro tra i “secessionisti” portuensi e i capitoli di S. Maria e S. Cecilia,la Sacra Rotasi pronuncia, in favore dei primi. Il tribunale ecclesiastico era stato chiamato in causa da un quarto contendente, il cardinal Rezzonico vescovo di Porto e S. Rufina, che vantava un’antica giurisdizione sulle vigne portuensi. Da tempo tollerava che S. Maria vi riscuotesse le congrue, facendosi in cambio carico dei mantenimenti civili, ma il vescovo aveva impugnato l’accordo.
La delegazione rotale, nominata dal cardinal Colonna, vicario di Pio VI per Roma, soggiorna lungamente sul posto, per verificare a chi spetti la cura delle anime vignajole. In meno di due anni i giudici pronunciano sentenza e danno ragione al Vescovo di Porto, suggerendo allo stesso tempo comporre la disputa “liquidando” in denaro il vescovo e costituendo il territorio portuense in parrocchia autonoma. “Troppo necessaria è ivi l’erezione di una nuova parrocchia”, scrivono.
Pio VI e il Sacro Collegio approvano la sentenza dagli evidenti riflessi politici, “come unico mezzo per sedare le controversie e come vero rimedio per accorrere alli bisogni spirituali della campagna”. Colonna scrive allora ai Vignajoli: “Il SS.mo Signor nostro Pio VI, è venuto a sapere che i fedeli abitanti nelle vigne, nei casolari e nelle campagne fuori Porta Portese, a causa delle difficoltà di accedere alle loro chiese parrocchiali di S. Maria e S. Cecilia, sono quasi del tutto privati del cibo spirituale…”.
Sembra fatta. E alla Parrocchietta si canta vittoria. Ma in quel momento sopraggiunge l’incidente: il paladino don Aluffi si ammala gravemente, e lascia la Parrocchietta a un vice-curato, di cui Santa Maria ottiene facilmente ragione, richiamandolo all’obbedienza. In breve, proprio quando il Papa è pronto a concedere l’autonomia, la chiesetta al Portuense si svuota. Occorrerà attendere ancora due anni