Tor Carbone

Tor Carbone era alla fine degli anni ’80, nel quadrante compreso tra via di Grottaperfetta e via Ardeatina, la lottizzazione “sorella” di quella prevista nella Tenuta di Tor Marancia. Anche in questo caso l’area rimasta libera dall’edificazione era indicata nel Piano Regolatore Generale (P.R.G.) del 1962 come zona di espansione edilizia.
Identico il carattere di speculazione fondiaria che accomuna le vicende dei due comprensori ed evidente l’intento di sfruttare la vicinanza dell’Appia Antica per garantirsi elevati livelli di redditività dell’investimento sostenuto. I due interventi edilizi previsti, che insistevano nello stesso bacino idrografico del Fosso di Grotta Perfetta, vennero trattati separatamente dall’Amministrazione Comunale.
Sono note a molti le vicende che hanno portato alla salvaguardia della Tenuta di Tor Marancia, grazie all’apposizione del vincolo di tutela e non edificabilità della zona da parte della Soprintendenza Archeologica di Roma (21.1.2001). Tale vincolo ha prodotto la successiva delibera regionale di inserimento di Tor Marancia nei confini del Parco Regionale dell’Appia Antica (Testo Unico n° 12-28-49-97-144 e 211 del 18/04/02).
Purtroppo l’area di Tor Carbone ha avuto una sorte diversa. Sebbene le licenze edilizie fossero state rilasciate prima dell’inizio del loro mandato (cioè in un periodo di commissariamento dell’Amministrazione capitolina) l’allora Sindaco di Roma, Francesco Rutelli e l’Assessore all’Urbanistica, Domenico Cecchini, divennero ben presto sostenitori dell’intervento tanto che il sollecito rilascio delle autorizzazioni per le opere di urbanizzazione impedì qualsiasi iniziativa legale delle Associazioni e dei Comitati per impedire l’apertura dei cantieri.
In quel frangente maturarono le condizioni che hanno portato anche a quella eccezionale mobilitazione popolare, tanto importante per l’annullamento della edificazione a Tor Marancia.
Va precisato che il comprensorio di Tor Carbone (così come quello di Tor Marancia) era stato destinato all’edificazione nell’ambito di un accordo politico (che avrebbe portato, in seguito, alla Variante al PRG denominata “Piano delle Certezze”) che individuava a livello cittadino le aree edificabili e quelle destinate alla istituzione di aree protette.
Dunque a Tor Carbone, area morfologicamente forse ancor più interessante di Tor Marancia, grazie ad una maggiore copertura vegetale, i costruttori riuscirono ad edificare ed il paesaggio attuale assume un aspetto del tutto diverso.
Via della Fotografia rappresenta l’asse centrale del comprensorio Tor Carbone (400 mila m3); qui le ultime abitazioni ancora in costruzione vengono offerte a circa 6mila euro a metro quadrato di superficie abitabile. Non si tratta, quindi, di edilizia economica e popolare ma di abitazioni pubblicizzate e vendute come “signorili”, a prezzi record.
Unica porzione rimasta non edificata è un piccolo poggio, ormai circondato dal nuovo quartiere, dove sorge un casale del ‘700: nella stalla attigua il Sovrintendente Adriano La Regina individuò i resti di un Tempio romano.

La Torre
Percorrendo la Via Appia Antica, pressappoco al km 5, si arriva all’incrocio con Via di Tor Carbone, giriamo a destra, per poi imboccare via Papirio Carbone e ci troviamo di fronte a Tor Carbone.
Da uno slargo sterrato, si può ammirare la torre distante poche decine di metri; un ulteriore avvicinamento è reso difficile dalla vegetazione incolta.
Purtroppo da questo punto è impossibile rendersi conto della magnifica posizione che la torre occupa, un’altura dominante l’ampia pianura percorsa dalla via Ardeatina; soltanto provenendo dall’Ardeatina, ci si può rendere conto dell’effettivo dislivello.
La torre risale presumibilmente al XIII secolo e dovrebbe essere costruita sui resti di un’antica villa rustica, di cui sono stati rinvenuti pochi resti nel 1919.
Si pensa che la costruzione risalga alla famiglia dei Rustici: infatti, alla fine del XIV secolo, una tal Brigata dei Rustici, moglie di Lelio della Valle, portò come dote numerosi beni, tra cui non si esclude che vi fosse anche la torre.
Si è certi che nel secolo XV il suo possessore era Nicolò della Valle, figlio di Lelio e Brigida Rustici. Quindi il passaggio di proprietà dovette essere diretto, in quanto nel 1403 Giovanni Bucci Iacquitelli è indicato come proprietario del Casale di Tor Carbone.
In seguito la torre spettò ai Cenci che la cedettero al Capitolo di S. Giovanni in Laterano; da allora prese il nome di “Torre di S. Giovanni”; come tale è indicata nel 1547.

Piuttosto complessa è la questione del nome. Tomassetti suppose un collegamento con uno dei vari Papirio Carbone dell’antica Roma, che avrebbe avuto qui una proprietà suburbana; il cognomen avrebbe dato il nome alla tenuta.
Una riprova sarebbe in una delle lastre marmoree oggi affisse presso la Porta dei Morti (la prima a sinistra) della Basilica Vaticana: l’epigrafe riguarda una donazione – fatta da un papa Gregorio (probabilmente Gregorio II: 717-731) – di una serie di oliveti da cui ricavare olio per l’illuminazione. Tra gli uliveti donati è citato l’olibetum in fundo Canaino et Carbonaria all’interno della Massa Trabatiana, in patrimonio Appiae.
Secondo Tomassetti, questo fondo Canaino e Carbonaria corrisponderebbe proprio alla tenuta di Tor Carbone. Ora però, dei dodici fondi della Massa Trabatiana, Tomassetti riuscì a trovare un aggancio in zona solo per altri due (il fundus Cattianus e il fundus Borreianus); ma va specificato che nella medesima massa è citato un fundus Iulianus, che lo stesso Tomassetti mette in relazione con il paese di Giulianello, nel territorio di Cori! Oltretutto la gran parte delle Massae citate nell’epigrafe sono state identificate tra Lanuvio e Velletri.
Dunque, è tutt’altro che certo che il fondo Canaino et Carbonaria (come del resto tutta la Massa Trabatiana) sia da individuare in questo tratto dell’Appia.
Se allora il collegamento tra Tor Carbone e il toponimo Carbonaria è di fatto molto labile e se è assolutamente inconsistente l’ipotesi secondo cui il nome della tenuta trae origine dall’antichità, è da supporre che il toponimo sia tutto medioevale.
In mancanza di fonti documentarie certe, è necessario prendere in considerazione l’ipotesi più semplice, ovvero che la torre sia da mettere in relazione con la nobile famiglia dei Carboni, che aveva vasti interessi nella Campagna Romana e che in città era acquartierata nel rione Monti; lungo l’attuale via IV Novembre, ancora sopravvive Torre Colonna, che fu costruita sul finire del sec. XII da Gildo Carboni.
Oltretutto se un atto del 1403 – citato da Giovanni Maria De Rossi – si riferisse proprio alla torre presso l’Appia, avremmo un punto fermo a favore della sua attribuzione ai Carboni: infatti nel documento è trattato il passaggio di proprietà della torre a favore di Iohannes Bucci Iacquitelli che dovrebbe essere il figlio di quel Buzio di Ianquitello Carboni che nel 1351 è proprietario della Tor Carbone sulla Labicana (e infatti, in alcuni documenti del 1393, proprio Ianni di Buzio di Ianquitello è detto Giovanni Carbone).

Nelle immediate vicinanze di Roma esistono altre due tenute denominate Tor Carbone e attestate già in età medioevale: una sull’antica via Labicana (l’attuale via Casilina) e una sulla via Portuense nei pressi del Castello della Magliana. Poiché entrambe le tenute furono per certo di proprietà dei Carboni, l’ipotesi di accreditare anche la tenuta sull’Appia a questa famiglia può essere ritenuta quanto meno pertinente.

La torre è abbastanza ben conservata, anche se la parte superiore non esiste più, è alta circa 8 metri, con sette metri di lato, ed è quadrata. Anche se è costruita con blocchetti irregolari di selce, in molti punti presenta alcuni frammenti di tufo, marmo e peperino.
Massiccia (lo spessore del muro in basso è di circa m. 1.50) e quadrata (circa 7 metri per lato).
L’ingresso era sul lato nord; nell’interno si notano la volta che ricopriva il piano terra e tre nicchiette, inoltre si scorgono alcune feritoie alquanto strette e vari buchi per le impalcature lignee.
Tutte le aperture risultano molto manomesse e in cattive condizioni. L’ingresso è sul lato nord-ovest ed è sovrastato da una finestra (ma potrebbe trattarsi anche di un porta poi ridotta a finestra) oggi quasi completamente tamponata con scaglie di selce e altro materiale erratico. Altre due finestre si aprono al primo piano sulle pareti nord-est e sud-est; a tutte le aperture sono stati tolti gli stipiti. Si scorgono inoltre su tutte le pareti alcune feritoie alte e strette e tre ordini di buchi per le impalcature lignee.
All’interno, tre nicchie ad arco rotondo si aprono a circa un metro da terra; una robusta volta sostiene il primo piano, mentre è scomparsa la volta superiore benché se ne veda l’imposta nel lato sud-est.