Settebagni

Settebagni è il nome della zona urbanistica 4m del IV Municipio del comune di Roma. Si estende sulla zona Z.III Marcigliana.

La zona prende il nome (dal latino Septem balnea) dalla omonima località sulla via Salaria.

Il suo territorio è sito a cavallo del 42º parallelo.

Si racconta anche che in passato questa zona fosse un possedimento dei duca Grazioli i quali possedevano un bellissimo castello nel cui cortile vi erano sette vasche che la gente poteva usare come piscine pubbliche.

Nata come zona agricola, oggi ampiamente urbanizzata, si sviluppa su una collina dove, nel 2002, sono stati effettuati rilevanti ritrovamenti archeologici (tombe ed altro) tuttora in corso di osservazione.

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Un pensiero su “Settebagni”

  1. SETTEBAGNI (SEPTEM BALNEA)
    Settebagni, la località situata al 14°Km della via Salaria, fa parte di quello che fino agli anni Tranta circa era chiamato agro romano o, se preferite, campagna romana.
    Oggi la zona e radicalmente e profondamente mutata; da antico e laborioso centro di coloni, agricoltori e pastori, è divenuta una delle tante appendici ultraperiferiche della città con i suoi molti problemi che attendono di essere risolti: casa, strade, servizi pubblici e via dicendo.
    Punto di riferimento è dal 1936, allorchè fu eretta canonicamente e materialmente, la chiesa parrocchiale intitolata a S.Antonio da Padova, che da allora è venerato come patrono della borgata. In suo onore, infatti, si svolgono ogni anno solenni celebrazioni e festose manifestazioni che coinvolgono tutti gli abitanti, offrendo loro l’occasione di confermare non solo la devozione verso il popolarissimo Santo, ma anche la propria fede cattolica.
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    Sebbene vanti origini antichissime, il singolare nome di Settebagni fu il pretesto, in un recente passato, per una battuta di spirito. Esclamavano dunque in leggero dialetto i vecchi romani d’una volta: “Se… te… bagni…, poi t’asciughi!”, aggiungendo espressioni scherzose nei confronti sia della zona che dei residenti in essa, i quali venivano chiamati “sette…bagnini”. Scherzi a parte, Settebagni, come s’è detto, era compresa nella campagna romana, la vasta distesa di verde che circondava la città “for de porta” e che indusse studiosi e ricercatori romani come Rodolfo Lanciani(1848-1929) e Giuseppe Tomassetti(1849-1911) ad illustrare non solo la viva suggestione che da essa emanava, ma anche le sue località, le sue ville ed i suoi monumenti. Plinio il vecchio, celebre scrittore latino vissuto nel I secolo dopo Cristo, affermò che “le case sparse nei dintorni di Roma sembrano aggiungerle molte città”. Ed Elio Aristide, retore ed oratore della Misia in Asia Minore, vissuto nel II secolo, riferendosi a Roma scrisse che “in qualunque parte della città si fosse messo l’osservatore, avrebbe sempre creduto essere nel centro, tanta essendo la frequenza delle abitazioni per tutta la campagna, che sembrava la città comprendere tutto il rimanente Lazio fino al mare”.

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    Questo quadro invero idilliaco fu presto sconvolto nei secoli successivi dalle invasioni barbariche e dalle lotte intestine provocate, specialmente nel medio-evo, dalla prepotenza di duchi e baroni, i “signorotti” dell’epoca, che guerreggiavano attorno ai castelli e ad altri fortificati per imporsi l’uno all’altro.
    Ecco quanto su questa particolare situazione osservò l’archeologo e studioso di cose romane Francesco Sabatini(1852-1928), avo di chi scrive, nella “Enciclopedia popolare illustrata”, da lui pubblicata in fascicoli settimanali nel lontano 1886: “Cessò ogni coltura, dopodichè i grandi proprietari, tanto ecclesiastici quanto laici, procurarono d’allora in poi di ricavare dalla terra il più che per loro potevasi colla pastrorizia per aumentare il prodotto delle terre senza consacrarvi alcun capitale, ne più curandosi di richiamare una parte di popolazione agricola su quelle campagne. In tal modo alle passate devastazioni si aggiunsero i danni del prolungato abbandono di ogni coltura e di ogni cura dei campi, e molti secoli scorsero senza che alcun tentativo venisse fatto per prosciugare i luoghi paludosi e dare un regolare corso alle acque che sempre più s’impaludavano per l’abbandono di ogni direzione e custodia…”.
    Dopo parecchio tempo, la campagna attorno a Roma riprese ad animarsi, ma con molta lentezza e tra numerose difficoltà. Vennero tuttavia giorni migliori in cui l’uomo volle e seppe tornare all’antico e nobile lavoro della terra. Si procedette anche alla bonifica di ampie zone e ogni cosa sembrava avviarsi verso un normale sviluppo.
    A rovinare ed annullare tutti i traguardi raggiunti ed i buoni propositi, ci penso la guerra, specialmente quella del 1940-45, e soprattutto ci pensò il dopo-guerra con i suoi tanti problemi di sopravvivenza. Mano a mano (e questo fu un fenomeno che si estese un po’ dovunque) il lavoro agricolo, già in parte trascurato, fu abbandonato del tutto e la già verde campagna romana cominciò in sua vece a popolarsi di costruzioni tirate sù alla meglio e poi perfezionate in seguito, fino a costruire in vari casi dei veri e propri agglomerati di case, una serie di quasi-quartieri alle porte della città.
    Settebagni subì la stessa sorte e dovette giocoforza assoggetarsi ad una espansione esagerata, disordinata e, purtroppo, avvilita dalla mancanza dei servizi pubblici essenziali.
    Una situazione, questa, che in parte dura nonostante la zona vada popolandosi sempre di più e senta quindi impellente la necessità di disporre dei mezzi che il processo ha messo e mette a disposizione dell’uomo per un vivere civile.

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    Il nome di “Settebagni” o, meglio, di “Septem Balnea” appare per la prima volta in un atto del 3 dicembre 1297 riguardante il casale e la tenuta della zona, a proposito dei confii di Castel Giubileo.
    Altri documenti di poco posteriori e relativi alle proprietà appartenenti nella zona allo scomparso monastero dei SS. Ciriaco e Nicolò in via Lata (era situato nell’odierna piazza del Collegio Romano) citano i toponimi “ad septem bangos” e “ad septem vangora”.
    Un leggero cambiamento a quest’ultima denominazione si ebbe a partire dal 1427 quando il casale è ricordato con l’appellativo “Septem Vagnara” ed infine dal ‘500 in poi quello di ” Septem Balneorum”.
    Il già ricordato Giuseppe Tomassetti affermò da parte sua che il nome Settebagni “deriva evidentemente da antiche rovine probabilmente di una piscina o conserva d’acqua”. Riferì inoltre di aver venduto nel 1891, presso il 14°Km della ferrovia, un fabbricato o un fondamento di opera a sacco di antico edificio, addossato alla rupe.
    E’ detto in una nota esplicativa: “Di qui egli ascese la collina su cui la tenuta di Settebagni. In essa verso il casale moderno (nel qual non trovò che una base marmoreo di pilastro incastrata in un muro moderno), egli scorse una bellissima grotta o bagno sotterraneo, con lucernario quadrato. Quantunque fosse ingombra di terra, egli vi entrò e vi ammirò un arco a tutto sesto di opera quadrata in pietra fidenata e due grossi pilastri di buon laterizio con intonaco di stucco. All’esterno, la parte dell’edificio scampata alla distruzione misurava m.16 di lunghezza…” Probabilmente questo stesso edificio (antico pozzo quadrato, rivestito di opera reticolata) fu notato anche dall’archeologo britannico Tommaso Ashby, che lo indica come una delle sette aperture prodottesi nella volta di un cunicolo, tagliato attraverso il tufo nell’epoca romana per dare scolo alle acque di una valle, le quali uscivano nel Tevere a circa m.700 a sud della stazione ferrroviaria di Settebagni. Da queste sette aperture trarrebbe origine il nome della tenuta. Sempre a proposito della denominazione, Lorenzo e Stefania Quilici, nel volume “Crustumerium” del quale sono autori, riferiscono che lo studioso E. Martinori (“Via Salaria”, Roma 1931) “attribuisce l’origine del toponimo di Sette Bagni a Septem pagi”, osservando inoltre: “Il numero Sette ricordato dal toponimo nan ha di necessita relazione con fatti reali, essendo un numero di origine magica e di per se avente un valore concettualmente generico (cfr. nel territorio romano nomi come quelli di Settebassi, Settecamini, Settefrati, Settevene…)”.
    Il casale e la tenuta passarono spesso, sebbene parzialmente, da un proprietario all’altro. Tra i vari nomi troviamo quelli di Cecco fu Nicolò del rione Pigna nel 1371, di Poncello fu Masciolo Marchegiani (1427), Giovanni e Giacomo Marchegiani (1430), Nicolò de Bondiis (1458), Jacopo dc Militibus de Cavalieri (1465), Ospedale S.Spirito (1467), Evangelista De Rubeis (1492), Giovanni Domenico De Cupis (1557), Capitolo la Eeranense (1579), Gioacchino Diotallevi (1790), Giuseppe Vaccari (1803), Leopoldo Torlonia (inizio del ‘900).

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    Negli immediati dintorni di Settebagni, uno dei luoghi storicamente più significativi era Crustumerium, una vera e propria città dalle origini antichissime e presso la quale sarebbe avvenuto il leggendario ” ratto delle sabine “.
    Era situata tra il 16° ed il 18° Km della Salaria, quasi all’altezza dell’attuale raccordo per l’autostrada. Plutarco, storico e moralista greco, definì Crustumerium città sabina, mentre Dionigi d’Alicarnasso, anch’egli storico greco, la definì colonia di Alba, contemporanea della vicina Fidene. Altri scrittori la ritennero ancora più antica: Cassio Emina, analista romano noto nel 146 avanti Cristo, ne assegnò la fondazione ai Siculi; Virgilio l’annoverò tra le cinque grandi città latine che presero le armi contro Enea (le altre furono Antenne, Ardea, Atina e Tivoli); il poeta latino Silio Italico la chiamò “priscum Crustumium”, cioò antica Crustumerium.
    Come è stato accertato una decina d’anni fà dai citati Lorenzo e Stefania Quilici, Crustumerium possedeva una grande opera di sbarramento a difesa della città, un’opera che si fa risalire ad epoca arcaica, circa VII secolo avanti Cristo. Nei primi anni del IV secolo a.C., nei pressi di Crustumerium si combattè la battaglia dell’allia (antico fiume del Lazio, ora fosso della Marcigliana), rimasta famosa perchè, dopo averla vinta, i Galli guidati da Brenno si aprirono le porte per Roma, con le conseguenza negative (“Guai ai vinti!”) che ci racconta la storia. In seguito Crustumerium passò sotto il dominio dei romani, che in varie riprese la conquistarono. Ma la città, come affermò Plinio il vecchio, appariva ormai “spenta”. Il territorio circostante (è annotato nell’Enciclopedia popolare illustrata) “era celebre per la sua fecondità, constando il tratto di pianura sulla sponda sinistra del Tevere di pingui ed ubertosi campi, che sembra producessero tanta abbondanza di grano, da far si che in tempi remotissimi i Crustumeri somministrassero provviste a Roma. Anche Virgilio parla di questo territorio come “abbondante di peri le cui frutta distinguevansi dalle altre di simile specie per essere rosse soltanto da un lato” particolarità che tutt’oggi conservano…
    Tuttora esistente è la zona della Marcigliana, così chiamata dal “fundus Marcellianus”,cioè appartenuta alla famiglia romana dei Marcelli. Anche qui, come pure nelle vicinanze, sono stati rinvenuti numerosi reperti d’epoca romana. Notevoli i resti d’un castello medioevale, poi ricostruito nel XVI o nel XVII secolo.
    Poco distante Castel Giubileo, località in contiunua espansione, situata ove era l’antica Fidene; sorse subito dopo il primo Anno Santo del 1300 con parte delle offerte lasciate dai pellegrini e che Papa Bonifacio vi destinò all’acquisto della tenuta.
    Secondo altre fonti, invece, la denominazione deriverebbe da un’antica famiglia romana, il cui cognome era appunto Giubileo. Il vecchio castello (gli ultimi avanzi sono da tempo scomparsi) era detto nel passato monte S.Angelo e apparteneva al monastero del Ss. Ciriaco e Nicolò in via Lata. In varie epoche vi abitarono Paolo Orsini e Francesco Cenci, padre quest’ultimo dell’infelice Beatrice. Nel 1417 vi si accamparono i soldati di Braccio da Montone.
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    Sulla scomparsa di Fidene, sostituita da Castel Giubileo, si può aggiungere che fu un’illustre città sabina quasi accoccolata su una ripida altura prospicente il Tevere; venne conquistata da Romolo nel 438 avanti Cristo.
    Tra le notizie giunte fino a noi, lo spaventoso crollo di un anfiteatro di legno avvenuto ai tempi di Tiberio(14-37), che causò la morte di un gran numero di persone accorse ad ammirare lo spettacolo circense offerto da attori e mimi.
    C’è anche da dire che Fidene era la prima stazione della Salaria, cioè il luogo dove i postiglioni sostavano per consentire un breve ristoro a viaggiatori e per effettuare il cambio dei cavalli.

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    Due parole, per concludere le note storiche e di curiosità anche sulla Salaria, una delle più antiche strade consolari di Roma: prese tale nome perchè in prevalenza usata dai sabini e dai romani, fin da tempi lontanissimi, per procurarsi il sale sulle rive dell’adriatico.
    La strada era quindi molto frequentata e, dopo aver toccato Rieti, Antrodoco ed altri centri, raggiungeva e raggiunge ancora Ascoli Piceno.

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