Salone

Casale di Salone 

Situata su una collinetta a sinistra della Via Collatina al km. 10,500, la tenuta di Salone formava insieme a Saloncello e Saloncino un vasto tenumento del Capitolo Liberiano corrispondente all’antico ager Lucullianus ricordato da Frontino ove erano le sorgenti dell’Acqua Vergine, che fu poi trasportata dal Urbano VIII (1623-1644) nell’attuale luogo di “acqua di Trevi” e immortalata dalla gran fontana di Nicolò Salvi.

Si ha notizia per la prima volta del “Casale de Salone cum Castello suo” nella bolla di Gregorio VII del 1074 come proprietà del Monastero di S. Paolo. Passato alla Basilica di S.Maria Maggiore nel 1123 e dato in enfiteusi agli Arcioni, venne da questi restituito nel1176 adetta Basilica, da ciò si deduce che la torre fu costruita dagli stessi Arcioni. Il castellario col monte è ricordato ancora nella bolla di Celestino III del1192 afavore di S.Maria Maggiore e nel 1198 è la conferma da parte di Bonifacio VIII della concessione del “Casale Salonis” e di altri beni al capitolo di S.Maria Maggiore cui rimase per vari secoli anche se tra controversie per il suo possesso.

Agli inizi del XVI secolo la tenuta divenne proprietà di Agostino Trivulzio,  promosso cardinale nel 1517 da Leone X, che tra il 1523-25 vi fabbricò una fastosa villa  come suo ritiro, ricordata dalla lapide tra due stemmi Trivulzio in travertino posta nella facciata tergale.

Dalla descrizione del Vasari era un grandissimo casamento. Autore della fabbrica fu Baldassarre Peruzzi che prestò vari servigi al Trivulzio. La villetta fu saccheggiata nel 1527  fu abbandonata dopo la morte del cardinale avvenuta nel 1548 ed in seguito ridotta a casale campestre. Nel 1544 la tenuta fu affittata dai canonici di S.Maria Maggiore a Costanza Farnese Sforza di Santafiora ed in seguito ritornò tra i beni di questa basilica.

Dopo il 1870 passò allo Stato come utile dominio, restando la proprietà al Capitolo S. Maria Maggiore. Acquistata da Vulpiani, venne da questi venduta alla fine dell’Ottocento al Conte Gallina, passò poi alla contessa Badini ed oggi appartiene a proprietà Borromeo.

Nella carta del Della Volpaia (1547), ha l’aspetto di un palazzo finito e munito di torre; nella zona sono disegnati anche una torre e dei ruderi. La torretta sovrastante le sorgenti dell’Acqua Vergine sono ricordata dal Nibby come “edificata forse sulle rovine dell’edicola eretta in memoria dell’apparizione, o comparsa della verginella ai soldati, che cercavano l’acqua, e che diede origine al nome dell’acqua medesima”, ed oggi è in stato di abbandono; ha pianta quadrata in tufo con scaglie di marmo e mattoni, finestre rettangolari con stipiti marmorei, mozzata ma ricoperta da tetto. Essa doveva servire, oltre che come vedetta della Via Collatina anche come posto di guardia del vicino “castellarium” e delle sorgenti acquifere.

Più fedele testimonianza dell’antica villa è la mappa catastale del “Casale detto Solone” (Archivio S.Maria Maggiore) del 1558 ove due edifici, indicati come “casale vecchio” e “casale nuovo”, sono disposti parallelamente in posizione corrispondente all’attuale. La torre, probabilmente distrutta durante il periodo di abbandono della dimora, doveva servire da belvedere o luogo di guardia e difesa. Il progetto del Peruzzi prevedeva un fabbricato con ambiente centrale e portico aperto verso il giardino e una fila di pilastri o pergolato verso il “fiume di Salone”; il giardino a ellissi concentriche con via interna, è interrotto sull’esterno alberato da quattro absidiole diagonali che creano due immaginari assi obliqui, moltiplicando i punti di vista e dilatando lo spazio al fine di una felice integrazione tra architettura e natura, tipica dello stile peruzziano e già individuabile nella loggia della Farnesina (1506-16). Inoltre non è improbabile che la forma ovata del giardino, ispirata agli antichi anfiteatri quali luoghi di giochi, fosse predisposta per consentire “naumachie” con l’acqua del vicino Salone. Sebbene realizzato con inversione d’orientamento rispetto al progetto iniziale, il complesso mantiene l’orientamento simmetrico di due fabbricati, uno ad uso signorile, l’altro per i servizi e le scuderie (anch’esso probabile progetto del Peruzzi), contrapposti su cortile, interno quadrangolare con muri di chiusura sui lati ove si aprono gli accessi alla campagna. Le facciate sono scandite da un unico ordine di arcate su lesene che chiudono i due piani, ricollegabili all’ambiente Raffaellesco, e tuttora visibili, nella volta dell’androne d’ingresso al cortile, sono gli affreschi con scene circensi, naumachie e paesaggi, alternati a riquadri in stucco con fregi e deità marine dominati al centro dallo stemma cardinalizio del Trivulzio a tre bande d’oro su campo azzurro.

Benché degradato da vari interventi il complesso mantiene l’aspetto di grande villa fortificata con cortile interno dell’Agro Romano, sul tipo della Magliana e di Lunghezza.

Tenuta di Salone

A questa immensa tenuta spettano da tempi remotissimi due appezzamenti di terra situati a sud della via Prenestina ad est ed ovest del punto detto “le quattro strade”.

Di proprietà della Basilica di S. Maria Maggiore già dal secolo XII lo rimase fino alle leggi del 1873 che disposero della tenuta per enfiteusi a favore di Domenico Vulpiani.

Nel 1906 si sostituì ai Vulpiani la ditta Brandini, Niccoli & C., che nel 1917 vendette tutta la tenuta a Enea Gallina di Milano.

Su 1187 ettari, 246 furono venduti a Antonio Gianni tra i quali la parte  a sud della Prenestina tra le Quattro Strade e l’Anulare.

Altri 219 ettari, comprendenti la pedica di Salone ad est delle Quattro Strade, furono acquistati nel 1925 da Pietro Talenti, che nel 1966 vendette detta pedica immediatamente lottizzata da Giacinto Calfapietra.