Selva Candida

Selva Candida è un’area urbana del XIX Municipio di Roma Capitale. Si estende sulla zona Z.XLVIII Casalotti. Si estende sul suburbio S.X Trionfale

È situata a nord-ovest della capitale all’esterno del Grande Raccordo Anulare, a nord della zona di Selva Nera.

Prende il nome dal luogo del martirio delle sante Rufina e Seconda.

Storia

Le sorelle Rufina e Seconda, figlie del senatore Asterio e di Aurelia, furono promesse in sposa rispettivamente ad Armentario e Verino. Questi, però, apostatarono il cristianesimo in seguito alla persecuzione di Valeriano e di Gallieno e chiesero alle due sorelle di abiurare anche loro. Inorridite da tale richiesta, fuggirono in Toscana, ma vennero fatte inseguire dal conte Archesilao, che le fermò al 14º miglio della via Flaminia e le consegnò al praefectus urbis Gaio Giunio Donato. Sottoposte a diverse pressioni, interrogatori e torture, le sorelle si rifiutarono sempre di apostatare, venendo così condannate a morte dal prefetto.

Riportate in prigione, nella cella fu bruciato del letame per farle soffocare dal fumo puzzolente, ma dal fuoco comparve “splendida luce” e si sentì un “soave odore”.
Indispettito, il prefetto le fece immergere in acqua bollente, dal quale però, uscirono illese. Quindi ordinò di gettarle nel Tevere dopo averle legate con delle grosse pietre al collo, ma un angelo le prese, le liberò e le condusse a riva.
Allora Giunio le consegnò di nuovo ad Archesilao perché, a suo arbitrio, le facesse morire o le liberasse. Il conte le condusse in una selva folta e buia, chiamata Selva Nera, nel fondo di Busso o Buxo o Bucea o Boccea, al 10º miglio della via Cornelia, dove decapitò Rufina e bastonò a morte Seconda, lasciando i corpi, come d’uso all’epoca, esposti alle bestie. Le sorelle comparvero in visione alla matrona romana Plautilla, invitandola a convertirsi e a seppellire i loro corpi. Trovati i corpi incorrotti, li seppellì onorevolmente.

Per i miracoli alle due sorelle, la loro venerazione da parte dei fedeli e del successivo martirio subito anche dai Santi Marcellino e Pietro nello stesso luogo, questo fu denominato Silva Candida’. Nel 336 papa Giulio I vi fece costruire una basilica a loro dedicata e vi fece riporre i corpi. La chiesa fu terminata da papa Damaso I nel 367.

Attorno alla Basilica delle Sante Rufina e Seconda o di Selva Candida si formò una vera e propria città poi distrutta. Dopo le vicissitudini medioevali con le devastazioni saracene, dei pirati e l’abbandono delle terre, nel 1153 il Cardinale Conrado, futuro Papa Anastasio IV, rinvenne sotto l’altare della Basilica restaurata i resti delle due Martiri, che fece trasportare nel battistero lateranense dove fu loro dedicata una Cappella.
L’ubicazione dell’antica Cattedrale, pur con qualche difficoltà, è da individuare sul colle della Porcareccina, ove vi è una piccola Cappella restaurata e custodita gelosamente dalla famiglia Marsicola.

Selva Nera

Selva Nera è il nome del piano di zona B16 del XIX Municipio di Roma Capitale. Si estende sulla zona Z.XLVIII Casalotti.

È situata a nord-ovest della capitale all’esterno del Grande Raccordo Anulare, a sud della zona di Selva Candida.

Anticamente era presente nel luogo una fitta boscaglia, talmente buia da darle il nome di Selva Nera. Qui furono martirizzate le sante Rufina e Seconda.

Valle Aurelia

Valle Aurelia è il nome di un’area urbana situata nella zona nord-ovest di Roma, poco distante dal
Vaticano e adiacente a via Baldo degli Ubaldi. Si trova nel territorio di competenza del Municipio XVIII. È chiamata da sempre anche con il pittoresco nome “Valle dell’Inferno” a causa delle fornaci (ormai dismesse) che un tempo riempivano di fumo la vallata.

Storia

Le fornaci erano utilizzate per la fabbricazione di mattoni,
laterizi, embrici e campigiane. Per parecchi decenni la Fornace Veschi e le altre diciassette presenti nella zona hanno modellato milioni e milioni di mattoni sfruttando l’argilla estratta dalle cave dei Monti di Creta, in funzione fin dall’antichità. Con il passare del tempo, i prati tutt’intorno sono diventati quartieri in un’esplosione edificatoria innescata parossisticamente nell’ultimo dopoguerra. La Valle oggi ha un aspetto caratterizzato da palazzoni popolari da dodici piani che fanno ombra ai resti industriali. Attualmente sono rimaste in piedi solamente due fornaci, sepolte dalle erbacce; in particolare
il comignolo della Fornace Veschi svetta nei pressi della vicina stazione metropolitana. La via principale del quartiere è via di Valle Aurelia, che si inoltra all’interno della vallata
all’ombra di Monte Ciocci, spingendosi vicino ai confini con il quartiere Balduina e il Parco del Pineto. Nel quartiere è
ancora presente il borgo costituito dalle antiche case a due piani (per lo più ormai diroccate) appartenute ai “fornaciari” (ossia a coloro che lavoravano presso le fornaci) dislocate tra strade con nomi caratteristici riecheggianti le attività di un tempo. In questo borghetto venne costruita nel 1917 la chiesa di Santa Maria della Provvidenza, ma già dal 1905 Don Luigi Guanella portò il suo apostolato tra i fornaciari.

Negli anni venti del secolo scorso si trovavano nella Valle circa un centinaio di famiglie. In pochi anni la popolazione si incrementò: negli anni cinquanta, alla chiusura delle fornaci
(l’ultima nel 1960), risiedevano nella zona oltre duemila persone, poi ridottesi a meno di mille negli anni settanta fino alla storica estate del 1981, quando la ruspa comunale rase al suolo la gran parte del tessuto abitativo della parte più antica del quartiere, fatta eccezione per la vecchia chiesetta di Santa Maria della Provvidenza e una parte del sopracitato borghetto ad essa adiacente.

Il 10 dicembre 1962 venne istituita la parrocchia di San Giuseppe Cottolengo. A Valle Aurelia è presente una biblioteca comunale.

Attualmente è previsto un piano di riqualificazione del quartiere che prevede il recupero della Fornace Veschi e la costruzione di un centro commerciale.

Aurelio

Aurelio è il nome del tredicesimo quartiere di Roma, indicato con Q.XIII.

Aurelio è il nome del nono suburbio di Roma, indicato con S.IX, ed è omonimo del quartiere Q.XIII.

Si trova nell’area ovest della città, a ridosso delle Mura Vaticane e delle Mura Aureliane.

Storia

L’Aurelio è fra i primi 15 quartieri nati nel 1911, ufficialmente istituiti nel 1921 e prende il nome dalla via Aurelia.

Siti archeologici e monumenti

Borgo delle Fornaci

Il nome deriva dalla presenza di numerose “fornaci” per laterizi da costruzione qui impiantate in considerazione del particolare terreno argilloso. Esse furono intensamente sfruttate già nel periodo della Roma Imperiale. Anche Teodorico e Belisario se ne servirono per i restauri alle Mura Aureliane-Onoriane.

Con i papi rinascimentali, dopo Avignone, riprese in pieno il loro utilizzo raggiungendo il massimo sviluppo con l’apertura del cantiere per la costruzione della Basilica di S. Pietro.

Le “fornaci” hanno continuato a funzionare fino all’inizio degli anni ’60 per poi cessare definitivamente la loro attività in seguito alla massiccia e dilagante urbanizzazione del territorio adiacente.

Alla metà del secolo XVI il territorio occupato dalle fornaci prese il nome da questa attività assumendo il toponimo di “Vallis Fornacum” (Valle delle Fornaci).

Tra il 1570 e il 1580 nacque il vero borgo con la costruzione disposta in modo ordinato. Le fornaci, separate tra di loro da muri di cinta, si allineavano lungo la strada diretta a “Porta de’ Cavalli Leggeri” e, risalendo il declivio retrostante, occupavano tutto lo spazio disponibile per arrestarsi davanti alle cave di creta.

Sentieri campestri assicuravano i collegamenti all’interno del borgo.

Nei primi decenni del XVIII secolo l’asse stradale di via delle fornaci, l’antica “Via Posterula“,era delimitato da un alto muro di cinta, nel quale si aprivano gli accessi alle varie proprietà, simile a quello che ancora oggi delimita il tratto più antico e meglio conservato.

La sopravvivenza del borgo è accertata fino ai primi del ‘900 quando, con la trasformazione in quartiere urbano, perderà purtroppo i suoi connotati di sobborgo industriale. Attualmente, in fondo a via della Cava Aurelia, troviamo l’ultima fornace della zona (la fornace Aurelia), abbandonata, ma ancora in discrete condizioni.

Il collegamento tra borgo e la Fabbrica di San Pietro avveniva attraverso due porte delle mura vaticane: Porta Cavalleggeri e Porta Fabbrica.

Chiesa di Santa Maria delle Grazie alle Fornaci

Il monumento più imponente del territorio intorno a Porta Cavalleggeri è la chiesa di S. Maria delle Grazie alle Fornaci.

Collocata al centro del quartiere la sua costruzione iniziò nel 1694 grazie all’abbondanza delle offerte e l’appoggio del Cardinale Carpegna.

Presenta una facciata realizzata nel 1727 sotto il pontificato di Benedetto XIII, forse su disegno di Filippo Raguzzini, scandita da lesene, articolate in due ordini sovrapposti, separati tra loro da un cornicione aggettante e conclusa da un coronamento mistilineo. E’ possibile notare il riferimento stilistico con la facciata dell’oratorio dei Filippini del Borromini senza tuttavia arrivare alla tensione strutturale tangibile nell’edificio borrominiano. Il rilievo sul portale di ingresso, realizzato in stucco, materiale molto usato nel ‘700, rappresentava la “liberazione degli schiavi”. Il cartiglio che racchiude la scena è avvolto nel manto e sormontato dalla corona della Vergine sotto la cui protezione è posta la chiesa.

Lo schema planimetrico adottato è a croce greca con quattro cappelle inserite nell’incrocio dei bracci. Questa scelta nasce e dalla volontà di rifarsi alla tradizione architettonica romana, in particolar modo del cinquecento, e dalla particolare collocazione dell’edificio, costruito sopra un rilievo del terreno, e dalla notevole dimensione dello stesso.

L’assetto della pianta centrale è però in contraddizione sia con la facciata esterna, la quale, con il suo alto prospetto, nasconde la volumetria complessiva della chiesa, sia con l’interno per la mancata costruzione della cupola, mai realizzata a causa di difficoltà economiche e architettoniche. Infatti, la notevole profondità dell’abside e la disposizione delle cappelle, collegate tra loro, suggeriscono già l’idea di una divisione in navate dello spazio. La presenza, infine, della sagrestia e del campanile, eretto nel XX secolo, accentuano la sensazione di longitudinalità dell’assetto planimetrico.

Nell’interno della chiesa, sull’altare maggiore, è custodita l’immagine della Vergine commissionata al pittore di Liegi Gilles Hallet (Egidio Alet 1620/1694). La tela rappresenta la Madonna con il bambino benedicente che stringe nella mano sinistra il globo. La convenzionalità del soggetto, dipinto a scopo devozionale, è compensata dallo studio cromatico e dalla riuscita rappresentazione del bambino.

Accanto alla facciata della chiesa sorge il convento costruito tra il 1721 e il 1725 per ospitare il Collegio Apostolico per le Missioni. Il portale, di chiara ispirazione borrominiana, è collegato al livello stradale da una scalinata a doppia rampa simile a quella costruita ai piedi della chiesa.

Chiesa della Madonna del Riposo

Le prime notizie della chiesa si hanno dal diario di Antonio Pietro del Schiavo, cronista romano del primo ‘400, dove viene citata la cappella di S. Maria del Riposo. E’ probabile, comunque, che assai prima della nascita della cappella, ci sia stata un’edicola con l’immagine della Madonna posta forse in quel luogo in memoria di un antico cimitero sacro, divenuta poi un’immagine miracolosa per le molte grazie esaudite ai viandanti ed ai pellegrini che qui sostavano per rinfrancarsi e dire una preghiera prima di proseguire il proprio cammino.

Fu allora che si volle costruire la cappella dedicata alla Madonna del Riposo. Nella seconda metà del 500 i Papi Pio IV e Pio V provvidero al restauro e all’ampliamento della costruzione originaria (avancorpo, secondo locale, per la sagrestia e, forse, le due stanze sovrastanti la sagrestia). Papa Pio V fece adattare a proprio uso un casale che sorgeva alle spalle della chiesa, fatto demolire, in seguito ad una intensiva urbanizzazione, nel 1953, del quale ci rimane soltanto lo splendido potale bugnato di travertino visibile sul lato sinistro.

All’interno della piccola chiesa troviamo, sopra l’altare, l’affresco della Madonna col Bambino, probabilmente di epoca rinascimentale, mentre le pitture di contorno, compresi il trono e gli angeli che fanno da sfondo, sono sicuramente di epoca successiva. Gli angeli ai piedi delle nicchie possono essere opera di allievi di bottega manieristica.

La volta a cupola sopra l’altare presenta un affresco di stile sei-settecentesco raffigurante l’incoronazione della vergine.

Non è possibile invece datare il paliotto dell’altare realizzato con marmi pregiati con agli angoli i gigli Farnese.

Villa Carpegna

Costruita forse su di una preesistente palazzina cinquecentesca, sorge su una antica area cimiteriale romana, desumibile dai numerosi reperti che si potevano ancora ammirare all’inizio del XX secolo: sarcofagi vari, un’urna cineraria, una lunga iscrizione dedicata ad un eques romano, capitelli, colonne e bassorilievi.

I Carpegna entrarono in possesso della villa alla fine del ‘600 quando, sotto il pontificato di Clemente X, il Cardinale Gasparre Carpegna fu nominato Vicario del Papa.

La villa fu destinata dal Cardinale a contenere le sue numerose collezione artistiche e, in special modo, quella numismatica ceduta poi, alla sua morte, ai musei vaticani.

La Famiglia Carpegna fu proprietaria della villa fino alla fine del XIX secolo. Fu poi acquistata da un certo Achille Piatti che la vendette successivamente alla baronessa Caterina Scheynes la quale, a sua volta, la lasciò in eredità alla nipote baronessa Emma Sofia Stocher.

La baronessa Stocher nel 1941 vendette la proprietà alla società immobiliare dei Beni Stabili, all’istituto dei Fratelli Ospitalieri (1955), al Pontificio Collegio Spagnolo (1956) e alla Sacra Congregazione di Propaganda Fide (1961).

A loro volta i Beni Stabili hanno venduto la loro proprietà alla Domus Mariae che ha lottizzato 8 dei 15 ettari acquistati. La Domus Mariae lascerà l’edificio disabitato e il parco in completo abbandono.

Dall’1 Aprile 1981 il complesso è divenuto parco pubblico. L’attuale proprietario è il Comune di Roma.

Dalla piazza omonima si accede alla villa attraverso un portale, fatto erigere dal Cardinale Carpegna, decorato a bugnato di travertino avente sulla sommità lo stemma dei Carpegna e ai lati due finestroni decorati anch’essi di travertino e chiusi da una grata in ferro battuto. La parte interna è decorata con spuma di travertino, ghiaia, tufelli e stucco.

Percorrendo poi uno stretto viale, fiancheggiato da pini secolari e siepi di alloro, si arriva ad uno spiazzo semicircolare fronteggiante il lato est della Villa.

L’edificio ci appare privo di unitarietà risentendo sicuramente delle trasformazioni successive ad esso apportate.

Il Cardinale Carpegna ampliò la parte abitativa già esistente, composta da un corpo centrale ed un torretta – elemento caratteristico delle Ville Laziali – costruendo due nuove ali sormontate entrambe da torrette ed emulando in questo modo i modelli delle ville Medici e Borghese.

La parte certamente più interessante è costituita dal salone principale dell’edificio decorato con affreschi in stile pompeiano raffiguranti soggetti allegorici, colonne decorate a finto marmo, con basi, capitelli e frammenti di architravi, arricchiti con festoni sorretti da putti. Le colonne, poste sulle pareti laterali in prossimità degli accessi al piano superiore, sono collegate tra loro da balaustre dipinte e disposte, secondo uno schema modulare, ad intervalli regolari. Sulle due rimanenti facciate, ai lati delle porte-finestre, troviamo le stesse colonne, ma più numerose, a creare una prospettiva di cui le stesse porte-finestre costituiscono i punti di fuga. Il salone in questo modo viene movimentato dalle decorazioni che troviamo anche sugli stipiti delle porte-finestre, anch’esse dipinte in finto marmo.

Negli intercolunni del salone della Villa compaiono paesaggi con figurine di soldati, animali, file di carri, di minuscole dimensioni dipinti a tempera.

Partendo dalla parte posteriore dell’edificio, lungo il viale principale, si trova la prima fontana. Di qui parte una cordonata a doppia rampa di mattoni a spina e brecce battute che scende verso la seconda fontana per poi risalire fino al ninfeo. Il ninfeo reca sulla volta lo stemma dei Carpegna in paste vitree bianche e azzurre: le pareti interne sono decorate con mosaici policromi di sassi e lapilli. Il terrazzamento nel retro della Villa sfrutta la naturale pendenza del terreno per creare effetti di movimento e di colore prendendo come modello l’analoga disposizione a giardino del Casino di Pio V.

Recentemente la villa è stata restaurata ed il casino di caccia è stato destinato a spazio museale

 

 

 

Pantan Monastero

Pantan Monastero è una frazione di Roma Capitale, situata a cavallo di via di Casal Selce, sulle zone Z.XLV Castel di Guido sul lato ovest e Z.XLVIII Casalotti sul lato est, nel territorio del Municipio Roma XVIII.

La zona intorno alla frazione è detta anche Casal Selce (zona “O” 66), il cui nome deriva da una antica cava di selce ivi presente.

Casal Selce

Oltrepassata l’area di Casalotti troviamo la zona denominata Casal Selce per via dell’abbondanza di basalti, comunemente detti selci, nel terreno. Qui anticamente sono registrati i Fondi Gratinianus e Rosarius, il nome di quest’ultimo dovuto al ricordo della antica coltivazione delle rose nella regione.

Nata come zona rurale, Casal Selce è oggi caratterizzata da una forte espansione urbanistica residenziale, soprattutto sul lato sinistro della strada, prima disabitato o quasi.

Borgo Monastero

Borgo Colle Monastero è un bellissimo comprensorio che sorge indisturbato su di una verde ed appartata collina, giusto nel mezzo tra la Via Aurelia e la Via Boccea.
Al suo interno vi sono quasi trecento ville ed appartamenti, disseminati su di un territorio di 30 ettari interamente recintati. Enormi spazi verdi e strade collegano tra loro i sette borghi che formano il comprensorio, un vero e proprio piccolo paesino in cui vivono più di mille abitanti.
All’interno vi sono anche comodissimi servizi quali un piccolo centro estetico, un dentista ed una scuola di lingue e subito fuori, ma sempre facente parte della struttura, si trova uno splendido asilo nido. Insomma un vero e proprio paradiso subito alle porte di Roma, ad un passo dal mare e dall’aeroporto di Fiumicino, un luogo dove decine di ragazzi di ogni età trascorrono le loro giornate tra partite di pallone, corse in bicicletta e pattini, piscina, lezioni di inglese e quant’altro, tutto in estrema sicurezza disponendo di un servizio si sorveglianza privata 24h.
A far da cornice al comprensorio vi sono tutt’intorno delle splendide colline verdi su cui, passeggiando, si possono incrociare greggi di pecore, cavalli ed addirittura mucche al pascolo.

Boccea

Prende il nome dall’antico fondo di Busso o Buxo o Bucea, da cui Boccea, al 10° miglio della via Cornelia.

Il Castello di Boccea

Oltrepassato il km.9, la via Boccea ricalca quasi interamente il percorso dell’antica via Cornelia sino ad arrivare al km. 14.500 , dove, sulla destra, si trovano i resti dell’antico castello costruito tra i secoli IX ed XII. Molto probabilmente il castello ospitò i coloni di Selva Candida che vi si rifugiarono in quanto ben fortificato e quindi sicuro.

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