Archivi categoria: Municipio X

altri X

Appio Statuario

Il nome Statuario è molto antico e la sua prima comparsa si trova in un atto di compravendita del 1393. Per alcuni esso deriva dal cospicuo numero di statue di marmo ritrovate nella prospiciente Villa dei Quintili, per altri dal gran numero di scalpellini e scultori che abitavano nella zona. Nella prima metà del XX secolo la zona, allora campagna, era di proprietà dell’ing. Caroni, dell’ing. Newton e dell’opera del protettorato di San Giuseppe. Nel 1940 vi furono costruite due borgate urbano-rurali chiamate Tempio della Salute e Roma Vecchia (nella zona dell’odierno Parco degli Acquedotti). Nel 1941 sorse una borgata privata, detta Caroni dal nome del proprietario, proprio nell’area dell’attuale quartiere. Nel 1948 cominciò la sistemazione urbanistica della zona con la realizzazione di strade e scuole.      La viabilità attuale è rimasta essenzialmente quella della borgata agricola, con vie strette percorribili solamente a senso unico dalle autovetture, spesso senza marciapiedi.
Negli anni ’70 e ’80 il quartiere si è sviluppato come zona periferiche residenziale.
Negli ultimi anni l’evento più rilevante nella vita del quartiere è stata la realizzazione di un grande complesso alberghiero (originariamente previsto, ed autorizzato, per il Giubileo del 2000, ma completato solo negli ultimi mesi….).

Ponte Linari

L’area del Piano Particolareggiato zona “O” n.35 “Ponte Linari – Campo Romano” ricade nel territorio del X Municipio, fuori dal G.R.A., nel settore sud-est della città, caratterizzata da otto comparti tutti compresi tra la Via Anagnina e la Via Tuscolana.
La borgata ha una superficie complessiva, pari a 149,38 ettari, per una densità territoriale pari a 105,54 ab/ha.

Centrone

L’area del Piano Particolareggiato zona “O” n.36 “Centrone” ricade nel territorio del X Municipio ed è posta ai due lati del tratto terminale della Via Anagnina.
La borgata ha una superficie complessiva, pari a 129,66ettari, per una densità territoriale pari a 93,9 ab/ha.

Vermicino

L’area del Piano Particolareggiato zona “O” n.37 “Vermicino” ricade nel territorio del X Municipio, nel quadrante sud-est della città, all’esterno del G.R.A., lungo la Via Tuscolana, al confine con il Comune di Frascati.
La borgata ha una superficie complessiva, pari a 92,53 ettari, per una densità territoriale pari a 72,74 ab/ha.

Cinecittà

Nella notte del 26 settembre 1935 erano andati distrutti in un misterioso incendio gli studi della casa di produzione Cines di via Veio a Roma, nel quartiere di San Giovanni.

L’occasione era perfetta: fu individuata lungola via Tuscolana, in piena campagna romana, un’area di circa 500.000 metri quadrati per la realizzazione della nuova città del cinema.

La zona, una volta latifondo proprietà dell’aristocrazia romana, era nota come Località Cecafumo, in quanto adibita allo smaltimento per combustione dei rifiuti della Capitale.

I lavori ebbero inizio il 26 gennaio 1936 con la posa della prima pietra e dopo soli quindici mesi, il 28 aprile 1937, avvenne l’inaugurazione dei nuovi stabilimenti del Quadraro.

Negli ultimi due anni di guerra, gli stabilimenti di Cinecittà vennero prima occupati dai nazisti, che li utilizzarono come luogo di concentramento di civili rastrellati nei dintorni di Roma, poi, dopo la liberazione della città, come ricovero di sfollati.

Nel secondo Dopoguerra, l’espansione urbanistica caratterizzò un vero boom edilizio locale. Con l’avvento degli stabilimenti si progettava da allora un quartiere abitativo caratterizzato dalla basilica di San Giovanni Bosco, una rivisitazione stile Littorio o “Novecento” di San Pietro in Vaticano, con annessi l’enorme oratorio e l’omonima piazza, tutti realizzati nel 1957.

Avvalendosi dell’asse tramviario che collegavala Stazione Termini con Frascati (limitato poi a Piazza Cinecittà, davanti ai laboratori dell’Istituto Luce), l’avanzata edilizia degli anni Cinquanta e Sessanta si spinse oltre il popolare quartiere Quadraro, edificando una mostruosa distesa di casamenti di sette – otto piani.

Sfruttando parossisticamente lo spazio edificabile, molte zone sono sprovviste di spazi verdi, di parcheggi ed autorimesse condominiali. Viceversa sono percorse da ridotte sedi stradali a senso unico. Il quartiere risente oramai da tempo di seri problemi di viabilità e di sosta.

Nota la via parallela alla Tuscolana, via Flavio Stilicone, come la strada a più alta densità popolativa d’Europa. Il quartiere di Cinecittà conta circa 400.000 abitanti.

Nel 1978 l’Istituto Luce a Piazza Cinecittà viene ceduto al Comune di Roma e viene adibito a sede amministrativa della X Circoscrizione, oggi detta X Municipio.

L’inaugurazione della Linea “A” della Metropolitana, il 16 febbraio 1980, ha permesso il collegamento veloce con il centro della Capitale ed al contempo ha favorito lo sviluppo del tratto della Tuscolana come via commerciale, principalmente nel settore dell’abbigliamento e calzature.

I lavori per la realizzazione della linea sotterranea si svolsero non senza problemi e polemiche, per i tempi irragionevolmente lunghi (circa vent’anni) ed il disagio apportato dalla permanenza di cantieri.

L’apertura del servizio ha determinato lo sviluppo urbano nei dintorni degli studi, fino al Grande Raccordo Anulare e la Via Casilina, dapprima zona agricola incolta adibita al pascolo e la transumanza, erigendo il quartiere di Cinecittà Est, costruito con miglior criterio rispetto al centro abitativo principale.

Il quartiere, oltre ad ospitare il complesso degli stabilimenti cinematografici, è sede di molte aziende pubbliche e private e nel Marzo 1986 si ha l’inaugurazione del primo centro commerciale della capitale: “Cinecittà Due” e dell’annesso centro direzionale, costruito sul terreno del noto campo calcistico Bettini, bellissimo spazio verde di pini e larici annesso agli studi, cui gli abitanti del quartiere erano affezionati.

Cinecittà Est

Cinecittà Est è un’area urbana del X Municipio di Roma,
all’interno del Grande Raccordo Anulare. Si estende nella zona dell’Agro Romano Z.XV Torre Maura, corrispondente alla zona
urbanistica 10f (Osteria del Curato).

È delimitata a ovest dagli studi cinematografici di Cinecittà, a sud dalla via Tuscolana e dal nodo di scambio di Anagnina, a est dal Grande Raccordo Anulare, a nord dai terreni non edificati al confine con l’VIII Municipio.

Si è formata tra gli anni settanta e ottanta, con edifici privati discretamente dotati di verde pubblico. Oggi risulta composta da tre nuclei urbanistici: il primo e più consistente lungo l’asse di viale Ciamarra, il secondo dietro agli studi di Cinecittà (viale Vignali), il terzo vicino a via Tuscolana (via Giulioli).

È sede di numerosi uffici pubblici e privati come il Catasto di Roma, l’American Express, l’ANAS, l’Agenzia delle entrate
Roma 8, il Centro per l’Impiego di Roma Cinecittà. Vi sorgono le parrocchie dei Santi Gioacchino e Anna, di San Giuseppe
Moscati e di San Stanislao.

Recentemente è stato completato su viale Ciamarra il tratto che interessa il quartiere del “corridoio della mobilità ” Anagnina-Tor Vergata, con la corsia preferenziale per gli autobus e la riqualificazione del vecchio spartitraffico mediante la creazione di un parco lineare pavimentato e di una fontana all’incrocio con
viale Rizzieri.

Il quartiere è oggetto di un accordo di programma per edificare l’area libera verso la stazione Anagnina denominata “Quadrato”, mentre è in corso di pianificazione una delle centralità urbane previste dal nuovo Piano regolatore generale romano, quella di Torre Spaccata.

Torre di Mezzavia

La Tor di Mezzavia di Frascati (da non confondere con la Torre di Mezzavia d’Albano, sulla via Appia), sorge sul margine destro della Tuscolana, all’altezza del km 11,400, poco dopo il bivio con la via Anagnina (l’antica via Latina).

Storia

L’importanza della torre è data dalla sua particolare posizione a cavaliere delle due strade, entrambe molto sfruttate nel Medioevo. La denominazione di Tor di Mezzavia, è presumibilmente post-medioevale e indica la posizione intermedia lungo il percorso per Frascati.

Nel Medioevo la vasta tenuta in cui era compresa la torre appartenne nel XIII secolo alla famiglia Mardoni, cui spetta probabilmente la costruzione della torre.
Le notizie della famiglia dei Mardoni risalgono al 1140, quando un Pietro Mardoni è nominato in una bolla d’Innocenzo II del 1140, mentre un Andrea Mardone fu syndicus del senatore di Roma nel 1256, al tempo di Brancaleone degli Andalò. Alla fine del XII secolo il Casale quod dicitur Crypta de Mardonibus risulta di proprietà della famiglia Annibaldi (come risulta  da un atto nel 1296), mentre nel sec. XIV è delle monache di S. Lorenzo in Panisperna, proprietarie anche della vicina Torre dei  Ss. Quattro; da un elenco di casali dell’inizio del XVII secolo risulta che la torre era all’epoca ancora delle monache di S. Lorenzo.

La Torre di Mezzavia fu eretta nel XIII secolo sulle rovine di una villa suburbana di età imperiale (I-II sec. d.C), il cui resto più cospicuo è costituito da una cisterna  contraffortata, restaurata di recente, che fu reimpiegata nel Medioevo come abitazione.

Struttura

La torre, di forma quadrata, misura circa 7 metri di lato ed è alta circa 19 metri fino alla sommità del tetto moderno, che sostituisce il coronamento originario. La torre è in muratura a sacco con riempimento in spezzoni di selce, fino ad un’altezza di 3,6 metri. Tutta la parte superiore è in tufelli parallelepipedi di peperino, con alcuni inserti in laterizio e marmo.

Una scala moderna in pietra sul lato Nord-Ovest conduce agli ingressi del piano terra e del piano superiore, mentre subito al di sotto un’altra rampetta di scale scende in ambienti sotterranei, forse ricavati riutilizzando vani dell’edificio antico. La camera al piano terreno, in cui si apre una finestra moderna, è coperta da una volta a crociera, mentre i piani superiori sono impostati su armature lignee e presentano due ordini di finestre rettangolari con stipiti marmorei, alcune murate già in tempi antichi. Sono visibili anche feritoie a vari ordini di fori per le impalcature dei singoli piani.

La torre è posta al centro è racchiusa in un recinto antemurale in peperino, presumibilmente coevo alla torre (anche se rimaneggiato posteriormente) aperto sull’esterno tramite un arco probabilmente secentesco e un recente taglio del muro; all’interno, oltre la torre sono dislocati un cortile, una casupola (entrambi d’età moderna) e, a sud, un antico pozzo, oggi sepolto. Alto quasi 3 metri, il recinto presenta alla base dei canali di scolo e, a metà altezza, fori d’impalcatura che furono utilizzati anche per impostare un camminamento di ronda in legno.

Cisterna romana

La cisterna, probabilmente d’eta augustea o flavia, è posta a circa 50 m. dalla torre ed è la struttura più significativa, appartenente alla villa romana, rimasta visibile; è di forma rettangolare e ha un lato di circa 9 m. per 8 m. mentre sale in altezza per circa 6 m. Il vano interno misura invece circa 5,7 m. x 5 m. La cisterna si presentava su due livelli, come quella della poco lontana Fattoria di Gregna, che venne trasformata in casale solo in epoca successiva. L’interno presenta una volta a botte (con il foro per l’immissione dell’acqua al centro del lato S.E.) e conserva ancora gran parte dell’intonaco di rivestimento. Essendo stata adibita nei secoli passati ad uso abitazione, la cisterna conserva ancora le bucature relative ad una porta e una finestra.
La tecnica edilizia del monumento è riconoscibile dalle murature in calcestruzzo di tufo, con paramento in opera reticolata, alternato a fasce laterizie, sul corpo quadrangolare, mentre gli speroni sono in tufelli regolarmente disposti su piani orizzontali. Gli archi sono in laterizio e così la piattabanda ed il timpano della porta posta di fronte alla scala. Il tufo impiegato nel reticolato è prevalentemente il peperino, alternato a filari in tufo giallo litoide; ma la composizione dal punto di vista cromatico, appare tuttavia abbastanza libera, con l’inclusione anche di tufi rossi.

Monte del Grano

E’ il nome popolare del mausoleo di Alessandro Severo, collocato in un’area di Roma che è attualmente parte del moderno quartiere del Quadraro.

È il terzo mausoleo, in ordine di grandezza, di Roma, ovvero la terza tomba a tumulo dopo la Mole Adriana ed il Mausoleo di Augusto. Attualmente si presenta come una collinetta di circa dodici metri di altezza, un po’ nascosta dai palazzi sortile accanto negli anni ’70.

Nel ‘500 venne ritrovato al suo interno un imponente sarcofago attico, oggi conservato nelle sale al piano terreno dei Musei Capitolini.

Si accede all’interno attraverso un corridoio lungo circa ventuno metri che si apre su una sala circolare di dieci metri di diametro, un tempo divisa in due piani.

Vari studi mettono in dubbio l’attribuzione del Mausoleo ad Alessandro Severo, imperatore romano. Recenti studi di Erminio Paoletta accertano che il mausoleo è stato sicuramente il cenotafio dell’imperatore.

La locuzione “Monte del Grano” definisce anche il Parco adiacente il mausoleo.

Il nome Monte del Grano deriva probabilmente dalla corruzione dell’antico nome modius grani (moggio di grano), dovuto alla forma che aveva assunto la collinetta dopo l’asportazione dei blocchi di travertino, avvenuta nel 1387 per opera di tal Nicolò Valentini (uno dei tre nobili veneziani che, durante il giubileo del 1350, offrirono alla basilica di San Pietro una pulcherrimam et myrabilem tabulam de Chrystallo, pulchris laminis argenti deaurati (una tavola di cristallo) per custodire la reliquia del sudario del volto di Cristo).

Il nome di Monte del grano era divenuto comune già nel 1386, così risultando da alcuni documenti conservati nell’Archivio Storico Capitolino.

Il mausoleo faceva parte della tenuta chiamata “Casale delle Forme” (le forme erano una parte della struttura degli acquedotti presenti in zona Tuscolana). Il mausoleo è anche definito come “Monte di Onorio” o “Monte di Nori” o ancora “lo Montone del Grano”.

La leggenda popolare vuole invece che fosse un monte di grano trasformato (per punizione divina) in terra, perché raccolto di domenica, giorno dedicato al riposo.

Il riferimento al grano è comunque legato ad una caratteristica del Quadraro : la toponomastica del quartiere è infatti dedicata, in un modo o nell’altro, a personaggi (divinità o famiglie) legati al mondo agricolo.

Quadraro

UN PO’ DI STORIA

“…il fondo detto Lauretum (ad duas lauros) con le terme e tutta la campagna dalla porta Sessoriana (porta Maggiore) fino alla Via Prenestina, dalla Via Latina al Monte Gabo (l’attuale Monte Cavo) proprietà di Elena Augusta…”.

Questa era secondo il Liber Pontificalis la tenuta donata da Costantino alla basilica dei Santi Marcellino e Pietro. Questa si estendeva ad oriente dalle Mura Aureliane ed era compresa tra la Via Latina e la Via Prenestina fino al Monte Cavo (è possibile che il Mons Gabum sia da intendersi il Monte Cavo).
L’area era quindi vastissima e giustifica l’istituzione di una apposita diocesi suburbana, documentata nel V e nel VI secolo, con il nome di Subaugusta evidentemente in ricordo dell’appartenenza ad Elena Augusta.

In un documento del 1065 sopravvive il toponimo Loreto (derivante da lauretum), nella terra quae dicitur de Sancta Helena (cosiddetta di S.Elena).

Tutta l’area era annessa alla residenza imperiale urbana del Sessorio, la grande villa urbana, in parte occupata dalla basilica di Santa Croce in Gerusalemme, a ridosso delle Mura.

La tenuta, almeno per la parte distinta con il toponimo ad duas lauros lungo la Via Labicana, che costituisce il centro di tutto il sistema, testimonianza di una città di circa 80.000 abitanti chiamata Helenae Civitas Augusta,dovette entrare per tempo nella proprietà imperiale e la denominazione deriva certamente dall’uso, instaurato da Augusto, di ornare la porta della residenza imperiale con due piante di alloro.

Della villa rimaneva, fino a qualche anno fa, il ricordo del nome nel cinema di quartiere “Due Allori” oggi rimangono solo resti sotterranei.

In questa località, infatti, risultano insediati già nel II secolo, con il campo di addestramento ed il sepolcreto gli Equites singulares, ossia il corpo di cavalleria addetto alla guardia dell’imperatore che aveva i suoi accampamenti (castra) al Celio ed al Laterano.

Massenzio venne qui acclamato imperatore dai militari della guardia, equites e pretoriani. L’anonima epitome de Cesaribus dà infatti una informazione precisa: Massenzio fu fatto imperatore in una villa al sesto miglio da Roma sulla Via Labicana. Tale villa viene definita da Eutropio villa pubblica.

Dopo la battaglia di Ponte Milvio Costantino sciolse sia il corpo dei pretoriani che gli equites, ma il campo ad duas lauros continuò ad essere usato per le esercitazioni militari.
I resti monumentali più cospicui del fundus ad duas lauros lungo il primo tratto della Via Labicana sono rappresentati dalle costruzioni costantiniane al III miglio, presso le catacombe dei Santi Pietro e Marcellino, dalla necropoli lungo la Via Labicana costituita da catacombe e mausolei come quelli lungo la sede ferroviaria Roma-Pantano e comprendenti il sito della necropoli degli Equites singulares, dalla grande villa dei Flavi Cristiani, dalla “Rotonda di Centocelle”, dalla villa rustica a Sud della grande villa, verso la attuale Via Papiria, dall’Acquedotto Alessandrino.

In epoca augustea, la zona oggi denominata Quadraro, ricadeva in un’area particolarmente ricca di acquedotti, erano presenti: l’Alessandrino, il Claudio, l’acqua marcia, l’anio vetus e l’anio novus, in questi confluiva poi l’Aqua Iulia Tepula.

Il toponimo “Quadraro” deriva da storia più recente e si riferisce ad una antica tenuta agricola di proprietà dei monaci di S. Alessio che l’avevano concessa in enfiteusi ad un certo Guadralis dal quale, per corruzione, è derivato Quadraro.

Secondo altri: a 4 Km. da Porta S. Giovanni, quartiere presso Porta Furba sulla V. Latina, deve il nome alla tenuta om., che così chiamavasi da un acquedotto non pubblico ma consorziale, destinato ad un gruppo di 4 utenti, dei quali ci è venuta memoria epigrafica nelle condotture.

Sappiamo inoltre che nella tenuta era un castello detto pure Quadraro, che appartenne a Giacomo degli Arcioni, ad Annibaldo degli Stefaneschi, poi ad Alessio dei Cenci e alla famiglia Della Valle” come riportato nello “Stradario romano” pubblicato nella prima metà degli anni ’30.

Occorre precisare che la denominazione, fino a pochi anni fa si riferiva alla zona ora denominata Cinecittà, oggi per Quadraro si intende un quartiere di circa 270.000 metri quadri che si estende fra Via Tuscolana, Via di Centocelle ed il Quartiere Cinecittà.

Negli anni del primo dopoguerra la crisi italiana fu principalmente causata dalla scarsezza di manodopera, dal ristagno negli affari.

Nell’area romana i motivi principali della crisi erano però più localizzati, il grande afflusso di immigrati provenienti dalle campagne e dal meridione ingrossavano le file dei disoccupati con presenze prive di mestieri qualificati. Di fronte a queste emergenze il governo di allora cercò provvedimenti che si rivelarono, più tardi controproducenti: si abolirono le tasse sulle aree fabbricabili, e si fecero continue deroghe al piano regolatore del 1909 con locali piani particolareggiati.

Tutto questo doveva consentire ai privati ed allo Stato, di creare nuovi alloggi per l’aumentata popolazione, in realtà si rivelò un ottimo punto di partenza per cieche speculazioni spesso perpetrate dallo Stato stesso.
In pratica si credeva di rimediare alla crisi del dopoguerra favorendo le costruzioni, nel 1920 vennero costruiti ben 24.000 vani, contro i 12.000 vani annui prebellici.

La Roma borghese si allontanava sempre di più dalla Roma popolare, a questo distacco culturale seguirà, negli anni del fascismo, l’allontanamento topografico, attuato con la demolizione dei quartieri poveri nel centro della città.

Gli abitanti di questi quartieri si trasferiscono in quelle zone dove già da decenni sorgevano quà a là, nei terreni abbandonati della campagna romana, numerose baracche.

Nuclei di case vennero edificati lungo le vie consolari: Centocelle e Torpignattara sulla Casilina, il Quadraro sulla Tuscolana, lontanissime dai confini del Piano Regolatore, queste prime “borgate” romane sorgono favorite dalla presenza delle ferrovie per Fiuggi e per i castelli romani.

A differenza dei baraccamenti di fortuna, Torpignattara, Centocelle, Quadraro sono vere e proprie lottizzazioni, anche se povere nell’impostazione e nelle costruzioni, nella loro realizzazione intervengono piccoli imprenditori ed i proprietari sono ben contenti di guadagnare qualche lira.

Nato da una lottizzazione sanata dal P.R.G. del 1931, il Quadraro cresce nei primi decenni del secolo con palazzine di due piani stile liberty su lotti di circa 1.000 metri quadrati.

Nel secondo dopoguerra il grande fenomeno dell’immigrazione povera coinvolge l’area, solo parzialmente edificata, producendo il frazionamento e l’edificazione spontanea sui lotti rimasti liberi e su alcuni di quelli già edificati; si tratta di abitazioni ad un piano con orto e giardino e solo in qualche caso a due o tre piani.

Il quartiere del Quadraro si salvò, fra le due guerre, dalla speculazione edilizia e lo stesso destino lo ebbe negli anni sessanta, mentre le amministrazioni presiedute da Petrucci, Santini, Darida, distruggevano la via Prenestina, le grandi opere di notevole importanza come acquedotti, ponti, monumenti, venivano demoliti per far largo a nuove urbanizzazioni, per aprire cave di pietrisco, sulla Tuscolana la devastazione partiva da Don Bosco e si fermò, miracolosamente, alle porte del Quadraro.
Negli anni ’70 alcune palazzine a 5-6 piani sorgono nelle zone più vicine alla Tuscolana, mentre prosegue il processo di abbandono delle abitazioni più piccole e fatiscenti da parte degli abitanti.
Il vincolo dell’inedificabilità assoluta, insito nel progetto del Sistema Direzionale Orientale (S.D.O.) ha quindi sostanzialmente congelato l’edilizia del Quadraro favorendo l’abbandono dei lotti minori e scoraggiando interventi di riqualificazione edilizia.

Frutto di questa stratificazione, l’attuale mix edilizio del Quadraro vede la prevalenza delle villette inizio secolo e delle case basse (prevalenza assoluta nella metà a nord di via Columella), che realizzano un paesaggio caratteristico ed originale; quello del borgo urbano degli anni ’50-’60.
Le costruzioni ad 1, 2 piani, raramente a 3, si susseguono a bordo strada senza un regolare ordine geometrico, affiancate o intervallate da passaggi e piccoli giardini privati, mentre nelle zone interne porzioni di verde intervallano abitazioni ed altre costruzioni, oggi in alcuni casi abbandonate ed in stato di degrado. Le dimensioni del costruito, gli spazi ed i volumi che questo produce mostrano i segni dello sviluppo spontaneo, ‘in proprio’ ed a misura d’uomo, ricordando per questo le forme dei paesi di campagna e l’origine dei borghi medievali.
Oggi, interventi di riqualificazione conservativa realizzati da quanti hanno voluto rischiare investendo sulle proprie abitazioni, mostrano la qualità edilizia ed urbana che è possibile ottenere con l’intervento diretto dei proprietari a partire dall’esistente.

La qualità della posizione del Quadraro (data dalla vicinanza dei due grandi parchi archeologici di Centocelle e dell’Appia Antica, dalla Metropolitana e dall’area commerciale della Tuscolana fra Porta Furba e Cinecittà) prospetta infatti una potenziale domanda, e quindi un’edificazione, di livello medio-alto.

Zone

Quadraro Vecchio (immediatamente a sinistra della Tuscolana, scendendo dalla Porta Furba)

Quadraro Nuovo, o Quadraretto (immediatamente a destra, scendendo dalla Porta Furba)

Ina Casa 49 a ridosso della Tuscolana, all’altezza della fermata della metropolitana Linea A Numidio Quadrato)

Cecafumo (in corrispondenza della fermata della metropolitana linea A Lucio Sestio)

Torre del Quadraro

Si trova a Roma in piazza dei Consoli e veniva usata anticamente per controllare il primo tratto della via Tuscolana e doveva essere verosimilmente in contatto visivo con la Torre di Centocelle.

Don Bosco

Don Bosco è il nome del ventiquattresimo quartiere di Roma, indicato con Q.XXIV.
Alcune targhe stradali ancora riportano la numerazione S.V, indicante l’appartenenza al soppresso suburbio Tuscolano.
Il toponimo indica anche la zona urbanistica 10a del X Municipio.
Si trova nell’area est-sud-est della città, lungo la via Tuscolana.

Inizialmente quest’area era compresa nella zona nota come il Quadraro, toponimo rimasto per gran parte della zona sud-est di quello che ufficialmente è il quartiere Tuscolano. Infatti con Quadraro si indicava, fino agli anni ’30 circa, tutta la zona a sud di Roma che va da Porta Furba agli attuali stabilimenti di Cinecittà.

Dopo la costruzione degli stabilimenti cinematografici la zona venne sempre più frequentemente indicata con il termine “Cinecittà”, e così il quartiere che sorse attorno.

Il toponimo Quadraro indica oggi l’area dove sorge l’insediamento urbano più antico della zona. Nella divisione amministrativa di Roma degli anni ’20 quello che sarebbe divenuto il quartiere Don Bosco era ufficialmente noto come V Suburbio, oltre che popolarmente noto come parte del Quadraro.

La nascita si ebbe per due fattori: la fondazione e lo sviluppo degli studi cinematografici di Cinecittà nel 1936, allora i più moderni e grandi d’Europa; poi per la costruzione e sviluppo del complesso salesiano e della chiesa di San Giovanni Bosco.

I lavori iniziarono nell’immediato dopoguerra, dove la zona vide la crescita urbanistica a partire dal Quadraro lungo la Tuscolana fino agli studi cinematografici. Così sorse nei primi anni Cinquanta il quartiere intensivo di Don Bosco, nato proprio con la promozione dei Salesiani intorno all’omonima basilica, inaugurata nel 1957.

La sua piazza fu utilizzata come set di alcune scene della La dolce vita di Federico Fellini, immaginandola come parte del quartiere Eur, assai distante dagli studi cinematografici di Cinecittà.

Progettata da Gaetano Rapisardi recuperando alcune indicazioni del piano regolatore del 1931, quest’area era già destinata durante gli anni Trenta alla sua urbanizzazione, motivo per cui gli edifici della piazza sono palesemente caratterizzati da un architettura tipica del ventennio fascista, uno stile architettonico noto in Europa come Stile Novecento ed in Italia come Stile Littorio, non dissimile a quello nei paesi dell’Est dell’era sovietica.

La piazza di San Giovanni Bosco è dominata dalla chiesa opera anch’essa del Rapisardi caratterizzata dalla sua mole e la grande cupola con le sculture degli angeli che sorreggono la croce.
Nel quartiere è da ricordare l’edificio dell’Istituto Luce, la più antica istituzione pubblica destinata alla diffusione cinematografica italiana. La sua sede fu costruita tra il 1937 e 1938.

Appio Claudio

Appio Claudio è il nome del venticinquesimo quartiere di Roma, indicato con Q.XXV.
Prende il nome dal politico e letterato romano Appio Claudio Cieco, a cui si deve la costruzione della via Appia e di opere idriche.
Il toponimo indica anche la zona urbanistica 10b del X Municipio.
Si trova nel quadrante sud-est della città.
A nord-est l’Appio Claudio confina direttamente con il quartiere Don Bosco (dal quale è diviso da via Tuscolana). Ad est, via delle Capannelle separa il quartiere dalla zona di Capannelle nel tratto tra la Tuscolana e l’Appia nuova.
Ad ovest, la via Appia Nuova forma il confine con la zona di Torricola e con l’Appio Pignatelli fino a via del Quadraro che delimita, sempre ad ovest, l’Appio Claudio dal quartiere Tuscolano (tratto compreso tra l’Appia Nuova e la Tuscolana).

Zone
Come avviene in parecchie aree urbane della capitale, le denominazioni ufficiali dei quartieri non corrispondono necessariamente alle quelle usate nel linguaggio corrente: insieme al quartiere di Don Bosco, l’Appio Claudio coincide, in parte, con la zona di Roma comunemente chiamata Cinecittà per via dei vicini stabilimenti cinematografici.
La zona principale del quartiere si trova presso la via Tuscolana, all’altezza di viale Giulio Agricola e largo Appio Claudio, dove risiedeva fino al Duemila l’omonimo mercato. A sud di questa zona si estende una superficie non edificata che comprende il parco di via Lemonia e l’area percorsa, da nord-est a sud-ovest, da alcuni acquedotti, dalla via Appia Nuova e dalle due ferrovie che portano in direzione di Cassino e di Formia. Principalmente caratterizzato da imponenti casamenti condominiali di sette – otto piani, con strade strette e privi di spazi verdi interni, tipiche dell’edilizia popolare anni cinquanta – sessanta, il quartiere si distingue a ridosso del Parco e nella caratteristica via Lemonia, per delle abitazioni signorili, non alla portata di tutti. Si tratta di una particolarità che ha favorito un contatto tra diverse fasce sociali, soprattutto nei giovani, ed un incentivo per una migliore qualità di vita nel quartiere stesso.
Presso l’Appia Nuova è situata la zona residenziale dello Statuario, unita al territorio dell’Appio Claudio dopo la seconda guerra mondiale. Il nome di questa zona, di antiche origini, potrebbe avere a che fare con il ritrovamento di numerose statue nelle vicinanze, oppure dal fatto che vi abitavano originariamente diversi scultori.

Storia
I film del neorealismo degli anni del dopoguerra ci mostrano i paesaggi di una zona non edificata in prossimità degli stabilimenti di Cinecittà. Spesso, sullo sfondo delle scene si riconosce la cupola della vicina chiesa di San Giovanni Bosco (Don Bosco), allora ancora solitaria in mezzo alla campagna. Ad esempio, Pier Paolo Pasolini, nel suo film “Mamma Roma” girato dove adesso sorge la parrocchia di San Policarpo, ha scelto molte scene per la realizzazione del suo film. Infatti, il quartiere fu costruito in massima parte negli anni cinquanta anche grazie all’intervento dell’Ina-Casa. La nascita del quartiere fu seguita da una lenta crescita delle infrastrutture. La zona era, fin dall’inizio, afflitta da problemi di piccola criminalità e da conflitti tra gli abitanti del quartiere e quelli degli insediamenti, detti all’epoca degli anni 60/70 “baraccati”, gente nomade o proveniente da regioni come Abruzzo, Molise e Calabria. Questi dormivano sotto l’acquedotto Felice, dove avevano costruito delle casette, chiamate appunto baracche. Proprio in queste improvvisate costruzioni che sorgevano alle spalle della parrocchia di San Policarpo, un prete di nome Don Sardella realizzò la prima scuola per queste persone. Lo smantellamento di questa comunità iniziò negli anni settanta con l’occupazione della parrocchia di San Policarpo e l’assegnazione di appartamenti grazie all’interessamento del parroco di allora Mons. Sisto Gualtieri; una parte degli sfollati si recò a vivere in appartamenti in Ostia Lido, altri in appartamenti vicini alla parrocchia stessa. Oggi, l’area ristrutturata totalmente è chiamata Parco degli Acquedotti, in quanto presenti ben due acquedotti, uno di epoca romana IV sec. Acquedotto Claudio, l’altro fatto restaurare da Papa Sisto V Felice Peretti nel XVI sec. e per questo denominato acquedotto Felice.
Nel 1980 una consistente spinta allo sviluppo urbano fu data dall’apertura della Linea A della metropolitana di Roma, di importanza vitale per il quartiere. Il completamento dei lavori avvenne in vent’anni, tra interruzioni, blocchi della viabilità a ridosso delle stazioni e polemiche. Sempre agli anni ottanta risalgono gli interventi di valorizzazione del parco, con la demolizione delle ultime baracche. Nel 2007 gli ultimi orti abusivi presenti all’interno del parco furono smantellati ridonando la bellezza ed il libero uso a tutti i cittadini di un parco dotato di notevoli ricchezze archeologiche.
Dall’inizio del nostro secolo, la popolazione del quartiere accusa disagi a causa di un sensibile aumento del traffico sia urbano che aereo. L’incremento dei voli verso il vicino aeroporto di Ciampino è dovuto alla politica dei voli a basso prezzo.

Siti archeologici e parchi
Di grande importanza culturale è il Parco degli Acquedotti, detto anche parco di via Lemonia. È percorso da uno dei tratti più suggestivi dell’Acquedotto Claudio, dell’Acquedotto Felice e dell’Aqua Marcia. Tra i tre, quello più imponente è senza dubbio l’Acquedotto Claudio, restaurato nel 776 dal papa Adriano I dopo la guerra gotica ed andato in seguito in rovina. Verso la fine del Medioevo, parte della sostanza dell’acquedotto fu demolita per ricavarne materiale edilizio: è stata questa la causa delle lacune che oggi ne caratterizzano il percorso creando un caratteristico andamento a singhiozzo..
Nel parco si trovano, oltre agli acquedotti ed alla chiesa parrocchiale, dei reperti archeologici di diversi tipi.
Tra questi, si ricorda la tomba dei cento scalini, usata per decenni a mo’ di discarica di rifiuti.

Parco degli Acquedotti

Di grande importanza culturale è il Parco degli Acquedotti, detto anche parco di via Lemonia.

È percorso da uno dei tratti più suggestivi dell’Acquedotto Claudio, dell’Acquedotto Felice e dell’Aqua Marcia.

Tra i tre, quello più imponente è senza dubbio l’Acquedotto Claudio, restaurato nel 776 dal papa Adriano I dopo la guerra gotica ed andato in seguito in rovina.

Verso la fine del Medioevo, parte della sostanza dell’acquedotto fu demolita per ricavarne materiale edilizio: è stata questa la causa delle lacune che oggi ne caratterizzano il percorso.

Nel parco si trovano, oltre agli acquedotti ed alla chiesa parrocchiale, dei reperti archeologici di diversi tipi. Tra questi, si ricorda la tomba dei cento scalini, usata per decenni a mo’ di discarica di rifiuti.

Alla scoperta del parco degli acquedotti lungo la via Latina antica
Il percorso si snoda attraverso i monumenti che sorgevano lungo il tracciato della via Latina Antica, all’ interno di un’ area di particolare interesse archeologico-naturalistico come il Parco degli Acquedotti, che fa parte integrante del Parco Regionale Suburbano dell’Appia Antica, istituito con legge regionale del 10 Novembre 1988, n.66.
La Via Latina Antica, e’ stata considerata uno dei piu’ importanti assi di collegamento con il Mezzogiorno d’Italia, in quanto congiungeva Roma con Capua (129 miglia), dove confluiva nella via Appia. Nel percorso, attraverso le valli del Sacco e del Liri, seguiva itinerari antichissimi di comunicazione tra il Lazio e la Campania, attraversando l’ intero territorio latino (Latium vetus e Latium novum), annesso a Roma dopo la sconfitta degli Equi e dei Volsci.
La Via, nata come arteria di penetrazione politico-militare, e’ stata datata tra il 328 a.C. e il 312 a.C., antecedentemente alla via Appia.
In eta’ repubblicana, la via partiva da Porta Capena, insieme all’ Appia, dalla quale si biforcava presso l’ attuale Piazza Numa Pompilio, mentre in eta’ imperiale usciva da Porta Latina, ed in direzione sud-est, attraversava la campagna romana con un percorso rettilineo fino ai Colli Albani. La strada risulta frequentata fino all’ inizio del XIV sec., quando il tratto fino ai Colli Albani venne sostituito dalla via Labicana. La via, lastricata con massi poligonali, era larga nella sede carrabile circa 4 metri; spazio sufficiente all’incrociarsi dei carri, con stazioni di posta sul percorso (mutationes), per l’alloggio dei viaggiatori ed il cambio dei cavalli, mentre a distanze maggiori, si trovavano altre stazioni di posta piu’ fornite, come veri alberghi (mansiones).
Attualmente, si conserva della via Latina antica il primo tratto, utilizzata come via normale di transito, a partire dalla porta omonima nel quartiere Appio-Latino, mentre il resto a causa dell’espansione edilizia incontrollata, si ritrova solo in parte dopo il raccordo anulare, dove corrisponde all’incirca al tracciato della via Anagnina.

L’ itinerario ha inizio a Tor Fiscale (localita’ nel Medioevo detta “Arco di Travertino”), da via del Quadraro, superato il ponte della ferrovia per Napoli (tracciata nel 1888-’89), attraverso una stradina sterrata sulla destra; qui la via Latina, incrocia la serie delle grandi arcuazioni monumentali degli Acquedotti che la accompagnano ininterrottamente fino alla Roma Vecchia, in uno scenario classico della campagna romana. La Torre, quadrata con finestre rettangolari, alta circa 30 metri, poggiante su due archi appartenenti all’ Acquedotto Claudio e al Marcio, nel punto in cui si intersecano, fu edificata con blocchetti di peperino nel XIII sec., dal senatore Brancaleone, in una posizione che permetteva il controllo diretto sulla via Latina che passava poco a nord-est.
Fu chiamata Torre di S. Giovanni o Torre Branca, mentre il nome attuale deriva dall’ essere appartenuta nel XVII sec. a Monsignor Filippo Foppi, tesoriere pontificio.
In questo punto, gli acquedotti Claudio e Marcio intersecandosi nuovamente racchiudevano uno spazio a trapezio in direzione Nord Ovest-Sud Est con un lato maggiore costituito dall’acquedotto Claudio.
La particolare configurazione di quest’ area, che prese il nome di Campo Barbarico, fu utilizzata come campo trincerato nel 559 d.C., durante il famoso assedio di Roma da parte di Vitige re dei Goti, che per controllare le vie di accesso alla citta’ tenuta da Belisario, chiuse con pietre e fango la luce degli archi. Dove attualmente l’ acquedotto Felice scavalca la via del Quadraro, si trova il punto d’ intersezione degli acquedotti a sud-est e qui cade il IV Miglio della Via Latina. Il luogo, e’ legato al leggendario incontro di Coriolano con la moglie Volumnia e la madre Veturia.
A ricordo dell’ evento, per la scampata minaccia volscia, era stato eretto nel 487 a.C. il Tempio della Fortuna Muliebre, che non e’ stato ancora identificato.
Tornando su via del Quadraro, si raggiunge a destra via Lemonia con l’ importante complesso di Villa Delle Vignacce,una tra le maggiori ville del suburbio romano.
La zona archeologica, ai margini dei fabbricati attuali, e’ stata in passato abbandonata agli scarichi edilizi delle nuove costruzioni, mentre attualmente l’ area e’ stata sistemata a giardino. La struttura sul lato nord-est, presentava un terrazzo lungo oltre 120 metri, che correva quasi parallelamente a via Lemonia, ornato al centro con una fontana absidata e concluso verso ovest da vaste cisterne d’ acqua coperte a volta (qualche muro resta visibile). La spianata al di sopra doveva essere un grande giardino, ma il nucleo principale e’ costituito piu’ a sud, da una grande aula rettangolare absidata (forse un ninfeo), affiancata da due ambienti per lato (i maggiori coperti a crociera, i minori piu’ esterni a botte).
A est, si nota un altro gruppo di ambienti, tra i quali e’ riconoscibile la parte termale, con una grande sala circolare coperta a cupola (ne resta circa un quarto) quale nucleo centrale. Nelle fratture della cupola, si notano i resti delle anfore vuote, utilizzate per alleggerire la struttura (tecnica comune in eta’ costantiniana, si ricorda: il Circo di Massenzio sull’ Appia, ed il Mausoleo di Tor Pignattara sulla via Casilina). Circa 130 m. a sud-ovest, si trova ben conservata una grande Cisterna, di forma trapezoidale allungata, parallela all’ acquedotto Felice, che in questo punto ricalca il tracciato dell’ acquedotto Marcio che la riforniva in eta’ romana. La struttura a due piani, presenta tre stanze con volta a crociera in quello inferiore, quattro camere nel piano superiore e, all’esterno, una doppia serie di nicchie semicircolari. La costruzione, sembra rinviare a tre fasi edilizie per l’ uso dell’ opera reticolata, mista e listata, databili tra il II ed il IV sec. d.C.
La villa, collegata al IV miglio della via Latina, mediante una strada parallela al tracciato dell’acquedotto Marcio, e’ stata costruita in eta’ di Adriano, tra il 125 ed il 130 d.C., come documentano i bolli laterizi. Le murature in opera reticolata di tufo, con ammorsature e ricorsi in laterizio e tufelli, mostrano restauri e rifacimenti, specialmente del IV sec. d.C.
La costruzione della villa, e’ stata attribuita a Q. Servilio Pudente, padre del console del 166 d.C., proprietario di grandi fabbriche laterizie, in base al ritrovamento, durante gli scavi del 1780, di fistule plumbee con il suo nome.
Si suppone, che la villa fosse di proprieta’ imperiale alla fine del II sec. d.C., ma e’ certo che in eta’ costantiniana era inclusa nel predio imperiale che si estendeva dalla Prenestina alla Tuscolana ed il cui centro era “Villa ad duas Lauros”, della Labicana.
La villa ospitava numerose opere d’arte, scoperte nei vari scavi (fine ‘700), tra le quali: un’ Afrodite, il Ganimede Chiaromonti, attribuito a Leochares, la Tyche di Antiochia, copia di Eutichides, il colossale ritratto di Giulia Domna (conservati ai Musei Vaticani). Alle spalle della cisterna di Villa delle Vignacce, corre l’acquedotto Felice, costruito da Papa Sisto V (Felice Peretti), da cui prese il nome tra il 1585 ed il 1587 e che, per alcuni tratti alterni, dal Casale di Roma Vecchia fino alla via Tuscolana (verso la citta’), s’ impianto’ sulle stesse fondazioni dell’ acquedotto Marcio, le cui strutture servirono da cava di materiale nel Medioevo e nel Rinascimento.
L’acquedotto papale prendeva le acque a Pantano Borghese e le conduceva in sotterranea fino a raggiungere il Marcio a Roma Vecchia, per un percorso di 28,7 Km.
Dal Quadraro a Roma Vecchia, l’acquedotto si presenta a muro continuo, con piccole aperture per le necessita’ del traffico trasversale, in calcestruzzo ricco di malta, archi radi e piloni massicci, riutilizzando frantumi di laterizi, pietrame e tufo.
La sua costruzione fu fondamentale per Roma, nel Medioevo e nel Rinascimento, in quanto era necessario sopperire alle disastrose condizioni igieniche, essendo rimasto in funzione solo l’acquedotto Vergine.
L’acquedotto Marcio, costruito dal pretore Q. Marcius Rex nel 144 a.C., captava le acque di un piccolo lago dell’alta valle dell’Aniene, tra Arsoli e Agosta, e giungeva a Roma dopo un percorso di 91,400 chilometri.
Le arcate originali erano formate da blocchi di tufo, peperino, a leggero bugnato.
Al canale della Marcia vennero sovrapposti in tarda eta’ repubblicana, il canale dell’acqua Tepula, costruita nel 125 a.C. dai censori Cn. Servilio Ceplone e L. Cassio Longino, che raccoglieva l’acqua di elevata temperatura alle sorgenti tra Marino e Grottaferrata, e in seguito anche il canale dell’acqua Iulia, costruito da M. Agrippa nel 33 a.C., che raccoglieva le acque dalla fonte presso il ponte degli Squarciarelli di Grottaferrata; entrambi i canali erano in reticolato di tufo.
Superata la chiesa di S.Policarpo, il campo bocciofilo per anziani, ci si immette nel parco giuochi, attrezzato dal Comune di Roma per i bambini, e passando da via Appio Claudio attraverso

Parco della Caffarella

La Valle della Caffarella (339 ha.) è una valle alluvionale creata dal fiume Almone comprende un’area tra le mura Aureliane, la Via Latina e la Via dell’Almone e costituisce la prima parte del Parco dell’Appia Antica esteso per circa 2500 ha.
È ricca d’acqua, che affiora da falde e sorgenti.

Storia

Il toponimo Caffarella, esteso all’intera valle dell’Almone, deriva delle tenute ivi preesistenti unificate nel ‘500 dalla famiglia romana Caffarelli.

Nell’area, che in epoca antica era caratterizzata da residenze extraurbane, si conservano, in un suggestivo paesaggio agricolo, numerosi resti di ninfei, di sepolcri e di un tempio.

La torre inglobata nel casale Gualtieri, la “torre Valca” sull’Almone, la stessa chiesa di S. Urbano e i resti sparsi di impianti idraulici, testimoniano la frequentazione della Valle in età medioevale.

Nel XV sec la valle assistette ad una serie di manovre militari durante i tentativi del Regno di Napoli di controllare la città, mentre il processo di formazione della tenuta, a seguito di aggregazioni successive di singoli appezzamenti sembra concluso nel 1547 quando, sulla mappa di Eufrosino della Volpaia, il casale della tenuta viene indicato come “vigna dei Caffarelli”, al centro della quale edificarono il casale della Vaccareccia.

Dal Catasto Alessandrino (1660) il territorio appare suddiviso in tenute attorno alle quali si sviluppa un sistema di vigne e terreni coltivati e generalmente serviti da casali ancora esistenti.

Il fondo passò poi nel 1695 ai Pallavicini e da questi nel 1816 ai Torlonia che completarono l’impianto idrico.

Nel secolo scorso la Caffarella era sfruttata anche come cava di pozzolana, utilizzata negli edifici della Roma umbertina.

La prima ipotesi di realizzazione di un parco archeologico nel comprensorio dell’Appia Antica, alle cui vicende urbanistiche c strettamente legata la storia della valle della Caffarella, risale agli inizi dell’800 e venne attuata con l’esproprio di  una fascia lungo la via Appia e la sistemazione della passeggiata archeologica ad opera del Canina.

Il Piano Regolatore del 1965, a seguito delle accese battaglie condotte da Italia Nostra e dall’I.N.U. (che si opponevano all’edificazione massiccia prevista dal Piano Paesistico nel 1960) vincola a parco pubblico l’intero comprensorio riconoscendo la vocazione naturale di questa eccezionale porzione dell’Agro Romano. I procedimenti espropriativi avviati dal Consiglio Comunale negli anni ’70 come altri provvedimenti dell’Amministrazione Comunale riguardanti l’acquisizione delle aree e la sistemazione del Parco non ebbero seguito.

Con la Legge Regionale n.66 del 10.11.88, viene istituito il Parco Regionale Suburbano dell’Appia Antica e viene affidata la sua realizzazione e gestione ad un’azienda consortile costituita nel 1992.
Territorio

Il territorio della Caffarella, percorso interamente dal fiume Almone, offre interessanti occasioni per un approccio didattico alla storia geologica di Roma in quanto sono ancora leggibili le vicende geologiche che hanno portato alla deposizione dei terreni sui quali si è sviluppata la città.

I depositi profondi della Valle del fiume Almone sono costituiti da sedimenti marini del Pliocene (argille azzurre), sedimenti marini (sabbie e argille marine) ed alluvionali del Pleistocene (argille, sabbie e ghiaie). Successivamente questi terreni sono stati ricoperti dai prodotti piroclastici del Vulcano Laziale (tufi e pozzolane) derivati da quattro successive eruzioni vulcaniche.

La presenza del tufo litoide lionato, da sempre utilizzato come materiale da costruzione, è testimoniato da numerose cave estrattive.

Appartiene ad una fase distinta la cosiddetta Colata di Campo di Bove che partendo dal Vulcano Laziale, termina alla base della tomba di Cecilia Metella. La morfologia della Valle e stata determinata dalla successiva azione erosiva del fiume Almone sui depositi vulcanici. Nell’area si contano numerose sorgenti d’acqua.

Lasciata in parte al naturale, la Valle della Caffarella si inserisce nella cornice della campagna romana subito a ridosso delle Mura Aureliane, all’interno dell’attuale perimetro cittadino.
Lo stato agricolo, riconducibile alla struttura cinquecentesca è notevolmente rimaneggiato anche a seguito dell’abusivismo agricolo che ha prodotto innumerevoli “orticelli di guerra”.

Nonostante questa ed altre forme di degrado dovute alla mancanza di presa in carico da parte dell’Amministrazione del patrimonio artistico e naturalistico della Caffarella, si può gustare un’atmosfera tipica di campagna romana: animali al pascolo e boschetti, corsi d’acqua inquinati ma ancora recuperabili, grotte di tufo, limpide sorgenti e strette vallette ricche di sottobosco.

Casale della Vaccareccia

Si tratta di un ampio casale agricolo costruito dai Caffarelli, proprietari di questa zona dal XVI secolo,  i quali diedero il loro nome a tutta la vasta tenuta e ricondussero l’ameno complesso di valli, boschi e declivi, ricco di vestigia storiche, ad un’unica e funzionale azienda agricola.

Nel XIII-XIV secolo nel casale venne inclusa una torre costruita con blocchetti di tufo e scaglie di marmo che assunse anche funzione di collegamento tra i due piani.

In origine era molto più alta, per controllare tutta la tenuta fino alla via Latina.

La Vaccareccia, nella parte superiore, presenta una grande ala con un bel portico su colonne antiche; di lì si può entrare nella casa dei contadini, col tetto a spiovente, la loggia del ‘500 e il fienile, in unico corpo rinforzato da robusti muri di sostegno.

Nel 1695 la tenuta della Caffarella fu venduta ai Pallavicini e nel 1816 passò ai Torlonia, che operarono dei piani di ristrutturazione del casale e della zona circostante (aggiungendo la grande stalla lungo uno dei lati dell’aia) e bonificarono il fondovalle per l’ultima volta. Alcuni edifici del casale mostrano lo stemma della casata, raffigurante una corona che sovrasta due comete.

Ancora oggi è abitata da contadini che producono formaggi e ricotte ricavati da pecore lasciate al pascolo nella Valle.
Il complesso della Vaccareccia occupa una superficie coperta di 3200 mq situato amministrativamente nel territorio dell’XI Municipio, è in parte utilizzato per l’allevamento di ovini (3 greggi di pecore perun totale di circa 1000 capi che pascolano nella valle) e la produzione di formaggio pecorino e ricotta.
Il Piano di Utilizzazione della Caffarella destina la Vaccareccia ad “attrezzature per la fruizione del paesaggio agricolo e storico”, individuando in questo casale il punto di vendita dei prodotti dell’agricoltura.

Purtroppo circa 15 anni or sono un incendio ha danneggiato parte del tetto del casale per cui risulta urgente un restauro e la struttura risente dell’assenza pluridecennale di una pur minima manutenzione; solo la stalla è stata invece completamente ristrutturata dagli ex proprietari, Fondazione Gerini, e pertanto può, insieme all’antistante aia, fin d’ora essere utilizzata per una serie di eventi.

Il casale, espropriato nel 2005 con ordinanza del sindaco Veltroni è stato acquisito al patrimonio comunale nel 2007 ed ora è finalmente pubblico.

Torre Valca

Superato il Ninfeo di Egeria proseguendo oltre arriviamo a scorgere la torre Valca posta sulla nostra sinistra.

Dal termine longobardo “walcan” (rotolare), la torre faceva parte di un sistema di mulini ad acqua (le cosiddette valche risalenti all’XI secolo) utilizzati per la lavorazione e il lavaggio di panni.
La torre costruita a blocchetti regolari di tufo, di peperino e di marmo, controllava l’attraversamento del fiume Almone.

E’ proprietà privata.

Appio-Pignatelli

Appio Pignatelli è il nome del ventiseiesimo quartiere di Roma, indicato con Q.XXVI.
Prende il nome dalla via Appia e dalla nobile famiglia Pignatelli.
Si trova nel quadrante sud-sud-est della città.

Pignatelli è il nome della zona urbanistica 10d del X Municipio del comune di Roma. Si estende sul quartiere Q.XXVI Appio Pignatelli.
È situata a sud-est della capitale.
Prende il nome dalla famiglia nobiliare Pignatelli.