Archivi categoria: Municipio VIII

altri VIII

Passolombardo
L’area del Piano Particolareggiato zona “O” n.59 “Tor Vergata – Passolombardo” ricade nel territorio del VIII Municipio, estendendosi prevalentemente a ridosso della fascia di rispetto dell’autostrada del Sole lungo la Via Tor Vergata e Passolombardo.
La borgata ha una superficie complessiva, pari a 35,39 ettari,

Valle della Piscina

L’area del Piano Particolareggiato zona “O” n.23 “Valle della Piscina” ricade nel territorio del VIII Municipio, quasi a ridosso del G.R.A. e si estende tra la Via Prenestinae la Via Casilina. Lazona è limitata verso ovest dalla Tenuta Mistica e dal Fosso della Torre e verso est dal Fosso di Grotte Celoni che delimita il confine naturale con il quartiere IACP di Tor Bella Monaca.

Dati
La borgata ha una superficie complessiva, pari a 143 ettari, per una densità territoriale pari a 140 ab/ha.

Oasi santa Maura

L’area del Piano Particolareggiato zona “O” n.54 “Oasi S. Maura” ricade nel territorio del VIII Municipio e confina ad ovest con un’area a ridosso del G.R.A. e si collega tramite Via dei Giardinetti a Via Casilina nord; a sud-est confina con l’area dell’Università di Tor Vergata

Dati
La borgata ha una superficie complessiva, pari a 25,76 ettari, per una densità territoriale pari a 189 ab/ha.

Corcolle Est

L’area del Piano Particolareggiato zona “O” n.58 “Corcolle Est” ricade nel territorio del VIII Municipio, costituendo con l’attiguo nucleo di Giardini di Corcolle una unica identità insediativa che confina a nord con l’autostrada Roma-L’Aquila, a sud con il tracciato dell’acquedotto dell’acqua Marcia ed ad ovest con un fosso.

Dati
La borgata ha una superficie complessiva, pari a 48,26 ettari, per una densità territoriale pari a 88,99 ab/ha .

Carcaricola

Valle Fiorita

Capanna Murata

Due torri

Prato Lungo

Osa S Eligio

San Vittorino

San Vittorino è il nome della undicesima zona del comune di Roma nell’Agro Romano, indicata con Z.XI.

Il toponimo indica anche la zona urbanistica 8h del VIII Municipio.

Confini

Si trova nell’area est del comune, a ridosso del confine con i comuni di Tivoli, San Gregorio da Sassola, Poli, Castel San Pietro Romano, Palestrina, Gallicano nel Lazio, Zagarolo e Monte Compatri.

Storia

La zona presenta numerose testimonianze di insediamenti umani fin dal periodo eneolitico.

Il borgo di San Vittorino può essere considerato un classico esempio di borgo feudale.

E’ appartenuto al vescovo di Tivoli, nel X secolo, Nel 1411 fu consesso in feudo a Giovanni Colonna dai monaci di San Paolo, i quali lo vendettero nel 1411.

Nel 1430 era di proprietà di Stefano Colonna, per poi passarre, nel1448, inproprietà ai Barberini e successivamente alla famiglia Schiarra.

Geografia

La borgata di San Vittorino, che prende il nome dal santo omonimo vescovo e martire, sorge su un costone tufaceo delimitato da due valli adiacenti sorte dalla perenne erosione di due piccoli torrenti; è un’area di olivi e boschi selvatici, situata a circa 30 km dalla capitale, a 150 metri s.l.m.

L’ingresso del sito è costituito da un suggestivo arco di tufo.

Morfologicamente, in modo analogo a molti comuni del Lazio,  è collocato su di un  pianoro roccioso, con un perimetro caratterizzato da pareti a strapiombo. Quasi un’isola di roccia collegata alla “terraferma” tramite un’unica via, il cui accesso, è difeso da un ponte levatoio, da due torri e dal castello.

Il borgo è caratterizzato e costituito da un giro chiuso di case che in un unico punto si affaccia sulle valli circostanti, sorte dalla perenne erosione di due piccoli torrenti, e circoscrive una piazza interna interrotta da due file quasi ortogonali di case.

La borgata presenta tutte le caratteristiche sociologiche, culturali e storiche di un antico borgo o di un paese della campagna romana. Tutt’oggi sopravvivono gli elementi strutturanti la comunità medievale, quali il palazzo baronale, la chiesa, la fontana, la prigione.

Importante centro religioso della zona è il Santuario di Nostra Signora di Fatima a San Vittorino, che dipende dalla diocesi di Tivoli.

Castello di S.Vittorino

E’ un Castello Medievale situato in Via di Poli, dal Km. 27,500. La notizia più antica risale al 979, quando il castello è ricordato tra i beni confermati da Benedetto VII al vescovo di Tivoli. Segue un diploma di Ottone III (980-1002), per S. Alessio, in cui è ricordato come casale. In seguito fece parte dei possedimenti del Monastero di S. Paolo, mentre fra XII e XVI secolo seguì le sorti dei vicini Castelli di Corcolle e di Passerano. Nel 1630 fu acquisito dai Barberini.

L’accesso si trovava e si trova ancora tuttora sul lato orientale attraverso un ingresso che sembra risalire al XVII secolo, per un ponte costruito sull’antico fossato; è fiancheggiato da una torre a pianta quadrata. Sul lato SO era un portale in tufo del XVI secolo incastrato in seguito tra case. La porta aveva arco a tutto sesto bugnato, e pilastri dorici. Molto rimodernato poco rimane delle pareti e delle torrette in blocchetti di tufo (XIII sec.) del recinto, oggi appare come un piccolo villaggio.

Il santuario di Nostra Signora di Fatima a San Vittorino è una chiesa di Roma, nella zona San Vittorino, in via Degas. Sebbene sita nel comune di Roma, dal punto di vista ecclesiastico dipende dalla diocesi di Tivoli.

È stata costruita tra il 1970 (inizio dei lavori il 17 settembre) ed il 1979 su progetti dell’architetto Lorenzo Monardo e solennemente inaugurata il 13 maggio 1979 dal vescovo di Tivoli, monsignor Guglielmo Giaquinta. È stata ideata come una tenda, a pianta circolare, che innalza la sua cuspide verso il cielo, come un grande imbuto rovesciato. Le vetrate dei portali sono opera del sacerdote francescano Ugolino da Belluno, e raffigurano i simboli della passione di Cristo.

L’interno non ha navate, ma l’ambiente circolare confluisce, leggermente in discesa, verso il suo centro, ove è posto l’altare di marmo bianco, sopra una pedana, anch’essa circolare, di marmo nero. Dietro l’altare è posto un grande angelo, che sorregge il tabernacolo, ai cui piedi vi sono le statue dei tre veggenti di Fatima, Lucia, Francesco e Giacinta: il tutto è opera dello scultore milanese Montagutti. Ai lati dell’altare vi sono, da una parte una statua della Madonna di Fatima, e dall’altra un crocifisso.

Lungo le pareti è espostala Via Crucis, opera bronzea di Gabriele di Jagnocco.

La cripta è dedicata ai beati Francesco e Giacinta, i due veggenti morti prematuramente.

 

Pantano Borghese

La denominazione del luogo deve farsi risalire alla combinazione di 2 diverse sorgenti.

La prima, Pantano, trae origine dalla conformazione dei territori, la seconda, Borghese, dalla famiglia omonima che ne fu proprietaria nel XVII secolo.

La denominazione Borghese infatti, compare nel 1660 nel Catasto Alessandrino.

Anticamente la zona era conosciuta come Fundus Grifis.

Il casale

Fu acquistata nel 1613 dal Cardinale Scipione Borghese e da quell’epoca è rimasta in proprietà alla famiglia Borghese in via ereditaria. La Tenuta si trova in una zona compresa tra la Via Casilina e la Via Prenestina, distante 20 km dal centro di Roma.E’ caratterizzata dalla presenza di resti archeologici della città preromana di Gabi di cui si possono ancora ammirare il Tempio di Giunone oggi facente parte di un ampio parco archeologico.

La Tenuta

La Tenuta è attraversata dall’acquedotto Alessandrino, costruito nella prima metà del III secolo D.C. da Alessandro Severo. Attualmente nella Tenuta si allevano bovini per la produzione del latte fresco di Alta Qualità. Oltre all’attività di allevamento si coltivano foraggiere per gli animali (mais, erbai e prati) e colture estensive cerealicole (grano duro).

Nel centro aziendale, si è ricavato un grande salone per ricevimenti attrezzato di cucina e servizi, si sono ristrutturate parte delle abitazioni rurali per trasformarle in appartamenti per agriturismo completamente arredati.

Nel complesso c’è anche una Cappella privata ove si celebra regolarmente la Santa Messa nei giorni festivi ed in cui si possono celebrare funzioni religiose.

Salone

Casale di Salone 

Situata su una collinetta a sinistra della Via Collatina al km. 10,500, la tenuta di Salone formava insieme a Saloncello e Saloncino un vasto tenumento del Capitolo Liberiano corrispondente all’antico ager Lucullianus ricordato da Frontino ove erano le sorgenti dell’Acqua Vergine, che fu poi trasportata dal Urbano VIII (1623-1644) nell’attuale luogo di “acqua di Trevi” e immortalata dalla gran fontana di Nicolò Salvi.

Si ha notizia per la prima volta del “Casale de Salone cum Castello suo” nella bolla di Gregorio VII del 1074 come proprietà del Monastero di S. Paolo. Passato alla Basilica di S.Maria Maggiore nel 1123 e dato in enfiteusi agli Arcioni, venne da questi restituito nel1176 adetta Basilica, da ciò si deduce che la torre fu costruita dagli stessi Arcioni. Il castellario col monte è ricordato ancora nella bolla di Celestino III del1192 afavore di S.Maria Maggiore e nel 1198 è la conferma da parte di Bonifacio VIII della concessione del “Casale Salonis” e di altri beni al capitolo di S.Maria Maggiore cui rimase per vari secoli anche se tra controversie per il suo possesso.

Agli inizi del XVI secolo la tenuta divenne proprietà di Agostino Trivulzio,  promosso cardinale nel 1517 da Leone X, che tra il 1523-25 vi fabbricò una fastosa villa  come suo ritiro, ricordata dalla lapide tra due stemmi Trivulzio in travertino posta nella facciata tergale.

Dalla descrizione del Vasari era un grandissimo casamento. Autore della fabbrica fu Baldassarre Peruzzi che prestò vari servigi al Trivulzio. La villetta fu saccheggiata nel 1527  fu abbandonata dopo la morte del cardinale avvenuta nel 1548 ed in seguito ridotta a casale campestre. Nel 1544 la tenuta fu affittata dai canonici di S.Maria Maggiore a Costanza Farnese Sforza di Santafiora ed in seguito ritornò tra i beni di questa basilica.

Dopo il 1870 passò allo Stato come utile dominio, restando la proprietà al Capitolo S. Maria Maggiore. Acquistata da Vulpiani, venne da questi venduta alla fine dell’Ottocento al Conte Gallina, passò poi alla contessa Badini ed oggi appartiene a proprietà Borromeo.

Nella carta del Della Volpaia (1547), ha l’aspetto di un palazzo finito e munito di torre; nella zona sono disegnati anche una torre e dei ruderi. La torretta sovrastante le sorgenti dell’Acqua Vergine sono ricordata dal Nibby come “edificata forse sulle rovine dell’edicola eretta in memoria dell’apparizione, o comparsa della verginella ai soldati, che cercavano l’acqua, e che diede origine al nome dell’acqua medesima”, ed oggi è in stato di abbandono; ha pianta quadrata in tufo con scaglie di marmo e mattoni, finestre rettangolari con stipiti marmorei, mozzata ma ricoperta da tetto. Essa doveva servire, oltre che come vedetta della Via Collatina anche come posto di guardia del vicino “castellarium” e delle sorgenti acquifere.

Più fedele testimonianza dell’antica villa è la mappa catastale del “Casale detto Solone” (Archivio S.Maria Maggiore) del 1558 ove due edifici, indicati come “casale vecchio” e “casale nuovo”, sono disposti parallelamente in posizione corrispondente all’attuale. La torre, probabilmente distrutta durante il periodo di abbandono della dimora, doveva servire da belvedere o luogo di guardia e difesa. Il progetto del Peruzzi prevedeva un fabbricato con ambiente centrale e portico aperto verso il giardino e una fila di pilastri o pergolato verso il “fiume di Salone”; il giardino a ellissi concentriche con via interna, è interrotto sull’esterno alberato da quattro absidiole diagonali che creano due immaginari assi obliqui, moltiplicando i punti di vista e dilatando lo spazio al fine di una felice integrazione tra architettura e natura, tipica dello stile peruzziano e già individuabile nella loggia della Farnesina (1506-16). Inoltre non è improbabile che la forma ovata del giardino, ispirata agli antichi anfiteatri quali luoghi di giochi, fosse predisposta per consentire “naumachie” con l’acqua del vicino Salone. Sebbene realizzato con inversione d’orientamento rispetto al progetto iniziale, il complesso mantiene l’orientamento simmetrico di due fabbricati, uno ad uso signorile, l’altro per i servizi e le scuderie (anch’esso probabile progetto del Peruzzi), contrapposti su cortile, interno quadrangolare con muri di chiusura sui lati ove si aprono gli accessi alla campagna. Le facciate sono scandite da un unico ordine di arcate su lesene che chiudono i due piani, ricollegabili all’ambiente Raffaellesco, e tuttora visibili, nella volta dell’androne d’ingresso al cortile, sono gli affreschi con scene circensi, naumachie e paesaggi, alternati a riquadri in stucco con fregi e deità marine dominati al centro dallo stemma cardinalizio del Trivulzio a tre bande d’oro su campo azzurro.

Benché degradato da vari interventi il complesso mantiene l’aspetto di grande villa fortificata con cortile interno dell’Agro Romano, sul tipo della Magliana e di Lunghezza.

Tenuta di Salone

A questa immensa tenuta spettano da tempi remotissimi due appezzamenti di terra situati a sud della via Prenestina ad est ed ovest del punto detto “le quattro strade”.

Di proprietà della Basilica di S. Maria Maggiore già dal secolo XII lo rimase fino alle leggi del 1873 che disposero della tenuta per enfiteusi a favore di Domenico Vulpiani.

Nel 1906 si sostituì ai Vulpiani la ditta Brandini, Niccoli & C., che nel 1917 vendette tutta la tenuta a Enea Gallina di Milano.

Su 1187 ettari, 246 furono venduti a Antonio Gianni tra i quali la parte  a sud della Prenestina tra le Quattro Strade e l’Anulare.

Altri 219 ettari, comprendenti la pedica di Salone ad est delle Quattro Strade, furono acquistati nel 1925 da Pietro Talenti, che nel 1966 vendette detta pedica immediatamente lottizzata da Giacinto Calfapietra.

Gabii

Gabii era un’antica città del Lazio, posta probabilmente tra Roma e Preneste, lungo il tracciato della Via Prenestina. Secondo Dionigi di Alicarnasso, faceva parte dell’antica Lega Albana.

Le sue cave fornivano un’eccellente pietra da costruzione (lapis gabinus). L’ubicazione della città, in epoca moderna, fu individuata nel XVIII secolo da Pierluigi Galletti.

Storia

Secondo la tradizione fu il luogo dove Romolo e Remo sarebbero stati educati e sarebbe stata loro insegnata la scrittura.

La città accolse Tarquinio Sestio, come finto disertore in fuga dal padre Tarquinio il Superbo, e venne quindi conquistata con l’inganno.

Un trattato fra Roma e Gabii, scritto su una pelle di bue che copriva uno scudo, era conservato nel tempio di Quirino.

Già in epoca repubblicana iniziò a decadere e, nei primi anni dell’età imperiale, la città era ormai ridotta ad un semplice villaggio.

Gabii rappresenta il vertice antico di un triangolo con ai lati le cittadine di Tibur (Tivoli), Praeneste (Palestrina) e Collatia, che nel periodo antico ebbero notevole sviluppo e grande importanza nelle vicende storiche e politiche del Lazio in forza della posizione strategica sulle arterie di collegamento dei percorsi commerciali tra l’Etruria e la Campania. Le comunità erano legate tra loro da parentele, guidate da capi guerrieri e sacerdoti, vivevano in capanne ed in alcuni periodi dell’anno lavoravano la ceramica. Tra il IX secolo a.C. e VIII secolo a.C. in queste comunità egualitarie ebbero luogo delle trasformazioni sociali, che portarono alla costituzione di un sistema sociale di tipo gentilizio-clientelare con la formazione di centri protourbani, anticipatori di quelli urbani propri del territorio laziale latino.

Gabii potrebbe essere la città natale del poeta Tibullo.

Villa Verde

Villa Verde è un’area urbana del comune di Roma, situata in zona Z.XIII Torre Angela. È posta alla destra della via Casilina, a sud di Tor Bella Monaca, nel territorio dell’VIII Municipio.

Si trova lungo il percorso dell’antica via Labicana.

Dispone di luoghi di culto (chiese di Santa Maria madre d’Ospitalità, in via del Torraccio, S. Bernardino da Siena in via Degas) e di istruzione (scuola elementare “Pablo Picasso” in via Milet).

La zona è di interesse archeologico e alla via delle due Torri, fra i civici 166 e 168, si trovano i resti di un antico edificio di epoca romana ad uso di cisterna.

Torre Maura

Torre Maura è il nome della quindicesima zona del comune di Roma nell’Agro Romano, indicata con Z.XV.

Il toponimo indica anche la zona urbanistica 8b dell’VIII Municipio.

Confini

Si trova nell’area est del comune, a ridosso ed internamente al Grande Raccordo Anulare.

Storia

Il territorio oggi corrispondente a Torremaura era anticamente posto al quinto miglio della via Labicana (od.Casilina) e compreso in quell’area del  cosiddetto Lazio Antico, diviso fra le prime tribu’ dell’età Regia fra cui era la Pupinia, da molti collocata nell’area di Torrenova.

Non conosciamo il nome o i vocaboli antichi con cui erano indicati questi luoghi sebbene il geografo Stradone indichi col nome di FESTI, una  località “fra la quinta e la sesta pietra da Roma” che coincideva con il primitivo confine dell’agro romano e dove ogni anno si tenevano specifici riti detti ambarvalia.

L’antica Labicana, partendo dall’ Esquilino raggiungeva dopo XV miglia, l’antica Labico (presso Montecompatri) mantenendo un percorso pressappoco simile alla moderna via Casilina sino al Castello di Torrenova.

Nell’area fra la caserma di Torrespaccata ed il G.R.A., manteneva un percorso leggermente a Sud della consolare ancora riconoscibile in alcune foto aeree degli anni ’20.

Il tracciato, costellato da costruzioni e sepolture in piu’ tempi emerse e distrutte durante la costruzione e crescita della borgata; era pressappoco coincidente con le attuali via dei Verdoni, Piazza degli Alcioni, Via dell’Airone.

Questo spiega come mai lungo queste strade non vi sia stata famiglia o costruttore che non abbia rinvenuto nello scavo delle fondazioni della propria palazzina di elementi archeologici a carattere funerario e non, quali : sarcofagi, iscrizioni, frammenti statuari, basoli dell’antica strada, mosaici e strutture murarie.

La borgata Torre Maura, venutasi a costruire intorno al 1920, deve la sua denominazione ad un’antica costruzione i cui ruderi sono ancora visibili in via di Torre Spaccata, poco dopo l’incrocio con via Casilina. Dei resti, che consistono in un’abside orientata a sud-est compresa tra due brevi tratti di muri, si è potuta ricostruire la pianta, di tipo basilicale a tre navate, larga 17,6 metrie  lunga 14,8 metricirca, divise da archi impostati su pilastri. Nella copertura della volta sono inserite alcune anfore che, secondo l’uso già notato in altri monumenti, avevano lo scopo di alleggerire la massa del conglomerato cementizio. La muratura, in opera listata (cioè costituita da filari alternati di mattoni e tufelli) presenta alcuni elementi decorativi, eseguiti con una particolare disposizione dei laterizi, che appaiono tipici dell’età alto-medioevale e permettono di inquadrare il monumento nell’ambito del VI-V secolo d. C.

Il nome della località sembra derivare dal fundus Mauricius della massa Varvariana, ricordata nel Patrimonio  Labicano.

Sempre a Torre Maura, in località S. Maria, al centro di un complesso di case popolari, si rinvennero nel 1983 le strutture di una villa in uso dalla tarda età repubblicana fino alla tarda età imperiale. Da qui proviene un sarcofago con scene di caccia di notevole livello artistico tra il 310 ed il 330 d. C. Interventi di spoliazione e di riutilizzo sono qui testimoniati dalla costruzione di una struttura databile al XII secolo, forse identificabile con l’oratorio di S. Erasmo, ricordato al VI miglio della Labicana in un elenco  coevo di chiese sublacensi.

Poco oltre, all’incrocio di Via dell’Airone con Via dei Fagiani sorge il cosiddetto Muraccio di S. Maura, un sepolcro in laterizio, completamente decontestualizzato dalle moderne costruzioni che lo circondano. Il monumento, in origine posto sulla via Labicana, ha pianta quadrata e, sulla base dei mattoni bollati rinvenuti, è databile al 123 d.C. Un altro monumento isolato dal suo contesto originario si trova in un cortile delimitato da moderne costruzioni, su Via dell’Aquila Reale: si tratta di un sepolcro a pianta circolare, di 8,8 di diametro, con basamento in blocchi di travertino, da riferire alla fine dell’età repubblicana o ai primi anni dell’impero.

Torre Spaccata

Torre Spaccata è il nome della dodicesima zona del comune di Roma nell’Agro Romano, indicata con Z.XII.

Il toponimo indica anche la zona urbanistica 8a dell’VIII Municipio.

Confini

Si trova nell’area est del comune, a ridosso ed internamente al Grande Raccordo Anulare.

Luoghi d’interesse

Lo scavo di Torre Spaccata ha portato alla luce una zona abitata da uomini risalente a circa 6.000 anni fa. Il ritrovamento è stato del tutto casuale e si verificò durante la costruzione dell’Istituto tecnico Severi. Qui sono stati ritrovati pesi utilizzati per i telai, lame, punte di freccia, ossa di animali (pecora o capra) e dell’argilla cotta. I ritrovamenti hanno permesso agli studiosi di ricostruire la vita degli abitanti di questo sito, che non conoscevano il metallo, e con molta probabilità erano pastori e coltivatori poco evoluti.

Storia

Torre Spaccata occupava un’importante posizione strategica che permetteva un efficace controllo sulla Casilina (Labicana) e Tuscolana.

Il nome di Tor Spaccata compare solo dal XVII secolo come si evince dalle carte e probabilmente è da mettere in relazione allo stato di rovina in cui versavala costruzione. La base quadrangolare misura mt. 8 di lato, è costruita mediante l’impiego di tufelli o piccoli blocchi parallelepipedi di tufo alternati a file di laterizi che appartengono alla fase costruttiva delle strutture medievali relative ai sec. IX e X .

Rifacimenti  e restauri furono eseguiti nei secoli successivi (dal XII al XIV sec.) e portarono alla realizzazione delle pareti della torre in blocchetti di tufo e dove vi era bisogno, murature di contenimento eseguite con materiali di recupero antichi e scaglie di selce. Le rovine che oggi non superano i6 m. di altezza e conservano alla base i resti di un sepolcro romano in laterizio e più precisamente un colombario di età antonina (II sec. d.C.) ancora ben conservato, mentre nel terreno circostante sono sparsi i resti di una grande villa romana che si estendeva nelle vicinanze e che in parte è stata individuata nel corso di uno scavo d’emergenza effettuato dalla Soprintendenza archeologica di Roma.

Sui resti del complesso funerario romano si sono sovrapposti resti che vanno dal tardo antico all’epoca bizantina al medio evo quando nel XIV sec. e più precisamente nel 1369 la tenuta del Casale Palazzetto di cui faceva parte la torre fu venduta dal canonico Lateranense Lorenzo Angeleri al monastero di Sant’Eufemia; da allora il casale compare con il nome di Palaczectum S. Heufemie che passò alla fine del medio evo, alla famiglia degli Astalli e da questi successivamente alla famiglia dei Della Valle.

Il primo nucleo del quartiere di Torre Spaccata fu inaugurato il 15 agosto 1961.

Il quartiere, una vasta zona della periferia est di Roma, si estende a ventaglio, un chilometro e mezzo dentro il Grande Raccordo Anulare (uscita 18), ed è delimitato a Nord dal viale Palmiro Togliatti, ad Est dalla via Casilina, a Sud da via di Torre Spaccata e ad ovest dalle vie Roberto Fancelli e Pietro Sommariva.
Progettato e realizzato come un “quartiere residenziale popolare” da contrapporre all’abusivismo dilagante della periferia, per dare alla gente del ceto medio un quartiere abitabile, dignitoso, pensato con validi criteri urbanistici.

Tutte le strade del quartiere sono intitolate a personaggi che hanno legato il loro nome alla cultura romana (riassunti appunto nel viale dei Romanisti… che non sono ovviamente i tifosi della Roma!): poeti romaneschi come Adone Finardi, Giuseppe Berneri, Alessandro Barbosi, Camillo Peresio, Pietro Sommaria o personaggi della cultura popolare di Roma come Rugantino e il Sor Capanna.

Infine la popolazione: i nuclei originari erano quasi tutti immigrati del centro sud, di ceto medio impiegatizio (ferrovieri, impiegati statali, appartenenti alle Forze Armate), generalmente con un solo stipendio, le donne essenzialmente casalinghe e numerosi figli a carico.

La torre e i castelli

Tra il XII e XIII secolo, fanno la loro comparsa le torri di segnalazioni e di avvistamento, poste anche per controllare l’arrivo degli arabi. Se vogliamo avere un’idea di questo tipo di costruzione, al bivio di Tor Sapienza, sulla via Prenestina, possiamo vedere Tor Tre Teste, o meglio uno spaccato che di essa rimane, ma assai interessentante, poiché murato c’è un medaglione recante i tre volti che ad essa danno il nome.

Altra torre importante si trova all’interno dell’area archeologica di Gabii ed è la Torre di Castiglione conservata ottimamente. Il nome di questa torre compare in un documento di archivio dal 1259.

Il medioevo porta a grandi trasformazioni nella campagna romana; nascono le lotte per le investiture mentre gli enfiteuti si trasformano in feudatari. Questo porta nel Rinascimento al formarsi di notevoli possessi agrigoli gestiti da grandi famiglie romane divenute eredi delle piccole e grandi proprietà appartenute alla chiesa.

Lungo le vie miliari nascono i primi castelli e significativa testimonianza nel territorio è il castello di Lunghezza. Per apprezzarne la maestosità sarebbe sufficiente far correre il pensiero ai tanti suoi ospiti illustri.

Due nomi per tutti: MICHELANGELO BUONARROTI, che si dice abbia danzato lì, la prima ed unica volta nella sua vita tra le braccia della ancor piccola Caterina Medici, e la grande ELEONORA DUSE, che ha lasciato a testimonianza della sua visita una piccola vetrata artistica posta nella cappella all’interno del castello.

Villaggio Breda

Villaggio Breda è una frazione di Roma Capitale, situata in zona Z.XVII Torre Gaia, nel territorio del Municipio Roma VIII.

È posta sul lato sud della via Casilina, a ovest della frazione di Villa Verde.

Fondazione del Villaggio Breda

Dopo la guerra d’Africa e in previsione di un conflitto europeo ormai probabile, il Duce espresse il desiderio che sorgesse nell’Italia centrale un’officina per la produzione autonoma delle armi automatiche. Compito di realizzare questo desiderio toccò alla Breda che progettò uno stabilimento del tutto nuovo adatto alle esigenze governative.

La prima tappa fu l’acquisto del terreno da parte della Società, in vendita tra altre aree periferiche era allora una tenuta situata nella zona che veniva chiamata Torre Gaia.

Il suo proprietario, Cav. Albino Revel, era anziano e non aveva eredi maschi. Le sue quattro figlie avevano insistito affinché vendesse questa proprietà acquistata anni prima dai Conti Angelini e che era stata migliorata assai.

Il fattore Sig. Pellizzari insieme al figlio che tutti al villaggio conoscono sotto il nome di Sor Peppino avevano scavato un pozzo e bonificato il terreno che rendeva molto. Una strada campestre univa la fattoria alla tenuta Vaselli dall’altra parte della Casilina e niente faceva prevedere che su questa collina  stesse per sorgere un’imponente fabbrica  d’armi.

Dopo varie trattative,la Società Breda comprò il 1° dicembre del 1937 i 609 ettari della tenuta del Cav. Revel che erano in vendita ormai da un anno. Il prezzo fu di 1.300.000 lire il doppio di quanto aveva pagato Revel 10 anni prima. Dopo l’acquisto la Società Breda incaricò l’Ing. Fantina ad effettuare i rilievi del terreno e progettare lo stabilimento che fu costruito dall’impresa Garboli. I lavori cominciarono nei primi mesi del 1938, in estate di quell’anno il terreno dava ancora l’impressione di una tenuta di campagna in corso di trasformazioni che di un complesso industriale in via di ultimazione. Ma i lavori procedettero a ritmo rapido, infatti  all’inizio del 1939 i primi reparti cominciarono a funzionare e parte del personale che lavorava allo stabilimento di Via Flaminia  fu trasferito a quello di Torre Gaia.

Lo stabilimento fabbricava armi automatiche di medio e grosso calibro, armi antiaeree per la Marina e l’Esercito, cannoncini e mitragliatrici anticarro. Nel mese di  maggio lo stabilimento era in pieno funzionamento e il 27 maggio  il Capo del Governo, Mussolini, andò di persona a  visitare i reparti, a dare inizio ai lavori di ampliamento, e posò la prima pietra del Villaggio destinato ai lavoratori.

Costruzione del Villaggio e della Chiesa 

Dagli antichi tempi della tribù Pupinia e dei ferventi cristiani che nei primi secoli seppellivano i loro defunti nel vicino cimitero della Valle della Morte, questa piccola valle dell’agro romano non aveva più conosciuto abitanti stabili. Non era altro che un prato dove ormai stava per sorgere un nuovo centro di vita umana e sociale dove famiglie di provenienza diverse, ma unite dallo stesso lavoro e dalla convivenza, intrecciarono profondi legami la cui realtà sopravvive ancora  ai tanti cambiamenti e difficoltà e costituisce il patrimonio spirituale comune del Villaggio Breda.

Del Villaggio la necessità si era fatta sentire nel momento stesso in cui si era decisa la costruzione dello stabilimento in una zona la cui distanza da Roma imponeva di dare almeno ad una parte del personale  un alloggio vicino al posto di lavoro. A questo scopola Società Breda aveva ceduto la parte inferiore del terreno acquistato all’Istituto autonomo fascista per le Case Popolari di Roma che doveva costruire il Villaggio destinato a comprendere 480 alloggi.

La costruzione dei primi lotti iniziò nell’estate del 1939 e durò un anno e mezzo. L’architetto si è prevalentemente ispirato a criteri di economia  e di semplicità e senza voler in alcun modo fare della sua geometrica disposizione dei fabbricati un’opera d’arte. Nella sua concezione il Villaggio rappresenta tra gli altri complessi del genere quello che si può chiamare una vera riuscita. Si nota per primo il rispetto del paesaggio che sembra essere stato una delle preoccupazioni del progettista , l’altezza moderata dei suoi fabbricati, l’intonaco color terra si armonizzano con la campagna vicina. Oltre a rispettare il paesaggio il villaggio rispetta anche l’uomo, infatti la vita intima del nucleo familiare e la vita sociale sembrano essere state presenti nella progettazione. Lo spazio previsto fra loro dà a ciascuno la propria autonomia e nel frattempo favorisce incontri fra le famiglie. Infine l’esistenza di due piazze e la presenza nel centro abitato della chiesa favorisce l’unità del complesso dandogli le caratteristiche  tradizionali di un villaggio di campagna e la praticità delle costruzioni moderne adatte alle esigenze dei lavoratori  partecipano alla mentalità cittadina che la vicinanza alla Capitale viene a rafforzare.

Per questo corpo ci voleva un’anima, per queste case ci voleva una chiesa. La Soc. Breda capì questa necessità e venne incontro al desiderio del Vicariato di Roma di fare del villaggio la sede di una nuova parrocchia.

Il primo dicembre 1939 con atto notarile la Soc. Breda fece dono alla Pontificia Opera per la Preservazione della Fede di un’area di 4.077 metri quadratidestinati alla costruzione di un vasto complesso parrocchiale che fu progettato dall’Architetto Tullio Rossi e realizzato dall’impresa del Comm. Belotti, contemporaneamente alla costruzione del Villaggio stesso. Come titolo si scelse Madonna “Causae Nostrae Laetitiae”.

Nel mese di settembre 1941 veniva ultimato il complesso parrocchiale con la chiesa in stile barocco-rustico, la canonica ampia e luminosa con vaste sale adatte alle riunioni dei diversi gruppi, il terreno dell’oratorio, ma il complesso  raggiunse  la piena funzionalità e l’abbellimento con i PP. Passionisti. Fu inaugurata il 4 Ottobre.