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San Vittorino

San Vittorino è il nome della undicesima zona del comune di Roma nell’Agro Romano, indicata con Z.XI.

Il toponimo indica anche la zona urbanistica 8h del VIII Municipio.

Confini

Si trova nell’area est del comune, a ridosso del confine con i comuni di Tivoli, San Gregorio da Sassola, Poli, Castel San Pietro Romano, Palestrina, Gallicano nel Lazio, Zagarolo e Monte Compatri.

Storia

La zona presenta numerose testimonianze di insediamenti umani fin dal periodo eneolitico.

Il borgo di San Vittorino può essere considerato un classico esempio di borgo feudale.

E’ appartenuto al vescovo di Tivoli, nel X secolo, Nel 1411 fu consesso in feudo a Giovanni Colonna dai monaci di San Paolo, i quali lo vendettero nel 1411.

Nel 1430 era di proprietà di Stefano Colonna, per poi passarre, nel1448, inproprietà ai Barberini e successivamente alla famiglia Schiarra.

Geografia

La borgata di San Vittorino, che prende il nome dal santo omonimo vescovo e martire, sorge su un costone tufaceo delimitato da due valli adiacenti sorte dalla perenne erosione di due piccoli torrenti; è un’area di olivi e boschi selvatici, situata a circa 30 km dalla capitale, a 150 metri s.l.m.

L’ingresso del sito è costituito da un suggestivo arco di tufo.

Morfologicamente, in modo analogo a molti comuni del Lazio,  è collocato su di un  pianoro roccioso, con un perimetro caratterizzato da pareti a strapiombo. Quasi un’isola di roccia collegata alla “terraferma” tramite un’unica via, il cui accesso, è difeso da un ponte levatoio, da due torri e dal castello.

Il borgo è caratterizzato e costituito da un giro chiuso di case che in un unico punto si affaccia sulle valli circostanti, sorte dalla perenne erosione di due piccoli torrenti, e circoscrive una piazza interna interrotta da due file quasi ortogonali di case.

La borgata presenta tutte le caratteristiche sociologiche, culturali e storiche di un antico borgo o di un paese della campagna romana. Tutt’oggi sopravvivono gli elementi strutturanti la comunità medievale, quali il palazzo baronale, la chiesa, la fontana, la prigione.

Importante centro religioso della zona è il Santuario di Nostra Signora di Fatima a San Vittorino, che dipende dalla diocesi di Tivoli.

Castello di S.Vittorino

E’ un Castello Medievale situato in Via di Poli, dal Km. 27,500. La notizia più antica risale al 979, quando il castello è ricordato tra i beni confermati da Benedetto VII al vescovo di Tivoli. Segue un diploma di Ottone III (980-1002), per S. Alessio, in cui è ricordato come casale. In seguito fece parte dei possedimenti del Monastero di S. Paolo, mentre fra XII e XVI secolo seguì le sorti dei vicini Castelli di Corcolle e di Passerano. Nel 1630 fu acquisito dai Barberini.

L’accesso si trovava e si trova ancora tuttora sul lato orientale attraverso un ingresso che sembra risalire al XVII secolo, per un ponte costruito sull’antico fossato; è fiancheggiato da una torre a pianta quadrata. Sul lato SO era un portale in tufo del XVI secolo incastrato in seguito tra case. La porta aveva arco a tutto sesto bugnato, e pilastri dorici. Molto rimodernato poco rimane delle pareti e delle torrette in blocchetti di tufo (XIII sec.) del recinto, oggi appare come un piccolo villaggio.

Il santuario di Nostra Signora di Fatima a San Vittorino è una chiesa di Roma, nella zona San Vittorino, in via Degas. Sebbene sita nel comune di Roma, dal punto di vista ecclesiastico dipende dalla diocesi di Tivoli.

È stata costruita tra il 1970 (inizio dei lavori il 17 settembre) ed il 1979 su progetti dell’architetto Lorenzo Monardo e solennemente inaugurata il 13 maggio 1979 dal vescovo di Tivoli, monsignor Guglielmo Giaquinta. È stata ideata come una tenda, a pianta circolare, che innalza la sua cuspide verso il cielo, come un grande imbuto rovesciato. Le vetrate dei portali sono opera del sacerdote francescano Ugolino da Belluno, e raffigurano i simboli della passione di Cristo.

L’interno non ha navate, ma l’ambiente circolare confluisce, leggermente in discesa, verso il suo centro, ove è posto l’altare di marmo bianco, sopra una pedana, anch’essa circolare, di marmo nero. Dietro l’altare è posto un grande angelo, che sorregge il tabernacolo, ai cui piedi vi sono le statue dei tre veggenti di Fatima, Lucia, Francesco e Giacinta: il tutto è opera dello scultore milanese Montagutti. Ai lati dell’altare vi sono, da una parte una statua della Madonna di Fatima, e dall’altra un crocifisso.

Lungo le pareti è espostala Via Crucis, opera bronzea di Gabriele di Jagnocco.

La cripta è dedicata ai beati Francesco e Giacinta, i due veggenti morti prematuramente.

 

Salone

Casale di Salone 

Situata su una collinetta a sinistra della Via Collatina al km. 10,500, la tenuta di Salone formava insieme a Saloncello e Saloncino un vasto tenumento del Capitolo Liberiano corrispondente all’antico ager Lucullianus ricordato da Frontino ove erano le sorgenti dell’Acqua Vergine, che fu poi trasportata dal Urbano VIII (1623-1644) nell’attuale luogo di “acqua di Trevi” e immortalata dalla gran fontana di Nicolò Salvi.

Si ha notizia per la prima volta del “Casale de Salone cum Castello suo” nella bolla di Gregorio VII del 1074 come proprietà del Monastero di S. Paolo. Passato alla Basilica di S.Maria Maggiore nel 1123 e dato in enfiteusi agli Arcioni, venne da questi restituito nel1176 adetta Basilica, da ciò si deduce che la torre fu costruita dagli stessi Arcioni. Il castellario col monte è ricordato ancora nella bolla di Celestino III del1192 afavore di S.Maria Maggiore e nel 1198 è la conferma da parte di Bonifacio VIII della concessione del “Casale Salonis” e di altri beni al capitolo di S.Maria Maggiore cui rimase per vari secoli anche se tra controversie per il suo possesso.

Agli inizi del XVI secolo la tenuta divenne proprietà di Agostino Trivulzio,  promosso cardinale nel 1517 da Leone X, che tra il 1523-25 vi fabbricò una fastosa villa  come suo ritiro, ricordata dalla lapide tra due stemmi Trivulzio in travertino posta nella facciata tergale.

Dalla descrizione del Vasari era un grandissimo casamento. Autore della fabbrica fu Baldassarre Peruzzi che prestò vari servigi al Trivulzio. La villetta fu saccheggiata nel 1527  fu abbandonata dopo la morte del cardinale avvenuta nel 1548 ed in seguito ridotta a casale campestre. Nel 1544 la tenuta fu affittata dai canonici di S.Maria Maggiore a Costanza Farnese Sforza di Santafiora ed in seguito ritornò tra i beni di questa basilica.

Dopo il 1870 passò allo Stato come utile dominio, restando la proprietà al Capitolo S. Maria Maggiore. Acquistata da Vulpiani, venne da questi venduta alla fine dell’Ottocento al Conte Gallina, passò poi alla contessa Badini ed oggi appartiene a proprietà Borromeo.

Nella carta del Della Volpaia (1547), ha l’aspetto di un palazzo finito e munito di torre; nella zona sono disegnati anche una torre e dei ruderi. La torretta sovrastante le sorgenti dell’Acqua Vergine sono ricordata dal Nibby come “edificata forse sulle rovine dell’edicola eretta in memoria dell’apparizione, o comparsa della verginella ai soldati, che cercavano l’acqua, e che diede origine al nome dell’acqua medesima”, ed oggi è in stato di abbandono; ha pianta quadrata in tufo con scaglie di marmo e mattoni, finestre rettangolari con stipiti marmorei, mozzata ma ricoperta da tetto. Essa doveva servire, oltre che come vedetta della Via Collatina anche come posto di guardia del vicino “castellarium” e delle sorgenti acquifere.

Più fedele testimonianza dell’antica villa è la mappa catastale del “Casale detto Solone” (Archivio S.Maria Maggiore) del 1558 ove due edifici, indicati come “casale vecchio” e “casale nuovo”, sono disposti parallelamente in posizione corrispondente all’attuale. La torre, probabilmente distrutta durante il periodo di abbandono della dimora, doveva servire da belvedere o luogo di guardia e difesa. Il progetto del Peruzzi prevedeva un fabbricato con ambiente centrale e portico aperto verso il giardino e una fila di pilastri o pergolato verso il “fiume di Salone”; il giardino a ellissi concentriche con via interna, è interrotto sull’esterno alberato da quattro absidiole diagonali che creano due immaginari assi obliqui, moltiplicando i punti di vista e dilatando lo spazio al fine di una felice integrazione tra architettura e natura, tipica dello stile peruzziano e già individuabile nella loggia della Farnesina (1506-16). Inoltre non è improbabile che la forma ovata del giardino, ispirata agli antichi anfiteatri quali luoghi di giochi, fosse predisposta per consentire “naumachie” con l’acqua del vicino Salone. Sebbene realizzato con inversione d’orientamento rispetto al progetto iniziale, il complesso mantiene l’orientamento simmetrico di due fabbricati, uno ad uso signorile, l’altro per i servizi e le scuderie (anch’esso probabile progetto del Peruzzi), contrapposti su cortile, interno quadrangolare con muri di chiusura sui lati ove si aprono gli accessi alla campagna. Le facciate sono scandite da un unico ordine di arcate su lesene che chiudono i due piani, ricollegabili all’ambiente Raffaellesco, e tuttora visibili, nella volta dell’androne d’ingresso al cortile, sono gli affreschi con scene circensi, naumachie e paesaggi, alternati a riquadri in stucco con fregi e deità marine dominati al centro dallo stemma cardinalizio del Trivulzio a tre bande d’oro su campo azzurro.

Benché degradato da vari interventi il complesso mantiene l’aspetto di grande villa fortificata con cortile interno dell’Agro Romano, sul tipo della Magliana e di Lunghezza.

Tenuta di Salone

A questa immensa tenuta spettano da tempi remotissimi due appezzamenti di terra situati a sud della via Prenestina ad est ed ovest del punto detto “le quattro strade”.

Di proprietà della Basilica di S. Maria Maggiore già dal secolo XII lo rimase fino alle leggi del 1873 che disposero della tenuta per enfiteusi a favore di Domenico Vulpiani.

Nel 1906 si sostituì ai Vulpiani la ditta Brandini, Niccoli & C., che nel 1917 vendette tutta la tenuta a Enea Gallina di Milano.

Su 1187 ettari, 246 furono venduti a Antonio Gianni tra i quali la parte  a sud della Prenestina tra le Quattro Strade e l’Anulare.

Altri 219 ettari, comprendenti la pedica di Salone ad est delle Quattro Strade, furono acquistati nel 1925 da Pietro Talenti, che nel 1966 vendette detta pedica immediatamente lottizzata da Giacinto Calfapietra.

Gabii

Gabii era un’antica città del Lazio, posta probabilmente tra Roma e Preneste, lungo il tracciato della Via Prenestina. Secondo Dionigi di Alicarnasso, faceva parte dell’antica Lega Albana.

Le sue cave fornivano un’eccellente pietra da costruzione (lapis gabinus). L’ubicazione della città, in epoca moderna, fu individuata nel XVIII secolo da Pierluigi Galletti.

Storia

Secondo la tradizione fu il luogo dove Romolo e Remo sarebbero stati educati e sarebbe stata loro insegnata la scrittura.

La città accolse Tarquinio Sestio, come finto disertore in fuga dal padre Tarquinio il Superbo, e venne quindi conquistata con l’inganno.

Un trattato fra Roma e Gabii, scritto su una pelle di bue che copriva uno scudo, era conservato nel tempio di Quirino.

Già in epoca repubblicana iniziò a decadere e, nei primi anni dell’età imperiale, la città era ormai ridotta ad un semplice villaggio.

Gabii rappresenta il vertice antico di un triangolo con ai lati le cittadine di Tibur (Tivoli), Praeneste (Palestrina) e Collatia, che nel periodo antico ebbero notevole sviluppo e grande importanza nelle vicende storiche e politiche del Lazio in forza della posizione strategica sulle arterie di collegamento dei percorsi commerciali tra l’Etruria e la Campania. Le comunità erano legate tra loro da parentele, guidate da capi guerrieri e sacerdoti, vivevano in capanne ed in alcuni periodi dell’anno lavoravano la ceramica. Tra il IX secolo a.C. e VIII secolo a.C. in queste comunità egualitarie ebbero luogo delle trasformazioni sociali, che portarono alla costituzione di un sistema sociale di tipo gentilizio-clientelare con la formazione di centri protourbani, anticipatori di quelli urbani propri del territorio laziale latino.

Gabii potrebbe essere la città natale del poeta Tibullo.

Torre Spaccata

Torre Spaccata è il nome della dodicesima zona del comune di Roma nell’Agro Romano, indicata con Z.XII.

Il toponimo indica anche la zona urbanistica 8a dell’VIII Municipio.

Confini

Si trova nell’area est del comune, a ridosso ed internamente al Grande Raccordo Anulare.

Luoghi d’interesse

Lo scavo di Torre Spaccata ha portato alla luce una zona abitata da uomini risalente a circa 6.000 anni fa. Il ritrovamento è stato del tutto casuale e si verificò durante la costruzione dell’Istituto tecnico Severi. Qui sono stati ritrovati pesi utilizzati per i telai, lame, punte di freccia, ossa di animali (pecora o capra) e dell’argilla cotta. I ritrovamenti hanno permesso agli studiosi di ricostruire la vita degli abitanti di questo sito, che non conoscevano il metallo, e con molta probabilità erano pastori e coltivatori poco evoluti.

Storia

Torre Spaccata occupava un’importante posizione strategica che permetteva un efficace controllo sulla Casilina (Labicana) e Tuscolana.

Il nome di Tor Spaccata compare solo dal XVII secolo come si evince dalle carte e probabilmente è da mettere in relazione allo stato di rovina in cui versavala costruzione. La base quadrangolare misura mt. 8 di lato, è costruita mediante l’impiego di tufelli o piccoli blocchi parallelepipedi di tufo alternati a file di laterizi che appartengono alla fase costruttiva delle strutture medievali relative ai sec. IX e X .

Rifacimenti  e restauri furono eseguiti nei secoli successivi (dal XII al XIV sec.) e portarono alla realizzazione delle pareti della torre in blocchetti di tufo e dove vi era bisogno, murature di contenimento eseguite con materiali di recupero antichi e scaglie di selce. Le rovine che oggi non superano i6 m. di altezza e conservano alla base i resti di un sepolcro romano in laterizio e più precisamente un colombario di età antonina (II sec. d.C.) ancora ben conservato, mentre nel terreno circostante sono sparsi i resti di una grande villa romana che si estendeva nelle vicinanze e che in parte è stata individuata nel corso di uno scavo d’emergenza effettuato dalla Soprintendenza archeologica di Roma.

Sui resti del complesso funerario romano si sono sovrapposti resti che vanno dal tardo antico all’epoca bizantina al medio evo quando nel XIV sec. e più precisamente nel 1369 la tenuta del Casale Palazzetto di cui faceva parte la torre fu venduta dal canonico Lateranense Lorenzo Angeleri al monastero di Sant’Eufemia; da allora il casale compare con il nome di Palaczectum S. Heufemie che passò alla fine del medio evo, alla famiglia degli Astalli e da questi successivamente alla famiglia dei Della Valle.

Il primo nucleo del quartiere di Torre Spaccata fu inaugurato il 15 agosto 1961.

Il quartiere, una vasta zona della periferia est di Roma, si estende a ventaglio, un chilometro e mezzo dentro il Grande Raccordo Anulare (uscita 18), ed è delimitato a Nord dal viale Palmiro Togliatti, ad Est dalla via Casilina, a Sud da via di Torre Spaccata e ad ovest dalle vie Roberto Fancelli e Pietro Sommariva.
Progettato e realizzato come un “quartiere residenziale popolare” da contrapporre all’abusivismo dilagante della periferia, per dare alla gente del ceto medio un quartiere abitabile, dignitoso, pensato con validi criteri urbanistici.

Tutte le strade del quartiere sono intitolate a personaggi che hanno legato il loro nome alla cultura romana (riassunti appunto nel viale dei Romanisti… che non sono ovviamente i tifosi della Roma!): poeti romaneschi come Adone Finardi, Giuseppe Berneri, Alessandro Barbosi, Camillo Peresio, Pietro Sommaria o personaggi della cultura popolare di Roma come Rugantino e il Sor Capanna.

Infine la popolazione: i nuclei originari erano quasi tutti immigrati del centro sud, di ceto medio impiegatizio (ferrovieri, impiegati statali, appartenenti alle Forze Armate), generalmente con un solo stipendio, le donne essenzialmente casalinghe e numerosi figli a carico.

La torre e i castelli

Tra il XII e XIII secolo, fanno la loro comparsa le torri di segnalazioni e di avvistamento, poste anche per controllare l’arrivo degli arabi. Se vogliamo avere un’idea di questo tipo di costruzione, al bivio di Tor Sapienza, sulla via Prenestina, possiamo vedere Tor Tre Teste, o meglio uno spaccato che di essa rimane, ma assai interessentante, poiché murato c’è un medaglione recante i tre volti che ad essa danno il nome.

Altra torre importante si trova all’interno dell’area archeologica di Gabii ed è la Torre di Castiglione conservata ottimamente. Il nome di questa torre compare in un documento di archivio dal 1259.

Il medioevo porta a grandi trasformazioni nella campagna romana; nascono le lotte per le investiture mentre gli enfiteuti si trasformano in feudatari. Questo porta nel Rinascimento al formarsi di notevoli possessi agrigoli gestiti da grandi famiglie romane divenute eredi delle piccole e grandi proprietà appartenute alla chiesa.

Lungo le vie miliari nascono i primi castelli e significativa testimonianza nel territorio è il castello di Lunghezza. Per apprezzarne la maestosità sarebbe sufficiente far correre il pensiero ai tanti suoi ospiti illustri.

Due nomi per tutti: MICHELANGELO BUONARROTI, che si dice abbia danzato lì, la prima ed unica volta nella sua vita tra le braccia della ancor piccola Caterina Medici, e la grande ELEONORA DUSE, che ha lasciato a testimonianza della sua visita una piccola vetrata artistica posta nella cappella all’interno del castello.

Torrenova

Torrenova è il nome della sedicesima zona del comune di Roma nell’Agro Romano, indicata con Z.XVI.

Confini

Si trova nell’area est del comune, a ridosso ed esternamente al Grande Raccordo Anulare.

Tenuta di Torrenova

Proprietà successivamente dei Colonna dei Rodi di Gennazzano e dei Della Valle, la tenuta di Torrenova fu acquistata nel 1562 da Cristoforo Cenci il cui figlio Francesco vi incorporò tre altri fondi vicini: le pediche di San Matteo, delle Forme e del Torraccio.
La prima era già posseduta dalla Chiesa di S. Matteo in Merulana, la seconda doveva il suo nome alle “forme” (arcacci) dell’acquedotto alessandrino e fu venduta a Francesco Cenci dai creditori dei fratelli Bellomo che se l’erano divisa; la terza aveva preso il nome del rudere romano e medievale situato in via Rocco Pozzi e impropriamente detto “il Torraccio”.
Diventate parte della tenuta di Torrenova , le pediche seguirono la stessa sorte. la tenuta di Torrenova fu messa all’asta nel 1599 dopo l’assassinio di Francesco Cenci e l’esecuzione di Beatrice Cenci e dei suoi fratelli e fu acquistata da Giovanni Francesco Aldobrandini, la cui nipote Olimpia la lasciò per eredità nel 1681 al suo primo marito, Giambattista Borghese.
Da allora la tenuta di Torrenova rimase in mano ai Borghese fino alla fine della prima guerra mondiale. Fu divisa, infatti la pedica delle Forme fu acquistata nel 1923 con il resto dell’unità di Tor Bella Monaca da Romolo Vaselli che vendette nel 1954 e 1955 il terreno, immediatamente lottizzato, dell’attuale Arcacci.
L’unità Torraccio, fu comprata nel 1922 da Giuseppe Conforti che nel 1936 la divise tra i suoi figli. Uno di loro, Manlio, ricevette la parte ad ovest della piazza del Torraccio e cominciò a vendere già dal tempo dell’ultima guerra.
La vera lottizzazione, però, non ebbe luogo prima del 1951-1952 e da essa sono nate le vie adiacenti alla via del Torraccio, nonché Via Selene, Dionisio, ecc.
Per questa nuova borgata fu scelto dal proprietario, per motivi personali, il nome di “Andrè” sostituito in seguito da quello storico di Torre Angela. Verso gli anni dal 1950-1952 un nipote di Giuseppe Conforti, Pietro, figlio di Agostino, vendette a lotti la zona di Montesanto a nord della ferrovia (Via Toraldo, d’Ambra, Prinzivalli, Rosini).

Il Castello di Torrenova

Il castello di Torrenova di origine medioevale, sorse nel sito di una villa di età romana appartenuta alla famiglia Pupinia. L’attuale denominazione suggerisce l’esistenza di una torre più antica, forse del XIII secolo, probabilmente denominata Torre Verde e da ricollegarsi al Torianum o Turrianum attestato nell’VIII secolo ed appartenente alla massa Calciana del Patrimonio Labicano. Fu anche detta Turris Iohannis Bovis, Rocca Cenci, Giostra; assunse il nome attuale probabilmente in occasione dei restauri ed ampliamenti ordinati da Clemente VIII (1592-1605) della famiglia Aldobrandini ed effettuati da G. Fontana tra il 1600 e il 1605.
Il fondo appartenne agli inizi del XV secolo alla famiglia Palosci; nel corso del ‘400 alcune parti della tenuta furono assegnate a diversi proprietari finché nel 1562 fu riunita nel possesso dei Cenci. A seguito di vicende giudiziarie che coinvolsero quella famiglia il fondo fu acquistato nel 1600 dagli Aldobrandini; nel XVI secolo appartenne ai Borghese che la tennero fino ai primi del ‘900.
Il complesso è costituito da un palazzo con merlature di tipo ghibellino, che comprende la torre, e da una chiesa di epoca cinquecentesca. Attualmente non è visitabile, poiché adibito ad abitazioni private.
L’edificio è composto da due bracci che si incontrano ad angolo retto; lo spazio così delimitato è chiuso sugli altri due lati da una recinzione che nel tratto sud-est comprende l’ingresso e la torre. Il braccio orientato nord-est, ornato da finestre con eleganti incorniciature, doveva costituire il lato nobile, come anche suggerisce la decorazione del portico a cinque arcate che ne ritma il prospetto sulla corte.
A circa 200 metri in direzione nord-ovest dal palazzo si vedono i resati di un ninfeo detto “Bagno della Bella Cenci”. Si tratta di un piccolo ambiente a pianta rettangolare, coperto con volta a botte, il cui ingresso, costituito da un arco, si apre ad est in corrispondenza di un rivo creato artificialmente. Il vano, che sorge sull’isoletta circondata dal canale, è decorato da graffiti e pitture, già estremamente deteriorate alla fine del secolo scorso.
All’interno della tenuta di Torrenova fu scoperto nel 1834 un grande mosaico, di epoca tardo imperiale, con raffigurazione di gladiatori in lotta con bestie feroci, che ancora oggi decora il pavimento di un salone del Museo Borghese, ospitato nell’omonima villa.
Tutta la zona ha restituito testimonianze di epoca romana . oltre a numerosissimi frammenti di decorazioni architettoniche, relativi soprattutto a monumenti funerari, si rinvennero un bellissimo sarcofago con la raffigurazione del mito di Atteone, conservato al Museo del Louvre, una lastra con Artemide Kourotrophos, oggi a Villa Borghese, e una statua di Helios, anch’essa al Louvre.
Infine a nord del Castello di Torrenova fu rinvenuto un mausoleo a pianta circolare, appartenente a P. Valerio Prisco, funzionario imperiale dei primi anni del II secolo.

Tor Bella Monaca

Tor Bella Monaca è una frazione del comune di Roma, situata in zona Z.XIII Torre Angela, nel territorio del Municipio VIII.

Sorge sul lato nord della via Casilina, all’esterno del Grande Raccordo Anulare, su una zona ondulata, solcata dal “fosso (marrana) di Tor Bella Monaca”.

Storia

Dopo la caduta dell’Impero romano, progressivamente la Chiesa romana subentra in possesso dei patrimoni imperiali, ma bisognerà giungere al medioevo per vedere rifiorire  le abitazioni e le coltivazioni del territorio, favorite dalle fondazioni di papa Zaccaria (711-752), che incentivò la nascita delle domuscultae o villaggi sparsi. Nel 946 c’è il primo atto di concessione di un territorio da parte della Chiesa ad una famiglia, incaricata di costruirvi un castello e di difenderlo dagli invasori.

Nel 1115 iniziarono a sorgere nell’agro romano le caratteristiche torri, segni della giurisdizione dei baroni e degli enti ecclesiastici: la zona di cui ci interessiamo apparteneva all’epoca alla famiglia Monaci, che nel XIII secolo fece erigere la torre tuttora esistente.

Il 7 maggio 1319 Maria, vedova di Pietro Monaci  vendette il territorio a Landolfo Colonna. Era costume nella campagna romana che una volta venduto un bene immobiliare esso prendesse il nome del vecchio proprietario; pertanto la zona, dal giorno in cui venne venduta alla famiglia Colonna, fu denominata “Turris Pauli Monaci”. La tendenza  nella traduzione  dal latino al volgare, di femminilizzare i nomi delle cose fece si che essa venisse corretta in “Palo Monaco”, ”Pala Monaca” fino a che assunse l’attuale nome  sul quale la fantasia popolare ha costruito una leggenda legata al personaggio di Santa Rita da Cascia.

In seguito i Colonna donarono alla Basilica di S. Maria Maggiore la torre “Pala Monaca” e 100 ettari di terreno attorno; la Chiesa conserverà questo patrimonio fino all’800. Nel seicento appaiono i nomi di “Torre Bella monica” e “Torre Belle monache” ma nei secoli seguenti s’impone quello di “Tor Bella Monaca”. Poi i possedimenti, intorno al XVI secolo, furono acquistati dal cardinale Borghese, già proprietario del latifondo di Torre Nova al quale si annettono i nuovi territori. Nel 1797 per far fronte alla crisi finanziaria dovuta all’invasione francese nello Stato Pontificio, Papa Pio VI  chiese agli enti ecclesiastici di vendere la sesta parte dei beni per venire incontro alle necessità economiche, così i canonici di S. Maria Maggiore decisero di mettere in vendita insieme alle altre tenute la tenuta di Tor Bella Monaca. La comprò Giovanni Giacomo Acquaroni  che la restituì dopo poco tempo per debiti contratti con i canonici a cui non aveva potuto far fronte.

Il 23 marzo 1869 i Borghese permutarono la loro tenuta Casa Calda con il territorio di Tor Bella Monaca, ma una crisi economica nell’ultimo decennio del secolo costrinse i Borghese a vendere le proprietà e nel 1919 furono completamente smembrate.

Nel 1923 Romolo Vaselli acquistò la tenuta di Tor Bella Monaca e fino alla seconda guerra mondiale la zona acquistò una certa stabilità anzi si ingrandì con l’acquisto di Torre Angela.

Egli fece incorporare la vecchia torre in una moderna villa sui muri della quale perpetuò la leggenda di S. Rita con una scritta ed un affresco. A lui pure è dovuta la costituzione dietro la villa di una “zona archeologica” artificiale ove sono raccolte statue e vari pezzi di antichità.

Nel 1937 la Società Ernesto Breda comprò una tenuta nell’agro adiacente a  Tor Bella Monaca e dall’anno successivo iniziò la costruzione dei primi reparti dello stabilimento Breda. La società cedette all’istituto autonomo fascista per le case popolari il terreno sul quale verrà edificato il Villaggio Breda e già nel 1941 furono stipulati i contratti di affitto con i primi inquilini.

Finita la guerra iniziarono le nuove vendite  e le lottizzazioni che dettero origine alla borgata.

Nel 1946 Romolo Vaselli vendette a Marino Giobbe e Pietro Moro 44 ettari di terreno che lottizzato negli anni successivi darà vita all’attuale borgata di Tor Bella Monaca. Il terreno venne frazionato in piccoli lotti che subito trovarono acquirenti. L’edificazione venne attuata da persone che avevano avuto rapporti con il territorio. Infatti gli abitanti della zona presenti sin dalle prime fasi dello sviluppo sono i contadini dell’azienda liquidati da Vaselli con terreni e case coloniche.

Tra i primi abitanti vi sono quelli del  vicino Villaggio Breda che  acquistarono  dei lotti per ampliamento del nucleo familiare. I primi edifici costruiti erano delle casette appena sufficienti alle esigenze della famiglia, la zona era priva non solo di servizi commerciali, sanitari, scolastici ecc, ma anche di quelli come l’acqua, l’illuminazione elettrica, le fognature, strade asfaltate.

Negli anni 50 la zona cominciò a popolarsi e i protagonisti della nuova edificazione furono gli immigrati dei castelli romani e del frusinate in quanto per essila via Casilina costituiva il collegamento ideale tra città e luogo di origine.

Molti di questi immigrati riproducevano nella nuova zona  modi di vita, tradizioni del paese di origine; altri immigrati provenivano da altre zone della città colpiti da sfratti, sgomberi, oppure privi di una sistemazione accettabile ricorsero all’autocostruzione abusiva per l’impossibilità di trovare un alloggio a basso costo.

Negli anni ’60 la zona si popolò di altri immigrati  originari delle Marche, dell’Abruzzo e delle altre regioni del centro sud. Ma il vero e proprio boom  edilizio si verificò negli anni sessanta, infatti vi è una ripresa dell’attività edilizia da parte dei vecchi abitanti con le prime sopraelevazioni ed ingrandimenti degli edifici per ampliare le abitazioni e assicurare l’alloggio alla discendenza. I costruttori non erano più autocostruttori ma si avvalsero di manodopera esterna  ed anche di ditte costruttrici. Le costruzioni vennero realizzate con una tipologia diversa: non più la casetta bassa ma le prime palazzine sorte con i criteri dell’edilizia ufficiale.

Comparvero le nuove figure sociali degli inquilini a cui vennero affittati gli appartamenti realizzati in funzione dell’ingrandimento del nucleo familiare, infatti l’ingresso in quegli anni di molti immigrati nei posti pubblici fu garanzia di stabilità economica che consentì nuovi investimenti nell’edilizia .

Negli  anni 70 si assistette ad una terza fase del fenomeno: quello dell’attività edilizia avviata da promotori esterni che  edificarono costruzioni con la tutta la caratteristica  di abitazioni di medio lusso.

Tor Bella Monaca Nuova: il piano di zona

Il quartiere di Tor Bella Monaca, nel quale era prevista la costruzione  della nuova chiesa, ha una storia antica. Alcuni scavi eseguiti nel corso della realizzazione di opere di urbanizzazione hanno messo in luce resti di ville romane del IV secolo a.C., con tracce di frequentazione fino al III secolo d.C., parti di una fattoria e trecento metri di lastricato, residuo di un probabile collegamento tra Roma e Gabii. E’ inoltre ancora visibile la torre duecentesca nella quale, secondo la leggenda, nel 1450 avrebbe pernottato con alcune compagne una bella religiosa, che sarebbe poi divenuta S. Rita da Cascia e che in quell’occasione era in viaggio verso Roma per il giubileo.

A partire dagli anni Sessanta, come già evidenziato nel precedente paragrafo quella zona dell’agro romano, rimasta per secoli più o meno inalterata e ormai alle porte della città, ha subito la spinta tumultuosa di un’espansione urbana incontrollata, che ha allargato a macchia d’olio gli insediamenti, per lo più aggravati dal vistoso fenomeno dell’abusivismo edilizio.

Al degrado ambientale le autorità comunali hanno tentato di far fronte attraverso  un piano di urbanizzazione legato alla legge che nel 1980 hastanziato mille miliardi per la costruzione di alloggi nelle aree  con elevata tensione abitativa. Di questo stanziamento, Roma ha ottenuto 175 miliardi, destinati in gran parte al finanziamento del piano di Zona di Tor Bella Monaca, che prevedeva la realizzazione  di alloggi per un insediamento previsto di circa 30.000 abitanti, edifici scolastici adeguati, servizi commerciali essenziali.

Tuttavia come spesso accade quando l’intervento pubblico giunge in ritardo ed è costretto a sovrapporsi a realtà già radicate , la fisionomia del quartiere appare caratterizzata da squilibri profondi, contrasti, problemi umani e sociali. Le nuove costruzioni che si allineano lungo i tracciati previsti con la regolarità propria dell’edilizia programmata, si contrappongono alla grigia marea delle costruzioni abusive.  

La formazione dell’insediamento e il ruolo della pianificazione urbanistica.

Per meglio comprendere le caratteristiche insediative del comprensorio di Tor Bella Monaca – Torre Angela è utile ripercorrere le tappe storiche della sua costituzione. Il primo insediamento comincia a sorgere intorno agli anni ’20-’30 aridosso della Via Casilina, asse radiale lungo il quale era da poco stata realizzata la linea ferroviaria che collegava la città con la vicina Fiuggi. Elementi di attrazione del primitivo insediamento furono il complesso industriale della Breda (molto attivo in quegli anni a causa della produzione bellica) e la stazione del Dazio posta in prossimità del Castello di Torrenova che rappresentava, dal punto di vista dei commercianti, la porta della città in quanto luogo di controllo di tutte le merci che vi accedevano.

A ridosso di quei luoghi iniziarono a stabilirsi numerose persone provenienti dalla provincia, parte dalle regioni meridionali e parte, per effetto degli sventramenti che avvenivano in quegli anni, dalla città storica. Il primo nucleo si costituì con malsani baraccamenti ai quali si sostituirono lentamente le case con orti a seguito dei frazionamenti delle grandi proprietà fondiarie. Nel 1934 un primo nucleo già consistente fu legalizzato, dall’allora governatorato nel quadro di un più generale provvedimento di riconoscimento della edilizia spontanea sorta nelle campagne e nell’Agro Romano con il nome di “Nuclei Edilizi”.

Solo con il piano regolatore del 1962 quest’area ebbe definita  una organica previsione pianificatoria. Il contiguo e vecchio nucleo edilizio di Torre Nova e quello più recente di Torre Angela divengono zone di “Ristrutturazione Urbanistica” e la parte di territorio tra essi compresa, Tor Bella Monaca, viene definita come zona di “Espansione”.

Nelle previsioni urbanistiche fu mantenuta la presenza del vicino nucleo industriale della Breda, vi fu localizzata una parte dei servizi generali per la città e fu salvaguardata dall’edificazione l’area dei casali agricoli anche al fine di tutelare il bacino idrogeologico sottostante dell’acquedotto Vergine e la zona archeologica caratterizzata dalla presenza dell’acquedotto di epoca romana. Il piano del ’62 si sarebbe attuato, secondo le prescrizioni, attraverso dei piani particolareggiati.

Tra il 1972  e il 1977 vennero redatti e adottati i Piani Particolareggiati di Torre Angela e di Torre Nova; il Piano dell’area industriale di Villaggio Breda e il Piano di Zona di Tor Bella Monaca. Attraverso l’attuazione di questi piani si sarebbe dovuto realizzare la ristrutturazione urbanistica delle varie zone e il loro collegamento. Le vicende urbanistiche degli anni ’80, la mancata sintonia tra gli organi istituzionali (Regione e Comune) preposti alla pianificazione, hanno prodotto il risultato di non far mai approvare i piani delle tre borgate, con la conseguenza di attuare l’iniziativa privata mentre tutta la parte di iniziativa pubblica rimaneva non realizzata. Questi piani hanno ora perduto efficacia giuridica essendo oramai decaduti e pertanto non più attuabili.

Diversa sorte ha invece avuto il Piano di Zona di Tor Bella Monaca che è stato interamente attuato, anche grazie alle semplificazioni procedurali previste dalla legge 167/62, e probabilmente anche a causa della pressante domanda di edilizia pubblica che negli anni ’80 costrinse l’amministrazione comunale a interventi straordinari. Lo sviluppo è stato attuato con piani di edilizia economica e popolare negli anni ottanta: in
particolare le “torri” a quindici piani, individuate con le lettere M
o R seguite da un numero.

Le aree precedentemente destinate a tutela ambientale hanno invece subito una violenta aggressione edilizia spontanea, fuori da ogni regola, vengono legalizzate dall’amministrazione comunale nel 1978 con una apposita variante urbanistica che comprendeva complessivamente 86 nuove borgate, (le zone “O” de P.R.G.)

A parere dei sociologi qualsiasi sistema urbano è distinguibile in tre sottosistemi.

Il primo è il sistema di localizzazione delle attività. Questo rappresenta lo spazio come una molteplicità di siti  per l’insediamento di soggetti ed agenti (edifici, macchine, mezzi di comunicazione ecc.);

Il secondo è un sistema di comunicazioni fisiche. Comunicazioni che danno luogo a flussi che si sovrappongono, legati alle attività umane e che richiedono infrastrutture proporzionate al numero degli interscambi;

Il terzo è un sistema di comunicazioni sociali. Cioè tutte quelle interazioni dei soggetti che operano in uno scenario urbano e che sono attribuibili alla sfera delle attività quotidiane.

Il sistema urbano di Tor Bella Monaca per quanto riguarda il primo punto risulta essere all’avanguardia per molteplicità dei siti e per le belle speranze riposte nella realizzazione di un quartiere modello. Non volendo riprendere l’annosa polemica ben descritta  da  Cervellati sulla “inutilità” dell’architettura nel mondo moderno, si sottolinea però l’incompiutezza di tale faraonico progetto che per quanto riguarda il secondo e terzo punto si è rivelata una debacle precoce.

Le comunicazioni fisiche che sono le infrastrutture di un sistema urbano, lasciano molto a desiderare. Pochissimi sono infatti i mezzi messi a disposizione per avvicinare tale quartiere al centro di Roma; per quanto riguarda invece le comunicazioni sociali l’assenza di un vero centro, di una piazza, di un punto d’incontro riconosciuto dalla popolazione rappresenta l’anello mancante di un processo che, nelle intenzioni dei progettisti, doveva ( ..e poteva..) rappresentare un grande esperimento di architettura sociourbanistica.

In teoria i vari comparti sono stati costruiti per essere autosufficienti, ma nella realtà lo sviluppo incompleto della zona (mancano cinema, teatri, fast food, discoteche ecc.) ha fatto sì che la popolazione (specie quella giovanile) avesse comunque come riferimento ludico, storico ed identificativo sempre il Centro di Roma. A onor del vero in questi ultimi anni, grazie  anche alle attività promosse dal Programma URBAN” finanziato in parte dalla Unione Europea, nel quartiere è nata una ludoteca, sono state riqualificate aree verdi e attrezzate alcune piazze (vedi ad esempio: Piazza Castano, la ristrutturazione del Teatro Municipale e dell’arena adiacente, infine la realizzazione di una sala cinema presso il Liceo Amaldi.
Un nuovo sistema di viabilità collega Tor Bella Monaca alla frazione di Tor Vergata, sede della seconda università della capitale, costituendo, di fatto, un ulteriore elemento di sviluppo dell’area.

Resti antichi e opere moderne

Durante le opere di urbanizzazione furono rinvenuti resti
di epoca romana (una villa di cui vennero scavati alcuni ambienti termali, che ebbe varie fasi di vita tra il IV secolo a.C. e il III secolo DC.; resti di un porticato aperto su un piazzale pavimentato con basoli, pertinenti ad una fattoria romana e, infine, un tratto dell’antica via Gabina, presso piazza Castano.

Recentemente vi è stata costruita la chiesa di Santa Maria Madre del Redentore, dell’architetto Pierluigi Spadolini.
Il 9 dicembre 2005 vi è stato inaugurato il “Teatro Tor Bella Monaca”, con la direzione artistica di Michele Placido.

Progetto di demolizione 2012

Nel 2012 partirà la demolizione del quartiere Tor Bella Monaca. Il progetto di abbattimento di Tor Bella Monaca, alla periferia sud-est di Roma, adiacente la ss6 Casilina, prende forma. Anche se non tutti i suoi abitanti sembrano convinti, i tempi di realizzazione del progetto, presentato il 04 novembre 2010, dell’architetto Leon Krier prevedevano due anni per risolvere l’iter burocratico. Per la fine 2012 si procederà quindi all’abbattimento delle 14 torri. Che stile avrà il nuovo quartiere?

Secondo il masterplan si elimineranno progressivamente le 14 torri, per restituire agli abitanti borghi, verde, piazze all’italiana e percorsi pedonali. Durante la presentazione si sono però sollevate le proteste, con il sindaco Gianni Alemanno contestato e Renata Polverini, presidente della Regione Lazio che – come lei stessa ha precisato – ha voluto mettere la faccia in questa operazione.

L’apertura dei cantieri delle nuove case potrebbe avviarsi per l’inizio del 2013, dando un nuovo volto alla zona delle torri in quattro anni per un’operazione che costerà 1.045.000.000,00 di euro. Quanto al reale rischio di speculazione edilizia è stato lo stesso presidente del municipio VIII le torri, Massimiliano Lorenzotti, a rassicurare i cittadini sottolineando che il progetto verrà realizzato in housing sociale.

Secondo Gianni Alemanno “Nessuno resterà senza casa perché prima di buttar giù vogliamo ricostruire”. Gli abitanti di Tor Bella Monaca potranno esprimere la loro opinione e chiarirsi i dubbi in un ufficio appositamente allestito dal comune di Roma Capitale

 

Acqua Vergine

Acqua Vergine è il nome della nona zona di Roma nell’Agro Romano, indicata con Z.IX.

Il toponimo indica anche la zona urbanistica 8d dell’VIII Municipio.

Confini

Si trova nell’area est del comune, a ridosso ed esternamente al Grande Raccordo Anulare.

Storia

La presenza delle sorgenti dell’Aqua Virgo, da cui da Marco Vipsanio Agrippa, nel 19 a.C. fece raccogliere le acque per l’acquedotto omonimo, giustifica il nome della zona.

L’acquedotto

L’acquedotto dell’Aqua Virgo, l’unico ad essere tuttora funzionante, è stato il sesto acquedotto romano.

Come quello dell’Aqua Iulia, fu costruito da Marco Vipsanio Agrippa, fedele amico, collaboratore, generale e genero di Augusto, e venne inaugurato il 9 giugno del 19 a.C. La sua principale funzione doveva essere quella di rifornire le Terme di Agrippa, nella zona del Campo Marzio.

Capta acqua da sorgenti nei pressi del corso dell’Aniene, al km 10,5 (VIII miglio) della via Collatina (nella località attualmente chiamata “Salone”). Non si tratta di una vera e propria sorgente, ma di un sistema piuttosto vasto (tuttora funzionante ed ispezionabile) di vene acquifere e polle le cui acque, grazie ad una serie di cunicoli sotterranei con funzione di affluenti, vengono convogliate nel condotto principale, o in un bacino artificiale, esistente fino al XIX secolo, che alimentava il canale regolando l’afflusso con una diga. Durante il tragitto l’acquedotto acquisiva poi altre acque provenienti da vari bacini secondari.

L’intero percorso misurava 14,105 miglia romane(20,471 km), ed era quasi completamente sotterraneo tranne l’ultimo tratto di 1.835 m. che correva all’aperto o su arcuazioni nella zona del Campo Marzio.

Il tragitto compiva un arco molto ampio che, partendo da est, entrava in città da nord. Costeggiava infatti la via Collatina fino alla zona di Portonaccio, poi fino a Pietralata e da lì raggiungeva la via Nomentana e poi la via Salaria, per piegare quindi a sud ed attraversare le aree dell’attuale Villa Ada, del quartiere dei Parioli, di Villa Borghese, del Pincio e di Villa Medici, dove una scala a chiocciola in perfetto stato di conservazione conduce tuttora al condotto sotterraneo.

Un giro così lungo è giustificato sia dal fatto che l’acquedotto doveva servire la zona del suburbio nord della città, fino ad allora priva di approvvigionamento idrico, sia dal fatto che trovandosi la sorgente ad un livello piuttosto basso (solo 24 metri s.l.m.) era necessario evitare quei forti dislivelli che l’ingresso per la via più breve avrebbe incontrato. Probabilmente l’ingresso in città da quel lato consentiva anche di raggiungere il Campo Marzio senza attraversare zone cittadine densamente popolate.

Dopo la piscina limaria (bacino di decantazione) nei pressi del Pincio, iniziava il tratto urbano vero e proprio, su arcuazioni parzialmente ancora visibili, importanti resti delle quali (tre arcate in travertino) rimangono in via del Nazareno, dove è anche conservata un’iscrizione relativa al restauro dell’imperatore Claudio. La struttura passava poi per la zona di Fontana di Trevi e quindi scavalcava l’attuale via del Corso con un’arcata che fu successivamente trasformata in un arco di trionfo per celebrare i successi militari di Claudio in Britannia. Proseguiva poi per via del Caravita, piazza di Sant’Ignazio e via del Seminario, dov’era l’ultimo castello, per terminare, nei pressi del Pantheon, alle Terme di Agrippa. Un ramo secondario raggiungeva la zona di Trastevere.

Il condotto sotterraneo è largo in media 1,50 metri, ed è in diversi tratti navigabile. Poiché le sorgenti si trovano ad un livello basso, la profondità della galleria, nella zona extraurbana, era di circa 30-40 metri (ma in corrispondenza di viale Romania raggiunge i 43 m). Scavato direttamente nella roccia di tufo quando attraversava terreni compatti, in zone meno consistenti il condotto era costruito in muratura.

Aveva una portata giornaliera di 2.504 quinarie, pari a 103.916 m3 e 1.202 litri al secondo. La distribuzione era abbastanza capillare: secondo Sesto Giulio Frontino, 200 quinarie erano riservate al suburbio, 1.457 erano riservate alle opere pubbliche, 509 alla casa imperiale, e le restanti 338 alle concessioni private, il tutto distribuito attraverso una rete di 18 castella (centri di distribuzione secondari), sparsi lungo il percorso.

Il nome deriva probabilmente dalla purezza e leggerezza delle acque che, in quanto prive di calcare, hanno consentito la conservazione dell’acquedotto per 20 secoli. Varie fonti forniscono altre spiegazioni: lo stesso Frontino riferisce che nei pressi della diga del bacino iniziale fosse presente un’edicola con l’immagine della ninfa delle sorgenti, da cui il nome, mentre un’altra leggenda narra di una fanciulla che avrebbe indicato ai soldati di Agrippa il luogo dove si trovavano le sorgenti, fino ad allora sconosciute.

Numerosi furono ovviamente gli interventi di manutenzione succedutisi nel tempo: Tiberio nel 37, Claudio tra il 45 e il 46, poi Costantino I e Teodorico. Dopo i danni arrecati dai Goti di Vitige nel 537 venne restaurata da papa Adriano I nell’VIII secolo e poi dal Comune nel XII secolo; in tempi più recenti diversi papi provvidero ad operazioni di rifacimento e restauro: Niccolò V, che oltre ad aver incrementato la portata con la captazione di nuove sorgenti affidò l’incarico del restauro a Leon Battista Alberti, Paolo IV, Sisto IV, Pio IV, Pio V, Benedetto XIV e Pio VI. Un ampliamento si ebbe nel 1840, e nel 1936 venne prolungato fino al Pincio.

Attualmente una buona parte delle antiche strutture è stata sostituita da tubazioni in cemento, mentre l’elevata urbanizzazione ha gravemente inquinato sia il canale originario che le falde. Di conseguenza l'”Acqua Vergine” può essere utilizzata solo a fini irrigativi o per l’alimentazione di importanti monumenti romani: la Fontana della Barcaccia, la Fontana di Trevi, la Fontana dei Quattro Fiumi e la Fontana del Nicchione, sotto al Pincio, mostra terminale del prolungamento del 1936.

Di proprietà dell’ACEA, l’area verde, recintata, è molto ben tenuta ed è possibile visitare le sorgenti ancora in funzione.

Lunghezza

Lunghezza è il nome della decima zona del comune di Roma nell’Agro Romano, indicata con Z.X.

Il toponimo indica anche la zona urbanistica 8e del VIII Municipio.

Si trova nell’area est del comune, esternamente al Grande Raccordo Anulare.

La località di Lunghezza

La località conta circa 4000 abitanti e la si può raggiungere percorrendo la via Collatina o, dalla via Tiburtina, percorrendo via della Tenuta del Cavaliere, che terminano nella piazza di Lunghezza. L’uscita autostradale della A24 Lunghezza/barriera Roma est è a2,6 km dalla piazza di Lunghezza. All’interno del quartiere si trova la stazione ferroviaria FS che collega Lunghezza alla stazione di Roma Tiburtina con la linea FR2.
Tra i monumenti, il più importante è il castello di Lunghezza, mentre nella piazza centrale del quartiere si trova un monumento in ricordo dei caduti della seconda guerra mondiale.

È presente una scuola elementare (F.Martelli) costruita negli anni trenta.

Il Castello di Lunghezza è un castello medievale che dà il nome alla località di Lunghezza, nel comune di Roma. Il castello è classificato “monumento nazionale”.

Storia del Castello

Le fondamenta del Castello di Lunghezza si perdono nella notte dei tempi. I primi insediamenti umani nella zona ove ora sorge il castello risalgono all’età Paleolitica e a quella del Bronzo. Successivamente questa rupe di Tufo divenne sito di una gloriosa cittadella detta Collazia antica città di remote origine etrusche già scomparsa ai tempi della Roma imperiale, è individuata a Lunghezza da studiosi come l’Ashby e Tommasetti.

Nel sottosuolo del castello vi sono ancora, parzialmente visibili, resti dei luoghi in cui si svolsero avvenimenti che determinarono la cacciata di Tarquinio il Superbo da Roma da parte di Bruto Collatino, signore della cittadella e marito della dolce Lucrezia che si uccise dopo essere stata oltraggiata dal vile Sextius, figlio o nipote del superbo. Nacque allora la Repubblica Romana.

Le notizie più antiche del maniero risalgono al 752 d.c.quando Tedone, monaco di San Salvatore in Sabina, vendette alla Badia di Farfa, per venti libbre d’argento il ” Casalem qui dicitur Longitia “. Lentamente la Badia si trasformò in monastero fortificato e abitato da monaci Benedettini che lavoravano la terra (circa 28.000 ettari) per conto dell’Abbazia di S.Paolo.

Questo feudo fu protetto dal 1242 dalla potente famiglia Conti di Poli alleati con la chiesa. Questa alleanza però terminò traumaticamente nel 1297 quando i Conti, alleatisi con i Colonna, decisero di appropriarsi di tutta la terra. Nella disputa si inserì Papa Bonifacio VIII° con il suo alleato Raimondo Orsini. Tutto terminò ad Anagni nel 1303 quando Sciarra Colonna offese il Papa con il famoso schiaffo. La guerra si accese e gli Orsini, insieme al Papa scacciarono i Conti da Lunghezza. Il feudo rimase di loro proprietà fino a quando non fu dato in dote ad Alfonsina Orsini sposa di Piero de’Medici. Nel XVI° secolo il feudo fece parte della dote di Clarice Medici, zia di Caterina, futura regina di Francia, e protettrice del grande Michelangelo Buonarroti, che sposò Filippo Strozzi. La fortezza subì grandi trasformazioni affinché diventasse una lussuosa dimora nobiliare nel cuore della campagna romana. Gli Strozzi ne conservarono la proprietà fino al XIX secolo e a quest’epoca il vecchio maniero era praticamente abbandonato

Nel 1881 si inserì nella storia il giovane medico e scrittore svedese Axel Munthe, il quale, con la sorella dell’ultimo erede del castello Piero Strozzi, trasformò l’ala più medievale del castello in una clinica di convalescenza. In seguito Munthe sposò una nobile scozzese di nome Hilda Pennington Mellor, che dal padre ebbe in dono il castello di Lunghezza. Poco prima della seconda guerra mondiale Hilda dovette abbandonare il castello che divenne Comando Generale dell’esercito tedesco. Dopo la
liberazione fu occupato per dieci anni da 400 sfollati italiani. Dopo questo lungo periodo di tempo Hilda, riavuta la proprietà, iniziò a sue spese il restauro del Castello, e una volta finito ( ci vollero circa vent’anni ), rimise in loco tutti i mobili d’epoca oggi visibili ai visitatori.

Il governo italiano ha dichiarato il castello ” Monumento Storico “.  Sede dellaFondazione Hilda Munthe è lasciato in eredità ai giovani europei a cui sono offerte gratuitamente visite guidate da esperti di storia dell’arte.

Il resto è storia recente; triste pensando al lento, costante degrado della struttura; curiosa ricordando episodi come la festa in onore di Carlo di Inghilterra negli anni novanta; positiva pensando che il vero, grande recupero del castello sta avvenendo grazie all’iniziativa de  IL FANTASTICO MONDO DEL FANTASTICO. . Il castello è stato finalmente riaperto al pubblico e specialmente ai bambini; è tornato a vivere, per tutti, e non per pochi; giorno dopo giorno ritrova il suo antico splendore.

 

Osa

Osa è una frazione del comune di Roma, situata in zona Z.X Lunghezza, nel territorio del Municipio VIII.

Si tratta di una zona pianeggiante ai margini del Vulcano Laziale, solcata da fossi (Fosso dell’Osa, Fosso di Volpignola) e tendenzialmente paludosa, un tempo dedicata a latifondo e pascolo, ora in corso di disordinata urbanizzazione.

Storia

Qui, in località Osteria dell’Osa, lungo la via Prenestina, è stata scavata alla fine degli anni settanta e pubblicata nel 1992, una vasta necropoli italica. Si tratta di un sito usato per più di tre secoli dal IX al VI secolo a.C. e costituito da circa 800 sepolture sia a inumazione che (in minor numero) a incinerazione. I suoi corredi e l’organizzazione delle tombe hanno fornito importanti notizie sull’organizzazione delle popolazioni preromane del Lazio. Reperti del sito, legato alla formazione della città di Gabii, sono esposti nella nuova sezione Protostoria del Museo Nazionale Romano alle Terme di Diocleziano. Tra questi un’iscrizione in lingua greca (“EUOIN”, interpretata come il grido delle baccanti), più antica del primo testo alfabetico finora noto in Grecia, e una in lingua latina (“SALUETOD TITA”) datate all’VIII secolo a.C.

Necropoli di Osteria dell’Osa

La necropoli dell’età del ferro di Osteria dell’Osa è legata con la fiorente Gabii, antica città colonia di Alba Longa; essa è posta al 17º chilometro della Via Prenestina nel Comune di Monte Compatri. Le datazioni dei ritrovamenti si situano nel periodo compreso tra il IX secolo a.C. ed il VI secolo a.C.; la necropoli ed è composta da circa 700 tombe e sepolture. Nei ritrovamenti vi sono iscrizioni in lingua greca del 650 a.C., le più antiche in Italia in questa lingua (dopo la coppa di Nestore), ed iscrizioni in lingua latina del 750 a.C., che sono le più antiche del mondo in questa lingua. Presso la sezione della protostoria dei popoli latini del Museo Nazionale Romano sono raccolti i materiali scavati negli ultimi decenni

Corcolle

Giardini di Corcolle è una frazione del comune di Roma, situata in zona Z.XI San Vittorino, nel territorio del Municipio VIII.

Sorge sul lato nord del ventiduesimo km della via Polense e il lato est della via di Lunghezzina, a est della frazione di Fosso San Giuliano.

Castello di Corcolle

Situato su una sporgenza alla confluenza di due valli, il castello di Corcolle è raggiungibile lungo la strada che dalla Polense gira verso destra  in direzione Gallicano-Zagarolo fatte poche centinaia di metri presso un pino a sinistra c’è una stradina sterrata, che porta al castello dopo un paio di chilometri di tornanti.

La posizione della struttura sembra sia posta sui resti dell’antica città di Querquetula, prima casale ricordato nel 967 tra le proprietà del monastero di Subiaco, passò successivamente nel 1014 sotto i beni del monastero di S. Paolo.

Il castello aveva una pianta trapezoidale, oggi rimane ben poco dell’antica struttura; nella parte antistante all’edificio tra un tratto di merlatura e la parte più alta dell’arco di un portale   c’è lo stemma marmoreo dei Colonna. Verso sud visibili sono i resti di una cappe.

Tenuta di Corcolle

Il nome  sarebbe giunto all’attuale Corcolle  attraverso la forma medioevale Corcurulum. Successivamente il luogo fu dedicato ad un santo cristiano, S. Angelo, nome rimasto al colle.

L’abitato di Corcolle, fiorito nell’età del ferro e durante i primi secoli della repubblica era stanziato sul colle S. Angeletto, la cui ampia spianata, compresa fra il casale di Corcolle inferiore ed il colle Campoli e delimitata da 2 fossi, ben si prestava all’impianto di capanne.

Alcuni identificano il sito con Querquetola, città ricordata dagli antichi scrittori negli elenchi dei villaggi scomparsi, nel luogo furono individuate le fondazioni di un tempio e nel 1975 furono recuperati alcuni frammenti di un’ara di peperino con resti di iscrizioni latine arcaiche.

Le fondazioni del tempio andarono distrutte dai lavori agricoli, ora vi sono solo resti sparsi sul terreno.