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Un'anima che cerca di progredire, pur nella caduta. Un'anima che cade da sempre e per sempre cadrà. Un'anima che ha perso la sua anima.

Ottavia

Ottavia è il nome della cinquantesima zona del comune di Roma nell’Agro Romano, indicata con Z.L.

Il toponimo indica anche la zona urbanistica 19c del XIX Municipio. È situata a nord-ovest della capitale all’interno del Grande Raccordo Anulare, a est della zona di Selva Candida.

La zona si divide in due parti: la prima, chiamata appunto Ottavia, si snoda attorno la strada principale via di Casal del Marmo per finire nella zona di Palmarola, mentre la seconda, chiamata Ipogeo degli Ottavi, parte dalla stazione del treno per arrivare fino alla strada principale di Ottavia.

Storia

Nata come borgata rurale nel primo dopoguerra, sorse sulle tenute di Casal del Marmo (famiglia Massara) e de La Lucchina (Prospero Colonna).
La borgata Ottavia, si sviluppò alla fine degli anni 50 e gli inizi degli anni ’60 a ridosso della stazione ferroviaria Roma – Viterbo; ai primi nuclei abitativi sorti a partire dal secondo decennio di questo secolo lungo il tracciato dei binari ad ovest della via Trionfale, si andarono aggiungendo altri insediamenti ad est della Trionfale (Monte Arsiccio, Fontanile, Sant’Andrea) a ridosso della tenuta dell’ Insugherata.

Nel 1990 nella zona Ipogeo degli Ottavi furono costruite delle case popolari.
Sempre qui, nel 2007, fu aperta l’uscita del G.R.A chiamata Trionfale-Ottavia.

La costruzione di un centro commerciale e quella, successiva, di un cinema multisala nell’area sud (Palmarola-La Lucchina), ha favorito l’economia della borgata.

La zona si divide in due parti: la prima, chiamata appunto Ottavia, si snoda attorno la strada principale via di Casal del Marmo per finire nella zona di Palmarola, mentre la seconda, chiamata Ipogeo degli Ottavi, parte dalla stazione del treno per arrivare fino alla strada principale di Ottavia.

Antichità

Le radici di questa località (posta tra l’8° e il 9° Km della Trionfale) vennero alla luce nel 1920, quando furono rinvenuti i resti di epoca romana del sepolcro gentilizio degli Ottavi (l’Ipogeo degli Ottavi), da cui prese il nome la zona.
L’importanza di questo suburbio nord-occidentale di Roma, che saldava la città all’Etruria meridionale, è dovuta alla conoscenza ancora non approfondita che si ha della rete stradale romana (nota nelle sue direttrici principali, meno nella sua viabilità secondaria) e dall’indagine sull’incidenza che la frequentazione etrusca ha avuto nello sviluppo delle comunicazioni di questo territorio.
La viabilità principale della zona, era modellata su percorsi preesistenti d’epoca etrusca, come la via Cassia (a nord), la via Clodia (nord-ovest). e la via Triumphalis (più ad est, che assicurò la comunicazione tra Veio e Roma dopo la conquista della città etrusca nel 396 a.c.), il cui impiego in epoca preromana è testimoniato dai ritrovamenti di un pagus etrusco a colle S.Agata (presso M.Mario); infine a sud la via Cornelia, il cui tracciato (quello a noi noto) oggi è ricalcato all’incirca dall’attuale via della Storta, erede della via Caere – Roma di epoca arcaica.
L’interesse per la ricostruzione della rete stradale interna, costituita dai collegamenti tra le suddette vie principali e le tenute e i casali dell’area, è emersa in questi ultimi 15 anni a seguito di importanti ritrovamenti, appartenenti ad una strada di epoca romana, avvenuti nella zona compresa tra la borgata Ottavia e l’area a ridosso del GRA di Selva Candida interna.
Il primo rinvenimento è stato fatto nel 1985 nei pressi del casale della Lucchina, perfettamente conservato grazie all’ interro di 5 metri; altri tre tratti del medesimo tracciato sono stati rinvenuti in direzione nord-est, all’altezza dell’attuale via della stazione Ottavia (il che ha fatto supporre al suo congiungimento con la via Triomphalis); il ritrovamento del quarto tratto nel ’90 durante i lavori per la realizzazione dell’Area di servizio Selva Candida interna, ha permesso la ricostruzione di questo tracciato per circa 2 km dalla via Triumpalis verso ovest: qui durante lo scavo per realizzare l’area di sosta è stata inoltre rinvenuta una piccola necropoli di origine etrusca (con fosse scavate nel banco tufaceo e coperte alla cappuccina), riutilizzata in epoca romana.
Ad ovest, ovvero oltre la necropoli al di là del GRA, la sovraintendenza non è riuscita a ricostruire il percorso del tracciato, in virtù dello sbancamento del terreno, che tuttavia ha fatto affiorare alcuni frammenti di basolati, riconducibili sempre al medesimo percorso.

La scoperta di questa strada (certamente di epoca romana, ma tracciata in epoca etrusca come testimoniano i reperti rinvenuti nelle vicina tenuta Colonna molto simili al materiale del Pagus etrusco rinvenuto al colle S. Agata), ha permesso la ricostruzione di un percorso secondario che dalla via Triumphalis andava verso ovest, tagliando la tenuta dove poi è sorta la borgata Ottavia.
Grazie all’ausilio della cartografia, siamo riusciti a risalire all’uso che di questo tracciato ne fu fatto in epoca cinquecentesca: denominata dalla cartografia di allora come “…la via che da Roma porta a S.Nicola…”, se ne indicava l’inizio con il bivio di epoca romana “tre capanne”.
Il bivio “tre capanne”, costituì un punto di riferimento per la cartografia dell’epoca, con il quale si individuava la località di confine della tenuta S.Andrea e di quella del Lucchese.(questo era il nome del beneficiario della tenuta poi denominata Lucchina): riportato per la prima volta, in modo non chiaro, nella mappa della campagna romana (del 1547) di Eufrosino della Volpaia,veniva descritto così:
“…e lassato tre capanne un puoco si trova doi strade, una a mano manca e l’altra strada a mano dritta; la strada a mano dritta va a sant andrea…la strada di man manca va a mazzalupo… col lassare Lucchese a mano dritta, questa strada va a Santo Nicola.”
Questa descrizione del Volpaia è importantissima, per aver indicato l’uso e la destinazione di questo percorso agli inizi dell’ epoca moderna, anche se non chiarisce se ci fu soluzione di continuità nell’uso di questa strada dall’epoca romana, così come non è sufficientemente chiara per individuare con esattezza la collocazione del bivio “tre capanne”.
Nella piantina del Catasto Alessandrino raffigurante la tenuta del Casale del Marmo (1650), si chiarisce la posizione di questo bivio (il cui nomignolo “tre capanne” però scompare): con un raffronto è facilmente identificabile, con l’incrocio formato dalla via Trionfale (all’altezza dell’attuale Km 8.500), con il tratto di via della stazione Ottavia (dal secolo scorso così chiamata per la stazione ivi costruita, ma che già dal 1660 veniva riportata nella pianta della tenuta del Casale di S.Andrea, come strada di confine sud occidentale della tenuta stessa) che fa angolo con l’odierna via maestre pie filippine (300 metri a sud-est dell’Ipogeo degli Ottavi).
Questo bivio è esistito sino alla fine del secolo scorso, quando a seguito dei lavori di costruzione della linea ferroviaria Roma-Viterbo, venne smantellato. Da allora, l’accesso ad Ottavia venne spostato all’incrocio trala via Casal del Marmo (spostata più avanti e dotata dello storico ponticello – oggi raddoppiato a seguito dei lavori dell’FM3).

La scoperta di questa strada infine, è stata utile anche per fugare ogni dubbio sulla vera origine di via della Lucchina. L’odierna via della Lucchina infatti, non ipotizza un percorso antico, ma, come si evince da una mappa del catasto Gregoriano fu aperta in alternativa a quella romana in un periodo non precisabile, compreso tra la seconda metà del seicento e la prima metà dell’Ottocento: fu un nuovo percorso che dal casale della Lucchina portava sulla via Trionfale, mentre ricalcò il vecchio percorso della strada romana, solo nel tratto (oggi scomparso) che dal casale della Lucchina portava alla ex necropoli etrusca, verso San Nicola.

Palmarola

Palmarola è una frazione di Roma Capitale (zona “O” 10), situata in zona Z.L Ottavia, nel territorio del Municipio Roma XIX.

È situata a nord-ovest della capitale fra il Grande Raccordo Anulare a ovest e via di Casal del Marmo a est.

Selva Candida

Selva Candida è un’area urbana del XIX Municipio di Roma Capitale. Si estende sulla zona Z.XLVIII Casalotti. Si estende sul suburbio S.X Trionfale

È situata a nord-ovest della capitale all’esterno del Grande Raccordo Anulare, a nord della zona di Selva Nera.

Prende il nome dal luogo del martirio delle sante Rufina e Seconda.

Storia

Le sorelle Rufina e Seconda, figlie del senatore Asterio e di Aurelia, furono promesse in sposa rispettivamente ad Armentario e Verino. Questi, però, apostatarono il cristianesimo in seguito alla persecuzione di Valeriano e di Gallieno e chiesero alle due sorelle di abiurare anche loro. Inorridite da tale richiesta, fuggirono in Toscana, ma vennero fatte inseguire dal conte Archesilao, che le fermò al 14º miglio della via Flaminia e le consegnò al praefectus urbis Gaio Giunio Donato. Sottoposte a diverse pressioni, interrogatori e torture, le sorelle si rifiutarono sempre di apostatare, venendo così condannate a morte dal prefetto.

Riportate in prigione, nella cella fu bruciato del letame per farle soffocare dal fumo puzzolente, ma dal fuoco comparve “splendida luce” e si sentì un “soave odore”.
Indispettito, il prefetto le fece immergere in acqua bollente, dal quale però, uscirono illese. Quindi ordinò di gettarle nel Tevere dopo averle legate con delle grosse pietre al collo, ma un angelo le prese, le liberò e le condusse a riva.
Allora Giunio le consegnò di nuovo ad Archesilao perché, a suo arbitrio, le facesse morire o le liberasse. Il conte le condusse in una selva folta e buia, chiamata Selva Nera, nel fondo di Busso o Buxo o Bucea o Boccea, al 10º miglio della via Cornelia, dove decapitò Rufina e bastonò a morte Seconda, lasciando i corpi, come d’uso all’epoca, esposti alle bestie. Le sorelle comparvero in visione alla matrona romana Plautilla, invitandola a convertirsi e a seppellire i loro corpi. Trovati i corpi incorrotti, li seppellì onorevolmente.

Per i miracoli alle due sorelle, la loro venerazione da parte dei fedeli e del successivo martirio subito anche dai Santi Marcellino e Pietro nello stesso luogo, questo fu denominato Silva Candida’. Nel 336 papa Giulio I vi fece costruire una basilica a loro dedicata e vi fece riporre i corpi. La chiesa fu terminata da papa Damaso I nel 367.

Attorno alla Basilica delle Sante Rufina e Seconda o di Selva Candida si formò una vera e propria città poi distrutta. Dopo le vicissitudini medioevali con le devastazioni saracene, dei pirati e l’abbandono delle terre, nel 1153 il Cardinale Conrado, futuro Papa Anastasio IV, rinvenne sotto l’altare della Basilica restaurata i resti delle due Martiri, che fece trasportare nel battistero lateranense dove fu loro dedicata una Cappella.
L’ubicazione dell’antica Cattedrale, pur con qualche difficoltà, è da individuare sul colle della Porcareccina, ove vi è una piccola Cappella restaurata e custodita gelosamente dalla famiglia Marsicola.

Selva Nera

Selva Nera è il nome del piano di zona B16 del XIX Municipio di Roma Capitale. Si estende sulla zona Z.XLVIII Casalotti.

È situata a nord-ovest della capitale all’esterno del Grande Raccordo Anulare, a sud della zona di Selva Candida.

Anticamente era presente nel luogo una fitta boscaglia, talmente buia da darle il nome di Selva Nera. Qui furono martirizzate le sante Rufina e Seconda.

Valle Aurelia

Valle Aurelia è il nome di un’area urbana situata nella zona nord-ovest di Roma, poco distante dal
Vaticano e adiacente a via Baldo degli Ubaldi. Si trova nel territorio di competenza del Municipio XVIII. È chiamata da sempre anche con il pittoresco nome “Valle dell’Inferno” a causa delle fornaci (ormai dismesse) che un tempo riempivano di fumo la vallata.

Storia

Le fornaci erano utilizzate per la fabbricazione di mattoni,
laterizi, embrici e campigiane. Per parecchi decenni la Fornace Veschi e le altre diciassette presenti nella zona hanno modellato milioni e milioni di mattoni sfruttando l’argilla estratta dalle cave dei Monti di Creta, in funzione fin dall’antichità. Con il passare del tempo, i prati tutt’intorno sono diventati quartieri in un’esplosione edificatoria innescata parossisticamente nell’ultimo dopoguerra. La Valle oggi ha un aspetto caratterizzato da palazzoni popolari da dodici piani che fanno ombra ai resti industriali. Attualmente sono rimaste in piedi solamente due fornaci, sepolte dalle erbacce; in particolare
il comignolo della Fornace Veschi svetta nei pressi della vicina stazione metropolitana. La via principale del quartiere è via di Valle Aurelia, che si inoltra all’interno della vallata
all’ombra di Monte Ciocci, spingendosi vicino ai confini con il quartiere Balduina e il Parco del Pineto. Nel quartiere è
ancora presente il borgo costituito dalle antiche case a due piani (per lo più ormai diroccate) appartenute ai “fornaciari” (ossia a coloro che lavoravano presso le fornaci) dislocate tra strade con nomi caratteristici riecheggianti le attività di un tempo. In questo borghetto venne costruita nel 1917 la chiesa di Santa Maria della Provvidenza, ma già dal 1905 Don Luigi Guanella portò il suo apostolato tra i fornaciari.

Negli anni venti del secolo scorso si trovavano nella Valle circa un centinaio di famiglie. In pochi anni la popolazione si incrementò: negli anni cinquanta, alla chiusura delle fornaci
(l’ultima nel 1960), risiedevano nella zona oltre duemila persone, poi ridottesi a meno di mille negli anni settanta fino alla storica estate del 1981, quando la ruspa comunale rase al suolo la gran parte del tessuto abitativo della parte più antica del quartiere, fatta eccezione per la vecchia chiesetta di Santa Maria della Provvidenza e una parte del sopracitato borghetto ad essa adiacente.

Il 10 dicembre 1962 venne istituita la parrocchia di San Giuseppe Cottolengo. A Valle Aurelia è presente una biblioteca comunale.

Attualmente è previsto un piano di riqualificazione del quartiere che prevede il recupero della Fornace Veschi e la costruzione di un centro commerciale.

Aurelio

Aurelio è il nome del tredicesimo quartiere di Roma, indicato con Q.XIII.

Aurelio è il nome del nono suburbio di Roma, indicato con S.IX, ed è omonimo del quartiere Q.XIII.

Si trova nell’area ovest della città, a ridosso delle Mura Vaticane e delle Mura Aureliane.

Storia

L’Aurelio è fra i primi 15 quartieri nati nel 1911, ufficialmente istituiti nel 1921 e prende il nome dalla via Aurelia.

Siti archeologici e monumenti

Borgo delle Fornaci

Il nome deriva dalla presenza di numerose “fornaci” per laterizi da costruzione qui impiantate in considerazione del particolare terreno argilloso. Esse furono intensamente sfruttate già nel periodo della Roma Imperiale. Anche Teodorico e Belisario se ne servirono per i restauri alle Mura Aureliane-Onoriane.

Con i papi rinascimentali, dopo Avignone, riprese in pieno il loro utilizzo raggiungendo il massimo sviluppo con l’apertura del cantiere per la costruzione della Basilica di S. Pietro.

Le “fornaci” hanno continuato a funzionare fino all’inizio degli anni ’60 per poi cessare definitivamente la loro attività in seguito alla massiccia e dilagante urbanizzazione del territorio adiacente.

Alla metà del secolo XVI il territorio occupato dalle fornaci prese il nome da questa attività assumendo il toponimo di “Vallis Fornacum” (Valle delle Fornaci).

Tra il 1570 e il 1580 nacque il vero borgo con la costruzione disposta in modo ordinato. Le fornaci, separate tra di loro da muri di cinta, si allineavano lungo la strada diretta a “Porta de’ Cavalli Leggeri” e, risalendo il declivio retrostante, occupavano tutto lo spazio disponibile per arrestarsi davanti alle cave di creta.

Sentieri campestri assicuravano i collegamenti all’interno del borgo.

Nei primi decenni del XVIII secolo l’asse stradale di via delle fornaci, l’antica “Via Posterula“,era delimitato da un alto muro di cinta, nel quale si aprivano gli accessi alle varie proprietà, simile a quello che ancora oggi delimita il tratto più antico e meglio conservato.

La sopravvivenza del borgo è accertata fino ai primi del ‘900 quando, con la trasformazione in quartiere urbano, perderà purtroppo i suoi connotati di sobborgo industriale. Attualmente, in fondo a via della Cava Aurelia, troviamo l’ultima fornace della zona (la fornace Aurelia), abbandonata, ma ancora in discrete condizioni.

Il collegamento tra borgo e la Fabbrica di San Pietro avveniva attraverso due porte delle mura vaticane: Porta Cavalleggeri e Porta Fabbrica.

Chiesa di Santa Maria delle Grazie alle Fornaci

Il monumento più imponente del territorio intorno a Porta Cavalleggeri è la chiesa di S. Maria delle Grazie alle Fornaci.

Collocata al centro del quartiere la sua costruzione iniziò nel 1694 grazie all’abbondanza delle offerte e l’appoggio del Cardinale Carpegna.

Presenta una facciata realizzata nel 1727 sotto il pontificato di Benedetto XIII, forse su disegno di Filippo Raguzzini, scandita da lesene, articolate in due ordini sovrapposti, separati tra loro da un cornicione aggettante e conclusa da un coronamento mistilineo. E’ possibile notare il riferimento stilistico con la facciata dell’oratorio dei Filippini del Borromini senza tuttavia arrivare alla tensione strutturale tangibile nell’edificio borrominiano. Il rilievo sul portale di ingresso, realizzato in stucco, materiale molto usato nel ‘700, rappresentava la “liberazione degli schiavi”. Il cartiglio che racchiude la scena è avvolto nel manto e sormontato dalla corona della Vergine sotto la cui protezione è posta la chiesa.

Lo schema planimetrico adottato è a croce greca con quattro cappelle inserite nell’incrocio dei bracci. Questa scelta nasce e dalla volontà di rifarsi alla tradizione architettonica romana, in particolar modo del cinquecento, e dalla particolare collocazione dell’edificio, costruito sopra un rilievo del terreno, e dalla notevole dimensione dello stesso.

L’assetto della pianta centrale è però in contraddizione sia con la facciata esterna, la quale, con il suo alto prospetto, nasconde la volumetria complessiva della chiesa, sia con l’interno per la mancata costruzione della cupola, mai realizzata a causa di difficoltà economiche e architettoniche. Infatti, la notevole profondità dell’abside e la disposizione delle cappelle, collegate tra loro, suggeriscono già l’idea di una divisione in navate dello spazio. La presenza, infine, della sagrestia e del campanile, eretto nel XX secolo, accentuano la sensazione di longitudinalità dell’assetto planimetrico.

Nell’interno della chiesa, sull’altare maggiore, è custodita l’immagine della Vergine commissionata al pittore di Liegi Gilles Hallet (Egidio Alet 1620/1694). La tela rappresenta la Madonna con il bambino benedicente che stringe nella mano sinistra il globo. La convenzionalità del soggetto, dipinto a scopo devozionale, è compensata dallo studio cromatico e dalla riuscita rappresentazione del bambino.

Accanto alla facciata della chiesa sorge il convento costruito tra il 1721 e il 1725 per ospitare il Collegio Apostolico per le Missioni. Il portale, di chiara ispirazione borrominiana, è collegato al livello stradale da una scalinata a doppia rampa simile a quella costruita ai piedi della chiesa.

Chiesa della Madonna del Riposo

Le prime notizie della chiesa si hanno dal diario di Antonio Pietro del Schiavo, cronista romano del primo ‘400, dove viene citata la cappella di S. Maria del Riposo. E’ probabile, comunque, che assai prima della nascita della cappella, ci sia stata un’edicola con l’immagine della Madonna posta forse in quel luogo in memoria di un antico cimitero sacro, divenuta poi un’immagine miracolosa per le molte grazie esaudite ai viandanti ed ai pellegrini che qui sostavano per rinfrancarsi e dire una preghiera prima di proseguire il proprio cammino.

Fu allora che si volle costruire la cappella dedicata alla Madonna del Riposo. Nella seconda metà del 500 i Papi Pio IV e Pio V provvidero al restauro e all’ampliamento della costruzione originaria (avancorpo, secondo locale, per la sagrestia e, forse, le due stanze sovrastanti la sagrestia). Papa Pio V fece adattare a proprio uso un casale che sorgeva alle spalle della chiesa, fatto demolire, in seguito ad una intensiva urbanizzazione, nel 1953, del quale ci rimane soltanto lo splendido potale bugnato di travertino visibile sul lato sinistro.

All’interno della piccola chiesa troviamo, sopra l’altare, l’affresco della Madonna col Bambino, probabilmente di epoca rinascimentale, mentre le pitture di contorno, compresi il trono e gli angeli che fanno da sfondo, sono sicuramente di epoca successiva. Gli angeli ai piedi delle nicchie possono essere opera di allievi di bottega manieristica.

La volta a cupola sopra l’altare presenta un affresco di stile sei-settecentesco raffigurante l’incoronazione della vergine.

Non è possibile invece datare il paliotto dell’altare realizzato con marmi pregiati con agli angoli i gigli Farnese.

Villa Carpegna

Costruita forse su di una preesistente palazzina cinquecentesca, sorge su una antica area cimiteriale romana, desumibile dai numerosi reperti che si potevano ancora ammirare all’inizio del XX secolo: sarcofagi vari, un’urna cineraria, una lunga iscrizione dedicata ad un eques romano, capitelli, colonne e bassorilievi.

I Carpegna entrarono in possesso della villa alla fine del ‘600 quando, sotto il pontificato di Clemente X, il Cardinale Gasparre Carpegna fu nominato Vicario del Papa.

La villa fu destinata dal Cardinale a contenere le sue numerose collezione artistiche e, in special modo, quella numismatica ceduta poi, alla sua morte, ai musei vaticani.

La Famiglia Carpegna fu proprietaria della villa fino alla fine del XIX secolo. Fu poi acquistata da un certo Achille Piatti che la vendette successivamente alla baronessa Caterina Scheynes la quale, a sua volta, la lasciò in eredità alla nipote baronessa Emma Sofia Stocher.

La baronessa Stocher nel 1941 vendette la proprietà alla società immobiliare dei Beni Stabili, all’istituto dei Fratelli Ospitalieri (1955), al Pontificio Collegio Spagnolo (1956) e alla Sacra Congregazione di Propaganda Fide (1961).

A loro volta i Beni Stabili hanno venduto la loro proprietà alla Domus Mariae che ha lottizzato 8 dei 15 ettari acquistati. La Domus Mariae lascerà l’edificio disabitato e il parco in completo abbandono.

Dall’1 Aprile 1981 il complesso è divenuto parco pubblico. L’attuale proprietario è il Comune di Roma.

Dalla piazza omonima si accede alla villa attraverso un portale, fatto erigere dal Cardinale Carpegna, decorato a bugnato di travertino avente sulla sommità lo stemma dei Carpegna e ai lati due finestroni decorati anch’essi di travertino e chiusi da una grata in ferro battuto. La parte interna è decorata con spuma di travertino, ghiaia, tufelli e stucco.

Percorrendo poi uno stretto viale, fiancheggiato da pini secolari e siepi di alloro, si arriva ad uno spiazzo semicircolare fronteggiante il lato est della Villa.

L’edificio ci appare privo di unitarietà risentendo sicuramente delle trasformazioni successive ad esso apportate.

Il Cardinale Carpegna ampliò la parte abitativa già esistente, composta da un corpo centrale ed un torretta – elemento caratteristico delle Ville Laziali – costruendo due nuove ali sormontate entrambe da torrette ed emulando in questo modo i modelli delle ville Medici e Borghese.

La parte certamente più interessante è costituita dal salone principale dell’edificio decorato con affreschi in stile pompeiano raffiguranti soggetti allegorici, colonne decorate a finto marmo, con basi, capitelli e frammenti di architravi, arricchiti con festoni sorretti da putti. Le colonne, poste sulle pareti laterali in prossimità degli accessi al piano superiore, sono collegate tra loro da balaustre dipinte e disposte, secondo uno schema modulare, ad intervalli regolari. Sulle due rimanenti facciate, ai lati delle porte-finestre, troviamo le stesse colonne, ma più numerose, a creare una prospettiva di cui le stesse porte-finestre costituiscono i punti di fuga. Il salone in questo modo viene movimentato dalle decorazioni che troviamo anche sugli stipiti delle porte-finestre, anch’esse dipinte in finto marmo.

Negli intercolunni del salone della Villa compaiono paesaggi con figurine di soldati, animali, file di carri, di minuscole dimensioni dipinti a tempera.

Partendo dalla parte posteriore dell’edificio, lungo il viale principale, si trova la prima fontana. Di qui parte una cordonata a doppia rampa di mattoni a spina e brecce battute che scende verso la seconda fontana per poi risalire fino al ninfeo. Il ninfeo reca sulla volta lo stemma dei Carpegna in paste vitree bianche e azzurre: le pareti interne sono decorate con mosaici policromi di sassi e lapilli. Il terrazzamento nel retro della Villa sfrutta la naturale pendenza del terreno per creare effetti di movimento e di colore prendendo come modello l’analoga disposizione a giardino del Casino di Pio V.

Recentemente la villa è stata restaurata ed il casino di caccia è stato destinato a spazio museale